Nell’anno accademico 1965-66 seguivo il corso di Economia Politica II tenuto da Sergio Ricossa. Nato nel 1927, il professore non aveva ancora 40 anni, ma a me, giovane studente, sembrava provenire da un’altra epoca, anche per la figura austera e la serietà. In una lezione ci disse che l’Unione Industriale aveva sottoscritto un certo numero di abbonamenti a Mondo Economico, per gli studenti; chi era interessato a riceverlo poteva dargli l’indirizzo, cosa che feci. Come ha scritto Siro Lombardini “Bruno Pagani (…) aveva inventato e diretto Mondo Economico” (nel 1947, aggiungo). Ogni settimana, salvo qualche numero doppio, la posta mi consegnava il fascicolo dalla copertina bianca, con l’indice degli articoli. Il frutto dell’opera dell’instancabile Pagani erano articoli di firme importanti e meravigliosi inserti di documentazione, con materiale altrimenti introvabile.
Posso affermare con sicurezza che quella rivista ha contribuito in misura rilevante alla mia preparazione per la vita professionale e accademica. Ora si ricomincia, con l’attenzione al difficilissimo e imprevisto 2020 e al futuro che l’esperienza della pandemia contribuirà a formare. La rivista rinasce a Torino ed è quindi interessante guardare alla regione e alla città, dal passato al futuro. L’occasione la dà rilettura, a 50 anni di distanza, di un inserto di molte pagine de Il Sole 24 Ore del 18 luglio 1970, dedicato al Piemonte, con approfondimenti copiosi il 23 e il 25 luglio successivi.
Tra i due curatori, Dante Ferrari e Ambrogio Mariani, il primo fu attentissimo alla nascita delle Regioni e molte volte scrisse a proposito del Piemonte. All’inserto parteciparono, con interventi e dichiarazioni, i nomi più significativi del tempo e le imprese più importanti. Una citazione per tutte, la Ferrero è indicata come “La più grande industria dolciaria del M.E.C.”.
Come vedevano cinquant’anni fa il futuro e quindi il nostro tempo? Lo sguardo in avanti, su cui riflettere oggi, è quello del presidente della Camera di Commercio di Torino, l’industriale Giovanni Maria Vitelli che, come imprenditore, guidava la Venchi Unica, grande marchio storico nato dalla fusione della Venchi, creata dall’operaio dolciere Silviano Venchi, che aprì il suo iniziale laboratorio nel 1878, e della Unica dell’imprenditore e finanziere Riccardo Gualino. La Venchi Unica era una grande realtà produttiva, poi ci fu la scalata in borsa da parte di Sindona e la storia finì con un tracollo. (Il marchio Venchi è rinato, con importanti stabilimenti nel cuneese, ma questa è un’altra storia, per fortuna molto positiva).
Ritorniamo a Vitelli presidente della Camera di Commercio. Nell’analisi del 1970 si indica che la provincia di Torino contribuisce al PIL italiano con il 6%, avendo il 61% di occupazione industriale (10% in agricoltura e 29% nel terziario). Ora ci vuole l’intero Piemonte per produrre il 7,7% del PIL nazionale e, rispetto al totale provinciale, gli occupati nell’agricoltura sono l’1% e quelli dell’industria il 29%. Un altro mondo, un altro scenario.
Automobili e macchine per ufficio sono indicate come le produzioni prevalenti dell’industria della provincia di Torino, annotando che in entrambi i casi si tratta del 90% della produzione nazionale. Vitelli illustra anche l’integrazione verticale che sostiene quella grande specializzazione, dagli penumatici, alla metallurgia, ai cuscinetti a rotolamento, alle vernici, ai ricambi, alle materie plastiche. Un contrappeso alla grande concentrazione è intravisto nella produzione di elettrodomestici e di macchine utensili, mentre stavano già allora perdendo importanza il tessile e la conciaria, avendo invece rilievo la carta, la tipografia, la chimica, la dolciaria e i liquori. Quindi si dice del terziario, anche collegato alle grandi mostre annuali, con i Salone dell’auto, della Tecnica, dell’Abbigliamento, delle Arti domestiche, della Montagna, dei Profumi e cosmetici. Sembra impossibile che ci fossero tanti nuclei così importanti e che siano stati smarriti.
