Qual è la differenza fra i regimi autoritari di oggi e quelli del passato non troppo remoto? Quelli odierni differiscono dai loro predecessori dei tempi della Guerra Fredda, perché cercano di imitare il governo democratico, consentendo le elezioni.

Qual è la differenza numerica fra i diversi regimi autoritari di ieri e di oggi?

Un grafico aiuta a inquadrare. Come si vede, sono aumentati i regimi personalistici, diminuiti quelli a partito unico e i regimi militari, mentre sono stabili quelli monarchici. Le dittature monarchiche sono quasi tutte in Medio-Oriente. Le dittature militari sono cresciute di numero durante la Guerra fredda e poi si sono velocemente ridotte con la fine di questa. Le dittature mono partito sono ascese e discese soprattutto con l’espansione e la contrazione del Comunismo. Infine, sono in ascesa le dittature basate su una figura preminente.

Riveste un particolare interesse la Russia, che è passata da un regime socialista a partito unico ad una autocrazia guidata da un leader.

L'evoluzione
L'evoluzione
Fonte: Erica Frantz, Authoritarianism

Gorbachev versus Deng

L'Unione Sovietica è caduta velocemente. Come è possibile che ciò sia avvenuto? Per quante rigidità e inefficienze potessero esserci, un rimedio si sarebbe pur potuto trovare. A riprova che un rimedio ai limiti delle economie socialiste avrebbe potuto esserci, si ha il successo delle riforme della Cina di Deng Xiaoping.

Alcuni numeri fotografano l'accaduto degli ultimi decenni, ossia la caduta e poi la stagnazione russa, e la gran crescita cinese. Sia la Cina sia la Russia hanno oggi un reddito pro capite (calcolato in dollari, senza inflazione, e a Parità di Potere di Acquisto) pari a circa un terzo di quello degli Stati Uniti. Come si vede dal grafico, la Cina ha recuperato l'enorme differenza che aveva con l'Unione Sovietica a partire dal 2000, ed ha raggiunto prima e poi superato il livello del reddito pro-capite che quest'ultima aveva negli anni Settanta.

Falce e martello
Falce e martello
Fonte: Maddison Project, World Economic Outlook 2017

I tre complessi contrari alle riforme di Michail Gorbachev erano quello della difesa, quello agricolo, e quello dell'energia. Il complesso della difesa era il più grande. Era pari a circa il 20 per cento della produzione industriale, al 75 per cento della ricerca e sviluppo, e impiegava il 10 per cento della forza lavoro. Riformando i tre complessi, Michail Gorbachev contava di aumentare la produttività. In questo modo avrebbe potuto ottenere lo spazio fiscale per accrescere il tenore di vita della popolazione.

I meccanismi di erosione

Intanto che le riforme dei tre complessi non procedevano, giunse il calo dei prezzi del petrolio, da cui dipendeva la parte maggiore delle entrate – e quindi della spesa, dello stato. Gorbachev cercò di mantenere invariato il tenore di vita della popolazione con la crescita del deficit di bilancio. Nel 1985 il disavanzo dello stato, che era minimo, passò al 2 per cento del PIL, ma nel 1990 raggiunse il 10 per cento del PIL. Nel 1991, l'ultimo anno dell'Unione Sovietica, il disavanzo superò il 30 per cento del PIL.

Gorbachev, insomma, evitò di tagliare il tenore di vita, e, a differenza di Deng Xiaoping, promise che non avrebbe usato la forza per reprimere il malcontento.

I deficit furono finanziati anche con il debito estero, che passò dal 30 per cento del PIL nel 1985 all'80 per cento nel 1991. I mercati però non assorbivano tutto il debito necessario per finanziare il deficit e il governo cominciò a finanziare il deficit stampando moneta. I prezzi in Unione Sovietica erano controllati, quindi la monetizzazione del deficit di bilancio non avrebbe potuto che tradursi nell'inflazione <<repressa>>. La quale genera carenze di offerta e prezzi elevati nel mercato nero. Alla fine, è arrivato il collasso.

La spiegazione economica è insufficiente

Approfondiamo l'argomento del collasso. L'inerzia giocò un ruolo. Sia il governo sia l'opinione pubblica avevano capito che il sistema sovietico era giunto ad un punto di non ritorno, ma, allo stesso tempo, non credevano che potesse crollare. Alla base della convinzione si aveva l'esperienza degli enormi shock che l'Unione Sovietica aveva superato per settanta anni. La convinzione ruotava intorno a due esperienze maggiori, la vittoria nella seconda guerra mondiale e quella di essere diventata una delle due superpotenze. Il livello di sviluppo raggiunto contribuiva ad alimentare l’inerzia.

