Per poter dichiarare che “l’Italia è in ritardo” nell’elettrificazione occorre capire rispetto a cosa, a chi e l’eventuale perché. Il “cosa” è l’obiettivo che si persegue; il “chi” sono le nazioni con le quali ci confrontiamo; il “perché” va di conseguenza: li analizziamo tutti e tre.

Quale obiettivo perseguire?

L’obiettivo – forse - è la delibera del Parlamento europeo (febbraio 2023) che determina che tutti i veicoli leggeri immatricolati dal 2035 riducano la CO2 del 100% rispetto al 2021. Questo obiettivo, da un punto di vista tecnico-scientifico, è mal posto.  L’anidride carbonica, infatti, non è un inquinante – a meno che non sia concentrata ad elevatissimi livelli, e non è il caso che ci riguarda - ma si disperde nell’atmosfera, contribuendo all’effetto serra, effetto al quale si attribuiscono i cambiamenti climatici.  

Poiché è stata indicata l’eliminazione locale delle emissioni di CO2 per tutti i veicoli immatricolati in Europa, l’obiettivo sembrerebbe il contenimento dell’effetto serra, stante il fatto che non viene generato inquinamento locale dalla CO2 in sé.  

Al contempo, poiché tutti i combustibili – consumati nei veicoli - emettono CO2, seppure alcuni in minima quantità, eliminando la CO2 si eliminano anche i combustibili, a meno che non si riesca ad assorbire CO2 producendoli.

Tuttavia, com’è noto, non è affatto detto che l’obiettivo d’azzerare le emissioni di CO2 emesse a livello locale da un motore a combustione interna (Mci), o termico, non ne aumenti le emissioni a livello globale!

Pertanto la pura misurazione delle emissioni di CO2 dei veicoli stradali a livello locale in un determinato territorio (città, nazione o continente) rende il problema della CO2 un problema altrui, globale, e non affronta la questione del cambiamento climatico: i veicoli solo elettrici non hanno il tubo di scappamento!

Quindi, considerando che tale delibera del Parlamento europeo ha un movente o perlomeno un sapore nettamente ambientale, tale obiettivo ambientale è parziale, quindi debole. Con tale delibera potrebbero anche aumentare le emissioni di CO2 nella catena energetica complessiva, in quanto:

  1. dipendiamo in Ue molto da combustibili fossili ed i trasporti usano derivati dal petrolio per oltre il 92% dell’energia impiegata, consumando 1/3 dell’energia prodotta a livello Ue; le rinnovabili, che oggi arrivano a ~19% sulla produzione energetica nazionale (36-39% su quella elettrica) a distanza di parecchi anni dal loro avvio, per coprire i trasporti stradali dovrebbero arrivare ad almeno 2.6 volte l’incidenza attuale, in via teorica;
  2. sovente il Wtw[1] dell’energia necessaria per un veicolo elettrico a batteria (Bev, , battery electric vehicle) è superiore a quello di un termico, soprattutto se riferito al ciclo di vita (Life Cycle Assessment, Lca); nel ciclo di vita sono peraltro comprese materie prime (Litio, Nickel, Cobalto, Terre rare, Rame,…), che sarebbero necessarie – in un mondo di soli veicoli Bev - in quantitativi secondo alcune fonti superiori alla disponibilità terrestre, a meno che non si abbandoni, più o meno estesamente, l’auto;
  3. calcolando il rendimento della catena energetica è assai difficile dimostrare che un veicolo elettrico consumi nel suo complesso (dalla materia prima alla ruota) meno energia di un veicolo solo termico moderno; solo in città questo può essere dimostrabile perché – con la regolazione semaforica, traffico inteso, ricerca della sosta con relative manovre – il Mci lavora nelle zone della sua mappa a più basso rendimento: anche sotto al 20%, ad esempio 17-18%; fuori città, considerato che per rendere disponibile un combustibile all’utente finale, indicativamente il rendimento del processo che lo porta fino al consumo è di circa 1:6, fatta 100 la quantità di energia primaria (oggi quasi sempre petrolio), con il Mci alle ruote ne avremo circa un terzo.

L’alternativa del motore elettrico oggi comporta, oltre al processo di estrazione ed energetico a monte della centrale, produrre energia presso la centrale stessa, che ha un rendimento; a questo valore va affiancato il rendimento della distribuzione della corrente elettrica, quello della ricarica, quello elettrochimico della batteria, l’eventuale effetto invecchiamento della batteria e quello del motore elettrico: siamo sotto al 30% di rendimento complessivo o lì attorno.

Un nodo chiamato batteria

Il motore elettrico non è un problema, il problema è la batteria. Il motore elettrico permette di annullare le emissioni locali e di recuperare energia in frenatura, affiancando il motore termico – nelle architetture ibride – nelle fasi più critiche per quest’ultimo.

