La pandemia Covid-19 rappresenta un tragico evento per l’Europa e per il mondo intero, con una generalizzata perdita di vite umane e di benessere economico.  Tuttavia, nel caso dell’Unione europea possiamo affermare che la reazione alla crisi ha rappresentato anche un positivo cambio di passo verso l’approfondimento dell’integrazione economica tra i paesi partner. Ciò è evidente nel confronto con la crisi finanziaria del 2008, quando la miope risposta della politica UE, e inizialmente anche della BCE, aveva creato le basi per la successiva crisi del debito sovrano.

Al contrario, possiamo affermare che nella risposta odierna alla crisi le istituzioni europee e i governi nazionali sono riusciti a superare molti dei precedenti pregiudizi che bloccavano l’evoluzione del processo di integrazione.

La cinquina vincente

Il “progresso” verso una maggiore integrazione è dimostrato da almeno cinque importanti eventi europei:

  1. l’emissione di titoli pubblici in capo alla Commissione, e non ai singoli paesi partner, al fine di gestire la crisi economica causata dalla pandemia Covid;
  2. l’aumento delle risorse proprie all’interno del bilancio UE che determina una maggiore autonomia della fiscalità europea;
  3. la sospensione delle regole fiscali del Patto di stabilità e crescita, che amplifica in modo strutturale il concetto di “flessibilità” applicato nel passato al Patto suddetto;
  4. la sospensione del divieto di aiuti di Stato, che consente un migliore recupero nei settori più colpiti dalla crisi;
  5. infine, la stessa gestione unitaria nell’approvvigionamento dei vaccini, che ha ridotto la conflittualità e i comportamenti opportunistici tra i paesi partner.

I nuovi eurobond

L’evento più importante tra quelli qui citati è probabilmente l’emissione di titoli di debito europeo da parte della Commissione in quantità significativa. Già in precedenza, la Commissione poteva raccogliere fondi sul mercato attraverso titoli di debito per rispondere a shock economici asimmetrici che colpivano i paesi partner, come accaduto nel 2010 con i 60 miliardi di euro di titoli comunitari del programma EFSM. Al contrario, la nuova iniziativa della Commissione sul mercato finanziario viene impostata su una scala completamente differente, in quanto consente di attivare nuovo debito comune per 850 miliardi di euro tra il 2020 e il 2024, per realizzare i programmi SURE e Next Generation EU. Con il nuovo percorso, si sono incrinati i precedenti dogmi imposti sul rifiuto degli “euro-bond”, e l’Unione europea è diventata un importante emittente internazionale di titoli,  a livello del Fondo Monetario Internazionale o della Banca Mondiale. L’idea di emettere debito comune potrebbe sopravvivere anche nello scenario post-crisi, quando dopo il 2024 ci si accorgerà che i benefici del debito comune favorirebbero anche i paesi con le finanze pubbliche più robuste, e non solo i paesi deboli, con i primi che potrebbero maggiormente vincolare il nuovo debito dei paesi deboli verso gli investimenti pubblici e il rilancio delle economie. Si tratterebbe di una sorta di assicurazione, che allontana dai paesi forti l’effetto negativo di un eventuale default europeo.

L’autonomia fiscale europea

Il secondo punto riguarda la maggiore autonomia della fiscalità europea, con le nuove risorse proprie che permetteranno di ridurre l’onere del Next Generation UE e, soprattutto, consentiranno di ampliare il bilancio a disposizione della UE senza aumentare i costi a carico dei paesi partner. Ci sono varie proposte a questo riguardo, tra cui l’introduzione di una tassa ambientale sulla plastica e sulle produzioni ad alto contenuto di CO2 (anche con l’allargamento dei settori coinvolti negli ETS, e un aumento dei costi relativi), un dazio ambientale sulle importazioni ad alto contenuto di gas serra o carbone (Border Carbon Adjustment), una tassa sulle grandi multinazionali digitali (Google, Amazon, ecc.), un’imposta sulle transazioni finanziarie, un livellamento verso l’alto della tassazione a carico delle grandi imprese.

Il rafforzamento delle risorse proprie presenti nel bilancio UE è una notizia positiva, avvicina la fiscalità UE a quella dei paesi puramente federali, come gli Stati Uniti, l’Australia e il Canada, dando maggiore autonomia di spesa alle scelte effettuate dal Parlamento e dal Consiglio Europeo rispetto ai rigidi budget imposti all’Unione dai governi nazionali.

Un nuovo Patto di Stabilità

Il terzo elemento è la sospensione del Patto di stabilità e crescita, decisa a marzo 2020, che probabilmente favorirà una riforma delle attuali modalità di coordinamento della politica economica europea, con una maggiore attenzione alle politiche anticicliche. Da una parte, la riforma probabilmente abbandonerà l’uso di politiche di austerità applicate nei momenti di crisi economica, dall’altra, la riforma dovrà però definire nuove modalità di rafforzamento della finanza pubblica nelle fasi espansive. Come sappiamo, le politiche economiche anticicliche dovrebbero essere applicate simmetricamente sia nei cicli recessivi, come l’attuale, sia in quelli particolarmente espansivi. È quindi probabile che il nuovo patto sarà più flessibile nei momenti di crisi ma più rigido e vincolante nei momenti di grande espansione, quando occorre “mettere fieno in cascina” per i periodi più bui.

