L’Italia rimane agli ultimi posti in Europa per numero di occupati rispetto al numero di pensionati. In altri termini, nel nostro Paese ci sono relativamente tante persone che ricevono un beneficio pensionistico e relativamente poche persone occupate nel mercato del lavoro. Tuttavia, nonostante una narrazione spesso rassegnata, l’equilibrio tra mercato del lavoro e comparto previdenziale negli ultimi dieci anni nel nostro Paese non solo non è peggiorato, ma anzi il numero di lavoratori per pensionato è leggermente aumentato. E al netto degli andamenti demografici – bassa natalità e aumento delle aspettative di vita – ci sono ancora margini di manovra per meglio equilibrare i rapporti numerici tra lavoratori e pensionati.
Con questo contributo vogliamo fornire una panoramica del fenomeno focalizzandoci in particolare su tre aspetti: (1) un confronto con altri Paesi europei; (2) un’analisi quantitativa per spiegare a cosa è dovuto il miglioramento dell’equilibrio lavoratori versus pensionati a cui abbiamo assistito negli ultimi anni; (3) delle possibili forme di intervento di breve periodo per raggiungere un più sostenibile equilibrio demografico in ambito di finanza pubblica.
Un confronto europeo
Le figure 1 e 2 mostrano il numero di occupati per pensionato in vari Paesi europei, rispettivamente nel 2010 e nel 2020, a dieci anni di distanza. I numeri fanno riferimento al numero di pensionati per anzianità al 31 dicembre di ciascun anno, e tengono in conto anche i pensionamenti anticipati – particolarmente rilevanti per il caso italiano. Non vengono invece conteggiate altre forme di benefici pensionistici. In entrambi gli anni presi in considerazione, l’Italia si posiziona tra gli ultimi posti della classifica, con un numero di lavoratori per pensionato che si attesta poco sotto la soglia di due – la Germania si attesta esattamente sui due lavoratori per pensionato, mentre in Spagna ci sono circa tre lavoratori per ogni persona che riceve una pensione di anzianità.
Oltre alla posizione relativa nella classifica, quello che emerge da questo confronto è un peggioramento complessivo del rapporto del numero di lavoratori sul numero di pensionati in quasi tutti i paesi presi in considerazione, tra il 2010 e il 2020. In Italia, invece, il rapporto migliora leggermente, pur rimanendo nella parte bassa della classifica.
Eppur si muove
Focalizziamoci sul caso italiano. La figura 3 mostra come l’andamento del rapporto tra il numero di persone occupate nel mercato lavoro – tra i 15 e i 64 anni – e il numero di persone che ricevono una pensione di anzianità o di vecchiaia sia leggermente aumentato – di circa il 6 percento – tra il 2013 e il 2019, per poi calare nuovamente durante gli anni della pandemia. In questo caso i dati sono forniti da Istat e la misurazione differisce quindi in maniera marginale da quella proposta in precedenza per il confronto europeo.
Cosa spiega l’andamento positivo? Essendo un rapporto, questo nel tempo può crescere perché diminuisce il numero di pensionati, perché aumenta il numero di occupati o per entrambe le due dinamiche contemporaneamente. Sul fronte del numero di occupati, ci focalizziamo su diversi gruppi demografici, per capire quale sia il tipo di occupazione che più di altre abbia trainato l’aumento del rapporto lavoratori/pensionati nel tempo. Prendiamo in particolare in considerazione il ruolo dell’occupazione femminile, dell’occupazione degli over 55 e dell’occupazione di persone nate all’estero.
La figura 4 mostra gli andamenti nel tempo di questi diversi gruppi di occupati e del numero di pensionati per anzianità. Tutte le misure sono rapportate al loro valore nel 2012, il primo anno preso in considerazione. Quello che emerge dai dati è un netto aumento, negli ultimi dieci anni circa, del numero di persone over 55 occupate nel mercato del lavoro, cresciuto del 60 percento tra il 2012 e il 2021 – la ragione di questo aumento risiede verosimilmente negli interventi pensionistici di quegli anni. Anche l’occupazione femminile e quella degli stranieri hanno fatto registrare un trend positivo, al contrario di quanto invece accaduto per le altre categorie di lavoratori – uomini nati in Italia con meno di 55 anni di età – la cui occupazione è crollata di circa il 30 percento. Infine, il numero di pensionati per anzianità ha subito un calo, di pochi punti percentuali rispetto al 2012.
A fronte di questi andamenti, abbiamo quindi svolto un’analisi quantitativa per rendere più esplicito il contributo che ciascuna di queste dinamiche ha avuto nel far aumentare il rapporto occupati/pensionati. In questo contesto, il calo del numero dei pensionati spiega circa il 38 percento delle variazioni del rapporto lavoratori/pensionati nel tempo.
Il restante 62 percento circa delle variazioni è invece dovuto al contributo del numero degli occupati. In particolare, registriamo contributi positivi del numero di occupati over 55 (71 percento), dell’occupazione femminile (34 percento) e dell’occupazione di stranieri (25 percento). L’occupazione delle altre categorie di lavoratori ha invece contributo negativamente all’aumento del rapporto lavoratori/pensionati (-68 percento) – queste percentuali delle singole categorie di occupati sommano appunto al 62 percento, misura complessiva del ruolo svolto dell’andamento del numero degli occupati nel tempo. I ruoli relativi rimangono stabili anche se ci fermiamo al 2019, senza considerare gli anni della pandemia.
Questi numeri suggeriscono da un lato come politiche pubbliche per favorire l’occupazione femminile e un opportuno inserimento di persone straniere nel nostro mercato del lavoro possano essere efficaci per raggiungere un buon equilibrio tra numero di lavoratori e numero di pensionati. Dall’altro lato, i dati mostrano chiaramente come una permanenza attiva nel mercato del lavoro della fascia di popolazione tra i 55 e i 64 anni di età sia risultata determinante nello spiegare l’andamento del rapporto lavoratori/pensionati.
Il breve periodo
Di fronte al problema della sostenibilità del sistema pensionistico si è spesso giustamente portati a guardare al problema della bassa natalità, che in prospettiva è sicuramente l’aspetto chiave su cui intervenire. Tuttavia, ci sono ancora margini di manovra per migliorare il rapporto lavoratori/pensionati agendo da subito sul mercato del lavoro. Per comprendere il possibile beneficio in questo ambito di politiche rivolte al mercato del lavoro si può per esempio confrontare il numero di pensionati con la forza lavoro potenziale – occupati, disoccupati e persone senza un lavoro ma comunque interessate a trovarne uno – invece che con il numero dei soli occupati, come fatto in precedenza. Così facendo, il rapporto sale in maniera significativa. Per esempio, nel 2021 secondo Istat il rapporto lavoratori/pensionati è risultato pari a 1.94. Nello stesso anno, il rapporto forza lavoro potenziale / pensionati è risultato pari a 2.36. Per ogni pensionato ci sono quindi attualmente più di due persone potenzialmente occupabili o già occupate.
Spostare in avanti lo sguardo sulle persone che ancora devono nascere è sicuramente una prospettiva lungimirante da cui guardare alla sostenibilità del sistema pensionistico, ma occorre non dimenticare che molto si potrebbe fare sin da subito, attivando le persone attualmente fuori dal mercato del lavoro e intervenendo con politiche attive per impiegare coloro che sono alla ricerca di una occupazione.
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