Cosa significa consumare cultura in Italia? E chi sono i consumatori di cultura? Non sono domande secondarie in un Paese che, secondo il Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, possiede un patrimonio per un valore di almeno 986 miliardi di euro, tra attività finanziarie e non finanziarie. I fondamentali per imporsi come potenza culturale mondiale ci sarebbero insomma tutti. Eppure la strada è in salita. Racchiusa nella nota frase attribuita all’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ma da lui poi smentita, che «con la cultura non si mangia».

Ora nuovi alert lampeggiano anche in quello che potremmo chiamare consumo "domestico" di cultura. La prolungata frenata imposta dalla pandemia ha infatti avuto l’effetto di un diserbante: ha sradicato abitudini degli italiani e ha minato fatturati. Perché in nessun altro settore come in questo, il Covid ha segnato un prima e un dopo. Una demarcazione netta che obbliga le imprese culturali a ripensare il proprio prodotto, assediato anche dalla ripresa dell’inflazione che ha portato gli italiani a ridisegnare le spese familiari. Risultato: il comparto dei consumi culturali è tra quelli che ha subìto una maggiore riduzione della spesa.

Il vero nodo: chi consuma?

Carlo Fontana, presidente di Impresa Cultura Italia-Confcommercio, su questo punto è chiaro e spiega a Mondo Economico: «Oggi paradossalmente il tema non è quanto si consuma in Italia, ma chi consuma». È questa infatti la prima considerazione che emerge con forza dall’Osservatorio sui consumi culturali degli italiani, promosso da Impresa Cultura Italia-Confcommercio, in collaborazione con Swg. Un strumento di analisi arrivato alla decima edizione, che prende in esame i consumi 2022 attraverso interviste ad un campione di 1.009 cittadini italiani tra i 18 e i 74 anni.

In sintesi: i consumi culturali sono in ripresa ma ancora sotto al livello pre-pandemico. Si ritorna dal vivo agli spettacoli e si stabilizza la crescita tra digitale e carta per libri, quotidiani e riviste. Rispetto al 2021 si registra una crescita della spesa per assistere a concerti dal vivo (+28,1 euro), partecipare a festival culturali (+9,7 euro) e per visitare mostre e musei (+8,7 euro). Un chiaro desiderio di tornare in presenza, allontanandosi dalla fruizione digitale. La proiezione dei consumi futuri, rispetto al 2022 è invece in calo, con l’eccezione di riviste/fumetti e quotidiani (18%) e concerti dal vivo (dato stabile al 14%).

Uno su tre ha tagliato il budget

Ma è tra le pieghe dei grafici dell’Osservatorio che emergono i trend più interessanti. Torniamo all’affermazione di Fontana. Tra spese sostenute nel 2022 e previsioni per i prossimi mesi, si evidenzia un pericoloso andamento: da un lato si riduce il numero di consumatori, dall’altro aumenta la spesa media di chi continua ad acquistare beni e servizi culturali. Per più di 1 intervistato su 3 i consumi culturali sono stati tagliati: il 14% del campione afferma di non spendere denaro. Mentre, tra chi spende, il 39% dichiara di avere ridotto la spesa a fronte di un 17% che l’ha aumentata. Significa che il pubblico in Italia non sta crescendo e che gli aumenti di consumi sono da attribuire sempre ai “soliti noti”, ai consumatori abituali. Con un ulteriore allargamento della forbice tra Nord e Sud che colpisce maggiormente le classi sociali con un capitale economico e culturale più basso e che già avevano livelli di spesa più modesti. La divaricazione sociale a questo punto è evidente.

È un trend che va tenuto sotto osservazione perché ci dice che il meccanismo di costruzione di nuovi consumatori - a partire dai giovani - si è inceppato. Per invertire la rotta servono correttivi. Impresa Cultura Italia lancia alla politica una proposta: avviare una capillare opera di formazione sui giovani. «Vanno coinvolti con progetti accattivanti. Serve un percorso che parta dalle scuole, che aiuti a comprendere il valore del libro, del cinema, del museo, del teatro» dichiara Carlo Fontana. «Io credo molto in questo percorso. L’ho seguito in ogni incarico che ho ricoperto, provando a far capire ai giovani che la cultura non è un’appendice o un corollario della nostra vita. Ma tutta la nostra vita è permeata dalla cultura».

