La flessione delle borse di questi tempi è trainata dai dubbi sulla tenuta delle banche europee, che hanno bisogno di cospicui aumenti del capitale di rischio.
Il problema può essere articolato in questo modo:
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le banche in Europa e negli Stati Uniti debbono ridurre il rapporto fra gli impieghi e il capitale, ossia debbono ridurre la leva. Per far questo o riducono gli impieghi a patrimonio invariato, oppure alzano il patrimonio a impieghi invariati. In entrambi i casi, si riduce la redditività del patrimonio delle banche, perché si ha un o attivo inferiore o un passivo maggiore. Questo è un gran problema che le banche hanno indipendentemente dalle vicende correnti. Il problema è noto come le nuove regole di Basilea, con ciò intendendo le regole che dovranno essere applicate per evitare le crisi finanziarie in futuro (1), con le crisi dovute a un eccesso di esposizione delle banche.
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a ciò si aggiunge l'intricato problema dei debiti pubblici dei paesi europei periferici che sono nei portafogli delle banche dei paesi centrali. Se il debito della Grecia viene ristrutturato, per esempio rinnovato con un prezzo dell'obbligazione che da 100 passa a 50, le banche incorrono in perdite che debbono registrare, e quindi esse debbono ridurre il patrimonio. Se il debito greco fosse ripudiato, le banche avrebbero perdite ancora maggiori, l'obbligazione passerebbe, infatti, da 100 a zero. Il minor patrimonio o spinge a ridurre gli impieghi, oppure - per evitare una riduzione degli impieghi - viene ricostituito, alias un aumento del capitale di rischio.
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La soluzione – comunque costosa - è quella di salvare solo la Grecia, salvare sia la Grecia sia le banche, salvare solo le banche. Salvare le banche alla fine vuol dire sottoscrivere i loro aumenti del capitale. I quali aumenti non sono appetibili per i privati (2). Alla fine, perciò sono gli Stati che debbono salvare le banche. Il costo di questa operazione è di qualche centinaio di miliardi di euro.
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