Quando Deng Xiaoping iniziò le sue riforme, la Cina era un paese povero e rurale (vedi il grafico, infatti, il reddito pro capite era intorno a un decimo di quello statunitense). I cinesi sapevano che la crescita economica era cruciale per realizzare qualsiasi aspirazione nazionalista volta a riportare la Cina sulla scena mondiale. L'Unione Sovietica di Michail Gorbachev, invece, era un paese a reddito medio con tassi molto elevati di alfabetizzazione, urbanizzazione e industrializzazione, nonché una superpotenza militare. L'incompetenza delle élite giocò, infine, un ruolo. Il sistema sovietico aveva, infatti, formato le non poche generazioni dalla Rivoluzione d’Ottobre con delle teorie di scienze sociali obsolete ed anche ideologiche, e con una selezione della leadership che era basata sulla lealtà piuttosto che sui risultati.

La «trappola del reddito»

Gli eventi che si è provato fin qui a tracciare possono avere una spiegazione economica e politica più ampia, grazie alla teoria della «trappola del reddito». Laddove si afferma che i paesi a basso reddito e quelli medio reddito devono affrontare dei percorsi di sviluppo diversi. I Paesi poveri - come la Cina fino agli Ottanta - per procedere nello sviluppo dovrebbero concentrarsi sulla allocazione della popolazione da rurale a urbana, sulle infrastrutture, e su una industria basata sulla forza lavoro a basso costo. Al contrario, i Paesi a reddito medio - come l'Unione Sovietica negli anni Ottanta e la Cina odierna - sono troppo vicini alla «frontiera della produttività» per potersi affidare solo all'imitazione delle tecnologie sviluppate dagli altri. I Paesi a reddito medio dovrebbero quindi sviluppare istituzioni politiche ed economiche che promuovano l'innovazione, piuttosto che l'imitazione. Istituzioni che richiedono però la concorrenza e quindi la libertà di intrapresa. Delle istituzioni che non sono compatibili con il contenimento o la soppressione del dissenso.

Una nuova forma di autocrazia

A seguito della caduta dell’Unione Sovietica si è imposto prima un regime di oligarchie economiche e poi un regime politico autoritario. Dall’eredità industriale sovietica, centrata soprattutto sullo sfruttamento delle risorse naturali, è sorta una classe di proprietari per i quali è cruciale l’acquisizione di posizioni pubbliche per garantire l’estrazione delle rendite. Lo sviluppo economico basato su livelli alti di istruzione, sulla fondazione di nuove imprese, e sui mercati finanziari trasparenti è qualcosa di estraneo a questa élite. Diventa così difficile intraprendere un percorso verso la modernità.

Cruciale quindi è comprendere il passaggio verso un sistema di autocrazia con caratteristiche nuove. Ciò che non è accaduto solo in Russia.

Putin, Chávez, ed Erdogan hanno smantellato la democrazia con un passo lento

Sono arrivati al governo con le elezioni. Poi hanno usato lo scontento diffuso per ridurre i vincoli al proprio potere. Lo schema è stato quello di imporre i propri uomini nel sistema giudiziario, nella sicurezza, intanto che si neutralizzava il sistema mediatico. Così non si è avuto un attacco visibile alla democrazia, ma un attacco occulto che ha portato all'autocrazia. Va notato che all'autocrazia sono arrivati con un lavorio entro le istituzioni. Va anche notato che al potere non è andato un partito – come nel modello comunista - o un corpo militare – come con il golpismo classico - ma una personalità - un «uomo forte».

Le caratteristiche di questi sistemi autoritari ruotanti intorno ad un uomo forte sono:

  1. un cerchio magico di fedeli
  2. la creazione di un partito personale
  3. la narrazione che li giustifica che si articola così: grazie ai poteri straordinari di cui dispone l'autocrate si possono risolvere i problemi del paese; il quale è finito dove è finito per l'incompetenza e la corruzione delle élite che si vanno a sostituire
  4. gli esperti non vanno creduti, mentre va creduto il rapporto pneumatico fra il duce (che sa che cosa si deve fare) e il suo popolo (che gli crede); chi dissente (esistendo una sola verità, che è rivelata, quindi non sottoposta a dimostrazione) è per conseguenza un «nemico del popolo».

A differenza dei regimi dittatoriali degli anni Trenta quelli autocratici di oggi non spingono alla mobilizzazione delle masse, perché le preferiscono acquiescenti. I sistemi di propaganda degli anni Trenta come la radio aiutavano la diffusione di pochi messaggi che mobilitavano, mentre i media oggi disperdono i messaggi e quindi a creano una sorta di passività (rancorosa ...).

Il contributo che avete letto è un estratto dal nuovo volume di Giorgio Arfaras, «La storia non è finita. Dalle origini del capitalismo alle varianti occidentale e orientale», Guerini e Associati, 2021. Per gentile concessione dell'Autore e dell'Editore