App18, un bonus da promuovere

Positivo in questo senso il bilancio di App18, il bonus cultura per i diciottenni attivo fino al 31 ottobre 2023. «È uno strumento che aiuta ad avvicinare i giovani al consumo culturale e, soprattutto, a sentirsi liberi nell’indirizzare le proprie scelte sui consumi culturali» spiega Fontana. «Ci siamo battuti molto contro la sua abolizione. Sappiamo che ci sono delle storture nell’utilizzo, ma questo non indebolisce l’efficacia dello strumento».

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Ma ritorniamo ai numeri. Perché la ripresa del 2022 mostra dinamiche molto diverse all’interno degli specifici consumi. Un esempio: la fruizione di programmi, film e telefilm in tv da canali a pagamento è aumentata del 10% rispetto al 2019. E qui si mostra in tutta la sua fragilità il vero “convalescente” del post pandemia: il cinema. Cinetel, la società partecipata da Anec (Associazione nazionale esercenti cinema) e Anica, la principale associazione di settore, ha diffuso in queste settimane il Rapporto annuale 2022. Il crollo è impressionante. Le sale italiane hanno perso il 50% di spettatori rispetto al 2019. Bastino due dati: nel 2017, 92,3 milioni di persone sono andate al cinema (incasso 585 milioni di euro); nel 2022 sono entrati in sala solo 44,5 milioni di spettatori (incasso 306,6 milioni di euro).

Il modello multisala è superato

Qui i nuovi stili di vita post pandemia, i mega schermi domestici a prezzi accessibili, la concorrenza delle piattaforme digitali (spinta soprattutto dalle generazioni più giovani) hanno messo il carico da undici. La fruizione in sala dei film va dunque ripensata. Ma da dove ripartire? «Il multisala è un modello superato, bisogna raccontare una storia nuova» ci dice Carlo Fontana. «Non può essere solo il luogo dove si vede un film: dev’essere una struttura polivalente che diventa uno dei cuori culturali pulsanti di un territorio. È vero che l’esperienza in sala è molto diversa dall’esperienza a casa, ma non è più sufficiente. Serve qualcosa di più».

Ancora una volta tocchiamo con mano l’effetto Covid. Secondo Fontana, la pandemia ha cambiato molto il pubblico dei prodotti culturali ma «paradossalmente ha accompagnato la costruzione di un nuovo pubblico che ha di nuovo voglia di condividere esperienze con gli altri. Ora sono gli operatori culturali e dello spettacolo a dover cogliere questa sfida, comprendendo che se non si affianca un prodotto di qualità non basterà la sola voglia di stare insieme a fidelizzare questo nuovo pubblico».

Già fidelizzare. Perché dalla ricerca diImpresa Cultura Italia-Confcommercio emerge che la formula dell’abbonamento oggi è in forte declino. Il Covid ha messo in dubbio il domani, un impegno più lungo sembra un azzardo. «Funziona molto il consumo “mordi e fuggi”. Ecco perché serve una grande azione di formazione del pubblico».

Serve anche un sostegno economico. «Proponiamo uno strumento sul quale tutti, a parole, si dicono d’accordo: la detraibilità dei consumi culturali. Bisognerebbe mutuare il modello dei farmaci: quello che spendi, in quota parte, ti viene restituito sotto forma di detrazione fiscale. Ma se guardo la strada della nuova riforma fiscale, non vedo un clima politico favorevole alla defiscalizzazione di questi consumi. Purtroppo la politica pensa spesso di avere altre priorità e noi abbiamo il dovere di farle capire che la cultura è una priorità».

Contemporaneamente sembra necessaria anche una attività di informazione sui cittadini. Negli ultimi tre anni si è diffuso in Italia un ampio sentiment di assistenzialismo che ora rischia di contagiare la cultura. Secondo l’Osservatorio Confcommercio-Swg, cresce il numero di italiani che ritiene che le iniziative culturali debbano essere finanziate con denaro pubblico con l’estensione del bonus cultura a tutta la popolazione. Carlo Fontana non è d’accordo: «La cultura va intesa come servizio pubblico, fruibile da tutti. Quindi, il supporto dello Stato e degli enti locali non può mancare. Ma se sosteniamo con forza che “con la cultura si mangia” dobbiamo altrettanto dire che “con la cultura si fa impresa”. Non basta allora il sostegno pubblico. Servono risorse e mentalità private».