«Passaggio generazionale non significa sempre e per forza far entrare i figli in azienda; a volte i figli non sono in grado o decidono di fare altro e anche la cessione a terzi è una strada possibile. L’importante è che l’azienda vada avanti e con il miglior assetto di governance possibile». La vede in maniera molto chiara Francesco Casoli, presidente di Elica, una delle più significative presenze industriali marchigiane nel settore della cappe aspiranti per cucine, e al vertice di Aidaf, l’associazione italiana delle aziende familiari.
Dottor Casoli, come sta andando il passaggio generazionale nelle imprese italiane?
«Va a macchia di leopardo. In alcuni casi riesce bene, in altri meno. Di certo non bisogna vergognarsi di fare un passo che a molti sembra un tradimento».
Quale?
«Quello di cedere l’azienda a soggetti esterni alla famiglia. Negli ultimi 15 anni, secondo una ricerca del Politecnico di Milano, vi sono stati circa 500 casi di cessione a terzi. A volte cedere l’azienda non significa tradire un ideale ma voler profondamente bene all’azienda stessa e darle un futuro reale; non sempre in famiglia ci sono le risorse per gestire un’azienda».
Con il vantaggio di rimettere il capitale in circolazione…
«Certamente anche questo. La cessione spesso genera nuova economia e grazie ai fondi che entrano in famiglia si possono realizzare nuove attività imprenditoriali».
Quanto pesa l’essere anziani in azienda?
«Più che di un fatto di età ne farei una questione di collegialità. E i dati dicono che la redditività è maggiore nei casi di gestione collegiale e non di uomo solo al comando. Poi è vero che in Italia i Cda con soggetti over 70 sono il doppio di quelli in Francia. Inoltre, la presenza di under 40 nei Cda in 10 anni è scesa dal 16,9% all’8,7% e questo si spiega con il fatto che le aziende familiari, per buona parte, sono state fondate tra gli anni ‘60 e ’70 del Novecento e molto spesso i fondatori animano ancora l’azienda. La vera complessità è il primo salto generazionale. Serve pazienza e umiltà sia da parte delle vecchie generazioni che delle nuove».
Quali sono i rischi dell’invecchiamento delle aziende familiari?
«Il rischio maggiore è che l’azienda non sia in grado di anticipare i cambiamenti e resti ferma, replicando gli stessi schemi produttivi e organizzativi. Peraltro, con un Pnrr che punta con decisione sull’innovazione tecnologica servono persone in grado di attuare progetti nuovi e i giovani, in questo senso, sono una risorsa importante».
Possono essere utili incentivi fiscali al passaggio generazionale?
«Certo, il fisco può sempre aiutare. Ma sarei bugiardo se dicessi che questo è il problema. Il nodo della questione è culturale, e sta nella capacità di comprendere quale possa essere l’assetto migliore dell’azienda. E qui il fisco c’entra davvero poco».
Lei farà entrare i figli in azienda?
«Assolutamente no in modo automatico. Sono perfettamente consapevole del fatto che le imprese sono entità complesse e l’imposizione dall’alto della figura del figlio o della figlia dell’imprenditore, non porta a nulla di buono. Gli automatismi in questo campo non hanno alcun senso. È una questione di cui in Aidaf discutiamo spesso e il problema riguarda la quasi totalità delle imprese».
Il passaggio generazionale in Elica come è avvenuto?
«Nel modo più traumatico possibile. Mio padre è mancato per un infarto quando avevo 16 anni e mi sono trovato immediatamente catapultato in azienda».
Che momento stanno vivendo le imprese familiari italiane?
«Direi un momento molto tirato, un momento in cui si sta facendo e si farà sempre più molta selezione e ci si dovrà concentrare molto sui mercati e sul prodotto. De resto il made in Italy vive di marchi che sono leader mondiali – penso a Lavazza, Ferrero, Ferrari solo per citarne alcuni – che competono sui mercati globali e vincono, nonostante un costo del lavoro alto, per la loro creatività. Ormai abbiamo capito che è inutile chiedere condizioni fiscali e di cointesto che ci mettano in grado di competere con il costo dei prodotti di mercati più competitivi sotto tutti profili, dall’energia al costo del lavoro, ma chiediamo che almeno la nostra creatività sia tutelata. Dobbiamo difendere i nostri brevetti e i nostri marchi a spada tratta perché sono il vero valore aggiunto delle nostre imprese».
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