In tre milioni lavorano in nero in Italia. Lo racconta l’Istat nel rapporto su “L'economia non osservata nei conti nazionalì”. I dati si riferiscono a due anni fa. Ma bontà loro gli analisti sottolineano che c’è un ridimensionamento del fenomeno perché pur essendo cresciuto il numero degli occupati illegali rispetto al 2020 (+2,5%) non si è riusciti «a recuperare la considerevole caduta registrata in corrispondenza della crisi pandemica (-18,4%)». Ma in valore l’economia sommersa è cresciuta a doppia cifra: +10% nel 2021 sfiorando i duecento miliardi (192 per la precisione). Con un distinguo: 174 miliardi appartengono alla categoria sommerso, 18 invece sono legati ad attività illegali (dallo spaccio di stupefacenti al racket della prostituzione, al contrabbando di sigarette, che resiste). La sua incidenza rispetto al Pil resta stabile al 10,5% rispetto all'anno precedente e inferiore al periodo pre-pandemia.

I settori dove il peso del sommerso economico è maggiore sono i servizi alle persone (cioè badanti, baby sitter e colf ma anche professionisti come commercialisti, notai, avvocati), che fatturano un terzo del totale (34,6% del valore aggiunto del comparto), il commercio, i trasporti (vorrà dire qualcosa se la maggior parte dei tassisti italiani denuncia 15 mila euro di reddito l’anno?). E ancora: alloggio (a cominciare dalle case offerte agli studenti) e ristorazione (20,9%) e le costruzioni (18,2% nonostante il superbonus che ha costretto il comparto a uscire dal sommerso dominante). Un ultimo dato: la componente del lavoro irregolare dipendente cresce dell'1,5% (+33,2 mila unità), quella del lavoro indipendente del 5,1% (+39,3 mila unità).