E nella prospettiva degli anni ’80? Vitelli annota con grande chiarezza che “il problema fondamentale dell’economia torinese è indubbiamente rappresentato dalla necessità di una maggiore diversificazione dell’apparato produttivo. Il progresso socio-economico che è venuto realizzandosi dal dopoguerra è stato determinato soprattutto dalla vivace espansione di poche industrie chiave e delle industrie ad esse collegate, mentre relativamente minore è stato lo sviluppo dei restanti rami industriali, dell’agricoltura e delle attività terziarie”. Segue l’auspicio che “si affermino di più le cosiddette industrie autonome e svincolate da rapporti di complementarità con quelle motrici£ e che “migliori la produttività dell’agricoltura e del settore distributivo”. Si citano anche, accanto agli squilibri settoriali, quelli di natura territoriale.
Infine, si ricorda che la provincia di Torino, come il Piemonte del resto, per la collocazione geografica periferica e l’esistenza dello sbarramento alpino, si trova in una posizione di marginalità nei confronti del resto d’Italia ed Europa. A ciò si collegano il traforo del Frejus, le autostrade Torino-Piacenza e Torino-Savona e l’anello tangenziale, tutte opere allora in costruzione. Giustissimo, e dopo? Più nulla o quasi.
Spostiamoci di 50 anni, al 2020. Vitelli aveva visto giusto, ora siamo arrivati a fine corsa e si ha il dovere di ragionare su come ripartire.
A inizio agosto, molte imprese torinesi e piemontesi hanno ricevuto una lettera che inizia con «Caro fornitore, vogliamo comunicare alla sua società, per conto di Fca Italy e di Fca Poland, che il progetto relativo alla piattaforma del segmento B di Fiat Chrsyler, è stato interrotto a causa di un cambiamento tecnologico in corso. Pertanto vi chiediamo di cessare immediatamente ogni attività di ricerca, sviluppo e produzione onde evitare ulteriori costi e spese». Il punto più inquietante è quello dell’attività di ricerca e sviluppo, da cessare. Che cosa vuol dire? Che si immagina che diventi irrilevante un importante settore del Piemonte? La ricerca e lo sviluppo non sono dirette a un solo cliente, in molto casi non più, ma gli oneri sono sopportabili solo se suddivisi su più canali di vendita. Quella richiesta è addirittura più pesante dell’indicazione di cessare immediatamente la produzione.
Psa lavora in simbiosi con Faurecia, suo fornitore con oltre 120mila dipendenti, del cui capitale detiene più del 50%. Lì è concentrata gran parte della capacità di ricerca, necessaria anche per poter vendere, oltre che naturalmente a Psa, a Renault, Nissan, Ford, General Motors, BMW, Daimler, FCA, Toyota e Hyundai-Kia.
Sarebbe gravissimo se ripetessimo con l’automotive gli errori commessi con la grande informatica, quando non si seppe garantire in nessun modo lo spazio per la ricerca e l’innovazione, necessari all’Olivetti, ma altrettanto all’Italia, per restare in quel fondamentale settore. Certo è un compito per gli imprenditori e per le loro associazioni, con l’Unione industriale di Torino in primo piano. L’azione è urgentissima. Allo shock del cambiamento produttivo di Stellantis – che è il nuovo nome di Fca e Psa unite – si somma l’ancora più grande shock della radicale trasformazione dei veicoli, dal tipo di motorizzazione ai nuovi sistemi di guida. Ecco un ruolo anche per Università e Politecnico di Torino, tra l’altro con il corso di ingegneria dell’autoveicolo di quest’ultimo. Sono dunque tante le responsabilità distribuite tra gli enti del territorio
La Politica (con la P maiuscola, non ha caso), a tutti livelli, locale a nazionale, non può però voltarsi dall’altra parte. Pur sapendo che è molto tardi, restare inerti, lo ripetiamo, sarebbe un errore paragonabile a quello di cinquant’anni fa per i computer. La Germania ha varato investimenti pubblici enormi per lo sviluppo dell’auto. Accanto all’elettrico, la Germania esplora anche l’uso dell’idrogeno nei trasporti, con ricadute pratiche certamente non vicine, ma l’innovazione procede anche per balzi inattesi e seguendo canali imprevisti di diffusione. Qualcuno ricorda che una quindicina di anni fa a Torino era maturata una grande attenzione per l’innovazione energetica proprio nel campo dell’idrogeno?
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