Pur con alti e bassi, gli investimenti della Cina in Africa si stanno espandendo anche ad altri settori, oltre a quello minerario e petrolifero.

I finanziamenti esteri cinesi sono diventati negli anni sempre piu' importanti e influenti a livello globale. Tra il 2004 e il 2013, questi investimenti sono aumentati del 13,7% all'anno, da 45 miliardi di dollari a 613 miliardi. A partire dal 2010, due banche statali cinesi, la China Development Bank (CDB) e la Banca Export-Import della Cina (China Exim), hanno effettuato maggiori prestiti ogni anno ad altri paesi in via di sviluppo che la Banca Mondiale.
Nel 2014 la Cina è stata l'elemento guida della Banca di sviluppo dei BRICS, della Infrastructure Investment Bank in Asia (AIIB) e del Silk Road Fund. Cio' a simboleggiare la crescente influenza del paese nel finanziamento dello sviluppo globale (Figura 1).

Le imprese statali, privilegiate nell'accesso al credito gestito centralmente dal governo, hanno iniziato a guardare oltre i confini nazionali con l'Africa che è diventata la prima destinataria di investimenti diretti esteri (FDI). D'altro canto, secondo la Pew Global Attitudes Survey, nel 2015, gli africani vedono la Cina in modo più positivo (il 70% è favorevole) rispetto ad altre regioni come l'Europa (41%), l'Asia (57%), o l'America Latina (57%).
Da una parte, gli ottimisti sostenevano che la Cina stia giocando un ruolo fondamentale nel colmare le lacune finanziarie e tecnologiche dell'Africa, un ruolo che i paesi e le aziende occidentali sono stati incapaci di ricoprire, soprattutto dopo che la crisi economica ha paralizzato la maggior parte del mondo sviluppato. Al contrario, gli scettici mettono in dubbio le motivazioni alle spalle degli investimenti cinesi e il loro impatto conseguente sull'Africa, teorizzando che la Cina stia tentando di ricolonizzare il continente africano e che investa in paesi con regimi politici rischiosi. E' importante riconoscere come la presenza di aziende in Africa sia possibile solo grazie allo sforzo dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO in inglese) che, negli ultimi anni, ha abbassato le tariffe commerciali per incentivarne l'apertura dei mercati. Ironicamente quindi, e' stata propio l'OMC a creare terreno fertile e attraente per gli investitori esteri.

Il continente africano ha a lungo beneficiato di significativi afflussi di investimenti diretti esteri dalla Cina. Attualmente, più di 16 miliardi di dollari del portafoglio estero del paese e' diretto in Africa, con un aumento degli investimenti diretti esteri da 392 milioni di dollari nel 2005 a 2.5 miliardi nel 2012 (dati del Ministero cinese del Commercio). Secondo la Brookings, nel 2013 il totale degli "overseas direct investment" (ODI) mostra addirittura uno stock di 26 miliardi di dollari (Figura 2).
Nel dettaglio, nel 2012, più della metà delle esportazioni si è diretta principalmente a quattro paesi: Sudafrica (21%), Nigeria (12%), Egitto (11%) e Algeria (7%). Questi finanziamenti, secondo la Banca Mondiale, si stanno sempre piu' espandendo dal settore minerario e petrolifero ad altri settori come quello agricolo, delle infrastrutture e del turismo. Nel 2010, il 61% delle fusioni e acquisizioni venivano fatte nel settore energetico e minerario: nel 2014 questo numero e' sceso al 16%. Inoltre, la percentuale di investimenti in settori tecnologici, media e telecomunicazioni si e' alzato dal 6 % del 2010 al 21% nel 2014 e il settore manifatturiero e' arrivato al 22%.
Nel periodo 1998—2012 quasi 2.000 aziende cinesi hanno investito in 49 paesi africani registrando piu di 4.000 progetti (Figura 3).

Durante una visita all'Unione Africana nel 2014, il premier cinese Li Keqiang, ha annunciato che la Cina intende arrivare ad una valore commerciale di 400 miliardi di dollari in Africa e di aumentare gli FDI a 100 miliardi entro il 2020. Questi soldi dovrebbero essere maggiormente incanalati attraverso delle Agenzie cinesi di credito, inclusa la nuova BRICS Bank.
Tuttavia, i dati del primo trimestre 2015 sono molto diversi: gli investimenti in progetti greenfield e per l'espansione dei progetti esistenti in Africa è diminuito dell' 84%, da 3.54 miliardi di dollari a 568 milioni
(Figura 4). Malgrado gli investimenti complessivi siano scesi bruscamente, quelli nelle industrie estrattive sono quasi raddoppiati. La spesa cinese su progetti nel settore petrolifero, gas , carbone , minerario e metallurgico in generale è passata da 141.4 milioni di dollari a 288.9 milioni.
La diminuzione degli investimenti complessivi è sia connessa all'incertezza politica dei paesi nord africani, sia alla bolla immobiliare cinese che potrebbe vedere la domanda di materie prime africane scendere ulteriormente.
Tuttavia, quello che e' spesso poco tenuto in considerazione dai media, e' quanto la Cina abbia bisogno dell'Africa (Figura 5): essendo un'economia in forte crescita, il paese ha infatti un continuo bisogno di energia, di risorse e di accesso ai mercati africani, nonche' del sostegno politico dei suoi leader.

Si stima che l'Africa soffra di un deficit infrastrutturale di 900 miliardi di dollari: senza acqua potabile, strade, un adeguato sistema energetico e comunicazioni affidabili, le economie africane non potranno prosperare. La Cina potrebbe quindi giocare il ruolo della potenza mondiale che e' riuscita a portare i bambini a scuola e le merci sulle strade. Bisogna prestare attenzione, tuttavia, alla qualità e quantità dei prodotti cinesi, che possono risultare devastanti per le piccole aziende manifatturiere locali, come e' gia successo nel settore tessile sudafricano. Da tenere in considerazione sono anche le problematiche relative alle condizioni dei lavoratori e le violazioni dei trattati ambientali. Su questo specifico punto, vedremo se le forti affermazioni fatte dalla Cina a COP21 a Parigi ( taglio delle principale emissioni inquinanti, riduzione dell'uso del carbone e promozione delle fonti di energia più pulite), saranno mantenute e concretizzate.
La Cina riuscira' quasi certamente, in un modo o nell'altro, a rilanciare la domanda interna, e gli investimenti cinesi in Africa torneranno a crescere. Tuttavia, ora spetta all'Africa decidere se il guadagno netto verra' registrato da entrambe le parti, e se dunque il continente riuscirà a cogliere e controllare questa seconda probabile occasione.