Aiuti di Stato e nuova politica industriale

La sospensione del divieto di “aiuti di Stato” alle imprese, concessa ai paesi partner dalla politica di concorrenza UE, ha permesso di salvare dal fallimento una parte rilevante del sistema produttivo europeo. È stata attuata in Italia e negli altri paesi UE, ma soprattutto in Germania che sin dalla primavera del 2020 ha impegnato notevoli risorse nei salvataggi delle imprese in crisi.

Anche se si tratta di un intervento temporaneo, che scadrà a fine 2021, può essere comunque interpretato come l’inizio di una nuova politica industriale UE, che ponga maggiormente l’accento sulla creazione di campioni europei (e non più di campioni nazionali, stile anni ’70) nei settori ritenuti strategici. Questi ultimi comprendono tanto alcuni settori molto tradizionali (quali trasporti e acciaio, pur nell’ossimoro della chiave green) quanto, soprattutto, i comparti delle nuove tecnologie (intelligenza artificiale, cybersecurity, industria 4.0, ecc.), a cui recentemente si propone di aggiungere anche la filiera sanitaria. Nei settori strategici, che sono al contempo nuovi ed emergenti, la teoria economica consente un intervento diretto e temporaneo dello stato per favorirne il decollo, soprattutto se questo intervento viene coordinato a livello UE e non deriva da singole azioni nazionali. È pertanto possibile che anche la sospensione della normativa sugli aiuti di stato, atto di una politica economica di contrasto alla crisi nel breve periodo, diventi invece la base di partenza su cui modellare la nuova politica industriale UE di medio periodo, favorendo ulteriormente l’integrazione dei sistemi industriali.

È giunta l’ora di una politica sanitaria comune?

Il quinto aspetto degno di novità riguarda la gestione dell’acquisto comune dei vaccini per il Covid, che è stato effettuato dalla Commissione europea e non dai singoli stati membri, per salvaguardare i criteri di equità nell’accesso ai farmaci. Infatti, in caso contrario, si sarebbe assistito ad una forte conflittualità tra i paesi partner per accaparrarsi il maggior numero di dosi. La distribuzione, proposta in modo proporzionale al peso sulla popolazione, ha garantito un accesso omogeneo a tutti i paesi, indipendentemente dal loro reddito, anche nei momenti di tensione tra la Commissione e l’impresa fornitrice del vaccino per i noti problemi produttivi.

Nonostante le difficoltà, questa iniziativa è stata di successo, anche mediatico, e contiene un’ulteriore proposta di avanzamento dell’integrazione, perché ha incominciato ad attivare un dibattito sulla necessità di avere anche una “politica comune per la sanità”, ambito di intervento che il Trattato pone ancora a carico dei singoli paesi. La rapida diffusione del virus ha confermato il forte legame esistente tra la popolazione e la notevole interdipendenza, anche sanitaria, tra i paesi partner: in ogni paese, la salute dei cittadini dipende non solo dalle caratteristiche del proprio sistema sanitario, ma anche da quelle dei sistemi sanitari vicini. Un coordinamento che ne favorisse l’innalzamento medio a livello UE, tramite l’obbligo di livelli essenziali di assistenza e di organizzazioni in grado di rispondere a shock sanitari, come l’attuale pandemia, sarebbe un vantaggio per tutti, anche per i paesi che attualmente godono di sistemi molto evoluti e efficienti (in quanto la loro efficienza non verrebbe ridotta dall’inefficienza del paese contiguo).

Merita ricordare come un simile legame di interdipendenza sia ormai evidente in molti campi dell’integrazione europea e deriva dall’esistenza delle cosiddette “esternalità negative”, tipiche del campo ambientale (i paesi inquinatori colpiscono i paesi che non inquinano), finanziario (il rischio default di un paese debole si ripercuote sul debito sovrano europeo) e industriale (la crisi di un sistema industriale crea danni anche nei paesi fornitori o clienti del primo), a conferma che i paesi partner devono imparare a gestirsi come “sistema” e non più come “singole nazioni” isolate.

Ex malo bonum

L’intervento congiunto delle istituzioni europee ha permesso di ottenere risultati potenzialmente molto efficaci nella gestione della crisi economica. Soprattutto per l’Italia, e gli altri paesi “deboli”, le mosse della BCE, della Commissione e del Consiglio europeo hanno pienamente salvaguardato la fiducia nel debito sovrano sui mercati finanziari, favorendo una convergenza dei tassi verso il basso, proprio nel momento in cui il debito pubblico dei paesi partner aumentava a dismisura per supportare le imprese, la banche, le famiglie e l’intera società.

Ovviamente ogni debito va ripagato, e occorre tenere ben presente la distinzione tra debito buono, che crea crescita nel lungo periodo (come affermato anche dal Fondo Monetario Internazionale), e debito cattivo, che genera solo sprechi e inefficienze. Poiché il programma che consente l’attuale aumento della spesa pubblica, e cioè il Next Generation EU, è finalizzato al rafforzamento della struttura economica e sociale dei paesi partner ed è sottoposto al vincolo delle raccomandazioni presenti nella governance del cosiddetto “semestre europeo”, abbiamo una speranza in più che questa volta l’aumento del debito italiano non sia un danno per i nostri giovani ma bensì una opportunità di benessere per l’intera società.