Sempre più verde, ma ancora troppo poco verde. Troppo assorbito in attività legate al carbon fossile. E troppo esposto agli eventi naturali estremi generati dai cambiamenti climatici. Crocevia fondamentale della transizione ecologica, il settore finanziario dell’area euro dovrebbe fare molto di più per essere realmente all’altezza delle sue crescenti promesse (e dei suoi doveri) di sostenibilità.
Una spinta ad avanzare in questa direzione arriva dalla Banca centrale europea che, nel quadro del suo piano d’azione sul clima lanciato nel luglio 2022, ha ora presentato una nuova serie di indicatori https://www.ecb.europa.eu/stats/ecb_statistics/sustainability-indicators/html/index.en.html per valutare l’impatto dei rischi climatici sulla stabilità del settore finanziario. E per comprendere meglio pericoli e opportunità del passaggio a un modello di economia «net zero», cioè sempre meno dipendente dalle energie fossili.
Pur con tutte le cautele raccomandate dalla stessa Bce nella lettura delle singole informazioni statistiche (perché ancora sperimentali o con una copertura limitata), i tre gruppi di parametri offrono indicazioni preziose per interpretare la svolta epocale in corso.
La (mezza) buona notizia
Il primo monitor della Bce si concentra sui titoli di debito progettati per finanziare progetti di sostenibilità ambientale e sociale. Il valore di questi di bond emessi nell’area euro è più che raddoppiato negli ultimi due anni, passando da poco più di 400 miliardi di euro (quarto trimestre 2020) ad oltre mille (terzo trimestre 2022). Tuttavia, benché siano in forte crescita come alternative di investimento, le obbligazioni con finalità green e social vanno oggi poco oltre il 5% sul totale dei titoli emessi.
Questa incidenza risulta poco più elevata se, oltre alle emissioni, si considera il valore complessivo dei titoli detenuti in portafoglio. Sotto entrambi i profili, i Paesi più attivi sono Germania e Francia, seguiti da Olanda (emissioni) e Lussemburgo (asset complessivi).
I rischi della transizione…
Il secondo gruppo di nuovi indicatori sposta l’attenzione dall’impegno sostenibile alle attività considerate a rischio, quelle che potrebbero risultare più compromesse dalla transizione net-zero. L’anidride carbonica generata dalle società non finanziarie, infatti, grava sul sistema finanziario attraverso i titoli (azioni e obbligazioni) che ha in portafoglio e i prestiti che concede a queste controparti.
Il principale canale di finanziamento delle emissioni globali, dirette e indirette, è rappresentato dai fondi di investimento, mentre le attività a maggiore intensità di carbonio sono sostenute dal settore bancario.
… e quelli degli eventi naturali estremi
Il terzo fronte che la Banca centrale europea inizia a misurare è quello dei rischi fisici. Sempre più frequenti a causa dei cambiamenti climatici, gli eventi naturali estremi «possono avere un impatto anche sul sistema finanziario: le imprese colpite da questi rischi potrebbero avere difficoltà a onorare i propri debiti, oppure le garanzie collaterali potrebbero perdere il proprio valore».
Le più alte esposizioni potenziali al rischio naturale sono associate allo stress idrico (quasi 6mila miliardi di euro in gioco), agli incendi boschivi (poco meno di 5mila miliardi) e alla fragilità del suolo (analogo valore in pericolo), seguiti da bufere di vento, alluvioni, frane e inondazioni costiere.
L’analisi si basa sia sulla rilevanza storica dei rischi in Europa (dal 1980 al 2020 il 70% dei costi è imputabile a eventi meteo e idrologici) sia su previsioni (i danni da stress idrico e incendi boschivi sono destinati ad aumentare nei prossimi decenni). Restano, invece, escluse le onde di calore, che pure hanno un rilevante effetto indiretto sulla salute umana.
Oltre al rischio potenziale, altri indicatori in questo gruppo considerano sia il grado di probabilità dei singoli eventi estremi (prevale una fascia di rischio medio-basso) sia l’intensità dei danni, mentre non sono presi in esame altri fattori come misure di protezione fisica già esistenti (è il caso di argini) o coperture finanziarie (polizze assicurative).
Il rialzo dei tassi e la transizione ecologica
I nuovi indicatori statistici rappresentano un passaggio importante nel percorso intrapreso dalla Bce - e dalle banche centrali nazionali https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/rapporto-investimenti-sostenibili/2022/index.html -
per rendere il quadro di politica monetaria a prova di cambiamento climatico. Ad esempio, ha iniziato a integrare le considerazioni sul climate change nei propri modelli econometrici e renderà obbligatoria l'informativa societaria sul clima per le obbligazioni date in garanzia nelle operazioni di rifinanziamento. Verso la fine di questo primo trimestre 2022 il sistema delle banche centrali europee inizierà, poi, a rendere note le esposizioni ai cambiamenti climatici di parti del proprio bilancio.
Come si raccorda questo forte orientamento ambientale con l’attuale fase di stretta monetaria? Le critiche alla presunta incoerenza tra impegno per la transizione ecologica, da una parte, e aumento dei tassi d’interesse, dall’altra, sono riecheggiate in un recente intervento https://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2023/html/ecb.sp230110~21c89bef1b.en.html di Isabel Schnabel, tra i più influenti membri del comitato esecutivo della Bce. Critiche respinte al mittente.
«La grande maggioranza dei principali economisti del clima intervistati lo scorso anno – ha osservato Schnabel - vede solo un impatto lieve o molto lieve dell'aumento dei costi di finanziamento sulla transizione verso emissioni net-zero entro il 2050. Finora, inoltre, non vi sono prove di una carenza di finanziamenti per i progetti di investimento verdi. Mentre i fondi obbligazionari e azionari convenzionali hanno registrato un notevole calo della raccolta netta nel 2022, lo stesso non è avvenuto per i fondi ambientali, sociali e di governance. I fondi azionari Esg hanno addirittura registrato afflussi sostenuti».
È il momento propizio, invece, per accelerare il passo verso la decarbonizzazione dell’economia. Questo vale per imprese, le quali, secondo Schnabel, se «non riducono attivamente la loro impronta di carbonio dovranno affrontare premi di rischio più elevati e quindi costi di finanziamento più alti a qualsiasi livello di tassi di interesse risk-free».
Vale, poi, per i Governi, che «devono porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili il prima possibile» e sviluppare schemi di sostegni validi per le energie rinnovabili e le tecnologie verdi.
E vale, infine, per la stessa Bce: «L’Accordo di Parigi – sottolinea Schnabel - richiede una traiettoria di decarbonizzazione stabile nel nostro portafoglio, indipendentemente dalla nostra posizione di politica monetaria o dalle azioni individuali delle aziende». Una partita complessa che si misura anche con la necessità di rendere sempre più verde lo stesso portafoglio di obbligazioni del settore pubblico.
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