Il Governo di Giorgia Meloni ha giurato il 22 ottobre, meno di un mese dopo il voto che ha sancito la vittoria del centro-destra per il nuovo Parlamento a ranghi ridotti. “Serviremo l’Italia con orgoglio, ora subito al lavoro” è stata la prima promessa della premier affrontando i primi impegni sull’onda di un passaggio delle consegne quanto mai aperto e collaborativo da parte di Mario Draghi e della sua squadra.

Le prime settimane, tuttavia, anche per l’esuberanza degli alleati di Governo, sono state caratterizzate da una fioritura di parlar d’altro rispetto ai veri e complessi problemi del Paese.

L’inutile polemica sul tetto ai contanti

Si è iniziato con le polemiche, altrettanto inutili quanto rumorose, sull’innalzamento del tetto per i pagamenti in contanti. Una premessa: in un Paese di cittadini liberi e onesti un problema di questo tipo non dovrebbe esistere: e infatti in Svizzera non c’è nessun vincolo e sono in normale circolazione le banconote da mille franchi, il valore facciale più alto mondo. Peraltro porre dei vincoli per limitare i pagamenti in nero è una contraddizione: se sono in nero questi pagamenti sono per loro natura fuori legge e quindi non c’è tetto che tenga. Limitare la circolazione di contanti e favorire i pagamenti elettronici è comunque un obiettivo più che giustificato: non solo e non tanto per la tracciabilità ai fini fiscali, quanto per la sicurezza: per far sparire le periodiche e scenografiche (ma comunque criminali) rapine ai furgoni portavalori e per dare un lavoro più dignitoso alle guardie giurate che presidiano gli sportelli bancari. Quello dell’uso dei pagamenti elettronici è il classico tema dove la via maestra dovrebbe essere quella della “spinta gentile” teorizzata dal libro di Richard Thaler (anche per questo premio Nobel per l’economia nel 2017) e Cass R. Sunstein. Più che norme rigide servono incentivi comportamentali, buoni esempi, convenienze sociali. Paradigmi non facili, ma che sono l’esatto opposto di una società poliziesca.   

I giovani lasciano il rave party di Modena sotto l'occhio delle forze dell'ordine

Contro i “rave” una grida di manzoniana memoria

Ma non ha fatto in tempo a spegnersi il dibattito sui contanti che la stessa società poliziesca è balzata alla ribalta per un altro tema tutt’altro che di stringente importanza: quello dei cosiddetti “rave party”, le manifestazioni musicali autogestite che, grazie al passaparola dei social, richiamano periodicamente migliaia di giovani. Incontri che spesso si svolgono occupando senza autorizzazione luoghi pubblici o capannoni privati e in cui non si rispettano le regole del galateo nel volume della musica, nell’esuberante consumo di bevande alcoliche, nell’uso e lo spaccio di droga. Da Woodstock (qualcuno lo ricorderà…. era il 1969) in poi non sono mancate le repliche sempre più stanche, altrettanto trasgressive quanto rituali. Certo, vi sono limiti che non andrebbero superati. Ma esistono da decenni norme penali che puniscono le occupazioni abusive, lo spaccio di droga e financo il disturbo alla quiete pubblica. Ma il Governo si è sentito in dovere di seguire l’esempio delle grida manzoniane. Il decreto approvato in fretta e furia mentre i giovani stavano occupando un capannone a Modena, ma stavano anche togliendo le tende e raccogliendo i rifiuti, ha tutte le caratteristiche dei decreti illustrati a Renzo dall’Azzeccagarbugli: un titolo altisonante, un linguaggio contorto e articolato anche nei dettagli e dove vengono annunciate pene assai severe per coloro che non le rispettano.

I naufraghi/migranti strumento di affermazione identitaria

Un terzo esempio di obiettivi trasversali rispetto ai veri problemi è stata la vicenda delle navi delle Organizzazioni non governative (Ong) che dopo aver raccolto naufraghi/migranti nel mare di Sicilia hanno tentato di portarli rapidamente in un porto vicino e sicuro. La linea dura è stata un’occasione d’oro per dimostrare che il vento era cambiato, che il Governo non perdeva occasione per difendere i sacri confini dalla patria, che gli impegni presi durante la campagna elettorale venivano rispettati. In sostanza più un’affermazione identitaria che la volontà di affrontare con realismo e concretezza un problema.

 

Una delle navi con migranti naufraghi bloccate in Sicilia dal braccio di ferro tra l'Italia e la Ue

La dimostrazione è nel fatto che non è previsto né allo studio alcun provvedimento per evitare che gli immigrati siano clandestini, così come non si parla più di corridoi umanitari per aiutare i dannati della terra che si ammassano sulle coste libiche. E non si può certo pretendere che le agenzie per l’impiego che non funzionano per incrociare la domanda e l’offerta di lavoro all’interno del Paese, possano sollevare lo sguardo per aiutare l’arrivo di “forza lavoro” dall’estero.

È l'ora dei problemi (non ancora delle soluzioni)

In attesa di qualche altro argomento di distrazione il Governo si è dovuto confrontare con i temi concreti, quelli più difficili, dove non bastano le logiche identitarie e gli slogan ideologici. Con sano realismo lombardo il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha ammesso che i nodi da sciogliere non sono certo facili. Anche perché insieme all’eredità positiva del precedente governo, con l’avvio del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ci sono i fardelli che hanno lasciato i governi giallo-verde e giallo-rosso con la politica dei bonus e delle elargizioni, una politica giustificata solo in parte dai tempi di pandemia. Per esempio il superbonus del 110% è diventato, come era prevedibile, una bomba ad orologeria per i conti pubblici con oltre 50 miliardi di crediti che si trasformeranno in minor gettito fiscale.

I primi passi di Meloni e Giorgetti in Europa sono stati estremamente cauti e prudenti. Con un’accoglienza diplomaticamente cordiale e rispettosa di chi ha appena iniziato un cammino portando sulle spalle i pesi ricevuti in eredità. Il fatto nuovo è che è quasi trapelata la convinzione che l’Italia abbia bisogno dell’Europa almeno quanto l’Europa ha bisogno dell’Italia: una convinzione che, se condivisa, può aiutare a smussare e quasi a far dimenticare i toni barricadieri che negli anni passati (chi se ne ricorda?...) contrassegnavano le dichiarazioni della Lega e di Fratelli d’Italia contro l’Europa dei banchieri e dei burocrati, contro la moneta unica, contro i vincoli dei patti e degli accordi.

L'incontro del governo guidato da Meloni con i sindacati per fare il punto sulla crisi economica e le misure necessarie

Se sia veramente arrivato il momento del realismo lo dimostreranno le prossime mosse. La legge di bilancio innanzitutto, che dovrà stare nei paletti da concordare con l’Unione europea, e strettamente collegata con questa, la riforma delle pensioni per superare quota 100. Un nodo cruciale sarà una, probabilmente mini, riforma fiscale.

Tutto lascia credere, o almeno c’è da sperare, che le rivoluzionarie ipotesi di flat tax rimarranno tra i ricordi impagliati come il pappagallo di Nonna Speranza e le buone cose di pessimo gusto illustrate da Guido Gozzano per la gioia degli allievi sui banchi di scuola.