Il Bev quindi non vince affatto nei confronti di un Mci in termini di rendimento energetico complessivo, e di conseguenza di emissioni globali, figuriamoci nei confronti di un powertrain ibrido, i cui consumi sono sensibilmente più bassi, in funzione dell’architettura e del modo d’impiego dell’autoveicolo. Diverso sarebbe il caso di fonte energetica rinnovabile o nucleare, verso le quali la delibera del Parlamento forse inconsapevolmente spinge, ma in tal caso occorre fare i conti con i tempi di attuazione e la sensibilità della popolazione.

In ritardo rispetto a chi?

Pertanto gli italiani fanno bene, a mio avviso attuale, a non perseguire ad occhi chiusi quell’“obiettivo”: in genere gli italiani hanno delle teste abbastanza libere di pensare con senso critico e sono poco inclini alla subordinazione generale, cosa più ricorrente in altre nazioni centro-settentrionali dell’Europa. Questo senso critico, in altri casi deleterio mi pare corretto con una delibera così monca.

Un parco circolante esclusivamente di veicoli elettrici (Bev) non risponde alle regole di mercato e tantomeno ad obiettivi ambientali, se non in modo parziale.  Esso risponde invece ad una quota, limitata, della domanda di trasporto stradale e ad una quota, polarizzante, dell’offerta industriale.

L’obiettivo va collocato in un’accezione quindi più completa di sostenibilità, nella quale questo desidera inserirsi; la sostenibilità prevede notoriamente altre due dimensioni: economica e sociale; socialmente parlando non ci siamo: un bagno di sangue in termini di posti di lavoro di quella che è stata per decenni - ed è tutt’ora, seppure con un ruolo in parte ridotto - l’industria delle industrie in Europa, che ha trainato l’economia, di tutti i tipi, anche quella delle costruzioni d’infrastrutture viarie.

C'è ricarica e ricarica

Neppure economicamente ci siamo, perché, oltre al costo d’investimento, il costo di una ricarica è interessante se questa è ordinaria (sovente detta erroneamente lenta): 20-30 centesimi di €/kWh; ma ciò ha un senso se si dispone di una ricarica privata: non c’è “il cronometro”; mentre si riposa o si lavora la batteria si ricarica, per lo meno nella conciliabilità tra 5-8 ore disponibili ed una batteria da 8-15 kWh, come quelle di un veicolo ibrido plug-in.

Nel contesto italiano, da una disamina di dati del catasto, esistono 15.727.153 posti auto in edifici privati, sia stalli singoli sia come garage: tale numero – non sempre equipaggiabile con una postazione di ricarica (che può costare, progetto incluso, anche circa 6.000 €) – andrebbe a coprire solo 39,6% del parco circolante. Alla luce dei risultati delle simulazioni basate sulla teoria delle code e delle caratteristiche dei punti di ricarica installabili su suolo pubblico nonché dei Bev perseguiti emerge una vita quotidiana insostenibile per gli utenti delle auto. Anche postulando un enorme dispiegamento di punti di ricarica accessibili a tutti, tale processo richiede una programmazione piuttosto rigorosa degli impegni quotidiani per far sì che il veicolo soddisfi il bisogno di mobilità, e non basterebbe sui grandi numeri. La ricarica eseguita ad alta potenza consente apparentemente maggiore libertà; tuttavia, porta in dote costi elevati in termini d’installazione delle infrastrutture e della ricarica stessa (oggi tra i 50 ed 80, ed oltre, centesimi di €/kWh), più del doppio rispetto al Bep sul rifornimento (38-40 cent di €). Alternativa: lunghe piste di ricarica induttiva in movimento lungo le strade.

La sorpresa norvegese

Allora, siamo forse “in ritardo” rispetto a questo traguardo di innumerevoli colonnine di ricarica su suolo pubblico installate a gran ritmo in altre nazioni o siamo solo più guardinghi nei confronti di un mondo troppo idealistico ed anzi fortemente penalizzante la quotidianità? Sull’esperienza ed investimenti ventennali messi in atto dal primo paese al mondo in termini di parco elettrico ed investimenti per perseguirlo, la Norvegia, un commento solo: la disponibilità effettiva di ricarica domestica o in prossimità di casa (circa 88% dei norvegesi possessori di Bev) e la possibilità di utilizzare l’auto Bev come seconda auto (circa 90% dei casi, con prima auto con motore termico).

 -1. continua

[1] Il Wtw (well to wheel) è un indice energetico che quantifica l’energia necessaria per rendere disponibile un carburante nel “serbatoio”, in senso lato, di un mezzo partendo dalla fonte primaria (well), e l’energia usata per eseguire lo spostamento vero e proprio del mezzo stesso.