Nel corso del 2011 la parola “spread” (divario, distanza) è entrata velocemente nel linguaggio comune e consiste nel valore che separa il rendimento di un titolo da un altro (calcolato in percentuale e per scadenza identica). In particolare, la distanza più seguita è quella tra i titoli a dieci anni italiani rispetto ai corrispondenti tedeschi: se cresce ci allontaniamo, se diminuisce ci avviciniamo. Il termine è usato tecnicamente ormai da molto tempo e serve a misurare l’appetibilità relativa tra qualunque classe di attività che generi un rendimento, tenuto conto, se possibile, di tante altre variabili (politica, economia, rating, liquidità ,…).
Nel nostro caso, è l’ultima variabile, la liquidità, che proviamo a considerare in termini di spread. Lo facciamo utilizzando i rendimenti di due classi di attività che sono molto vicine all’operatività giornaliera delle banche: la prima è il tasso interbancario con scadenza a 3 mesi (c.d Euribor), la seconda è il tasso interbancario con scadenza “overnight” (dalla sera alla mattina, c.d. Eonia) ma scambiato fra 3 mesi (c.d. swap, scambio). Senza complicare il ragionamento, la differenza tra questi due rendimenti dice il grado di fiducia esistente tra le banche appartenenti uno stesso sistema valutario (euro, dollaro e via dicendo). Più è basso e più le banche si scambiano tranquillamente denari e viceversa. Ciò avviene perché, sebbene entrambi i tassi rappresentino prestiti non garantiti, è più certo che una banca mi restituisca i soldi domani mattina che fra 3 mesi.
Il valore corrente segnala la difficoltà delle banche a concedersi prestiti nonostante i continui tentativi della banca centrale europea di ridare liquidità ed affidabilità agli scambi interbancari attraverso operazioni di rifinanziamento che comunque sono, per loro naturale conformazione, di breve durata mentre il mercato ha bisogno di tranquillità in un arco temporale medio lungo. E’ come se tutti stessero fermi nella convinzione che ciò che è accaduto a Dexia possa ripetersi in breve tempo senza la percezione che un evento simile venga affrontato con le modalità idonee ad evitarne le conseguenze sul sistema. In sostanza, l’elevato valore di questo divario dice che non è la BCE a dover intervenire per togliere dal sistema gli elementi di rischio che lo bloccano ma una più decisa politica fiscale a livello di singoli Stati e/o l’assunzione da parte di enti sovranazionali (ad esempio EFSF= European Financial Stability Facility, EIB= European Investment Bank) di responsabilità che al momento non sono pienamente delegati ad assumersi. Il tempo non gioca a favore.
Possiamo dare uno sguardo alla situazione della liquidità delle singole banche europee. Le banche nel riquadro in alto a sinistra (scritta rossa) sono poco liquide e devono restituire entro un anno una grossa parte dei loro debiti. Viceversa, le banche nel riquadro in basso a destra (scritta azzurra) sono liquide ed hanno il debito prevalentemente con scadenze lunghe. Bisogna aggiungere che le banche nei due riquadri a destra sono quasi tutte (12 su 10) fuori dall’area euro e quindi beneficiano di politiche fiscali accomodanti o della possibile fluttuazione del cambio per risanare i propri bilanci (le due banche euro sono Santander, banca internazionalizzata e fortemente presente nel Regno Unito, e l’austriaca Erste). Quindi, il sistema bancario euro è rappresentato nei due riquadri di sinistra, dove l’unica banca non euro è la norvegese DnB Nor.
© Riproduzione riservata