Il fiocco di lana diventa filo e lega il Tibet al Piemonte. Per poi prendere le strade del mondo. Un lungo cammino, cominciato nel 2008, che ha permesso a più di mille famiglie tibetane di associarsi in cooperative e di garantire al protagonista del loro sostentamento economico, lo yak, fama oltre confine. Al loro fianco un veterinario, valsusino di nascita e canavesano di adozione, Andrea Dominici, la sinologa Laura Trombetta Panigadi, nomade tra Milano e il Tibet, Paola Vanzo di Cavalese, ma con residenza a New York, Carlotta Coppo di Azeglio e Elena Valguarnera di Settimo Rottaro: le anime di Myak.

Da Slow Food in avanti

Il Piemonte incrocia i sentieri dei nomadi tibetani nel 2004: l’americana Trace Foundation sostiene un progetto di Slow Food per impiantare un caseificio e produrre formaggio a sostegno della scuola tradizionale tibetana.

«Da allora non ci siamo più fermati – racconta Dominici – dapprima come associazione e oggi come impresa sociale. Abbiamo promosso sugli altopiani tibetani (l’altitudine media è 4.900 metri, n.d.r.) la cultura della cooperazione, le famiglie si sono associate e hanno scoperto l’importanza della filiera alimentare».

Bovidi, ovvero artiodattili ruminanti

Gli yak, grandi bovidi, sono fondamentali per i pastori nomadi: forza motrice per l’agricoltura, con il loro latte si producono formaggi e yogurth, le feci essiccate sono l’unico combustibile per scaldarsi, dal loro vello si ricava lana e, infine, anche la carne diventa cibo.

«A partire dal 2008 la Cina ha imposto forti limitazioni alle ONG, ma al contempo ha favorito la nascita di cooperative pastorali – ricorda Dominici – così abbiamo fondato Myak, impresa sociale a Candia Canavese dov’è anche lo showroom italiano mentre l’altro è a New York, e aiutato i nomadi ad associarsi per costruire la filiera produttiva di alta qualità per il latte e la lana di yak e capre Cashmere. In Tibet viene raccolto il sottopelo degli yak fino a due anni di età – che cadendo andrebbe perduto – pettinando il vello; a questo si aggiungono le pettinature delle capre da cashmere e le tosature delle pecore tibetane. In totale 2 tonnellate di lana di yak, 0,5 di cashmere e 2 di pecora. Questo è solo il 20% del totale, il resto, meno pregiato, viene utilizzato per farne materassi e stuoie per la preghiera dei monaci».

Le competenze tessili del Biellese

Le prime lavorazioni di lavatura ed egiarratura, che permette di eliminare le fibre più grossolane, avviene sugli altopiani. Poi il fiocco viene spedito nel Biellese, dove piccole aziende familiari specializzate nelle singole lavorazioni garantiscono il prodotto finito, pregiati gomitoli multicolori di lana ad alta resistenza termica.

«Le 5 aziende rispettano la nostra filiera etica – spiega Carlotta Coppo, ingegnere tessile che dal 2011, appena laureata, è responsabile della produzione per Myak –; utilizzano solo prodotti certificati, come i saponi solubili e non inquinanti o le tinte a basso impatto ambientale, ma soprattutto garantiscono eccellenza di prodotto. Il primo passaggio è la filatura del fiocco di lana, poi un’altra azienda unisce più fili con la ritorcitura per ottenere lo spessore desiderato. Con il terzo passaggio si ottengono le matasse che poi vengono stese e tinte da una quarta azienda. L’ultima lavorazione è la confezione delle matasse in treccia».

Sono quelle che arrivano nei negozi fisici e virtuali.

Dall'Italia a New York

«Grazie alla rete portiamo il Tibet e la cultura degli altopiani in ogni angolo del mondo – dice Paola Vanzo, che a New York, nel suo spazio artistico, oltre all’arte contemporanea tibetana, ospita anche Myak – senza rinunciare alla distribuzione tradizionale nei negozi. Marketing e comunicazione però viaggiano soprattutto sul web». Ravelry è la piattaforma con 10 milioni di utenti appassionati di knitting, lo sferruzzare, il lavorare a maglia, «una comunità internazionale dove i designer presentano i loro modelli, che si possono acquistare a prezzi tra i 5 e i 9 dollari, e realizzare anche con le nostre lane. I venti più gettonati vendono migliaia di modelli l’anno e gli utenti commentano e postano i risultati del loro lavoro» dice Vanzo.

«La filiera produttiva verificata e controllata, per garantire a tutti la giusta retribuzione, i tutorial su Internet e la scelta di limitare la produzione ai filati di qualità tralasciando i tessuti ci ha messo il vento nelle vele» conclude Dominici.

Oggi Myak fattura circa un milione e mezzo di euro; oltre allo showroom di Candia Canavese i filati si trovano in 10 negozi in Italia, 34 in USA, 2 in Giappone, 2 in Russia, 5 in Canada, 3 in Australia, 1 in Sudafrica, 2 in Sud Corea e uno in Nuova Zelanda. Gli stilisti Jan-Jan Van Essche e Daniel Andresen, entrambi belgi, utilizzano i filati Myak per i capi delle loro collezioni.

A partire dal 2021 Myak sta lavorando per realizzare una nuova collezione di filati di fiocco di cammello proveniente da una comunità di nomadi tibetani e mongoli che vivono al confine tra Tibet e Mongolia esterna. Nuove matasse per gli appassionati di knitting, che si andranno ad aggiungere alle 70mila di baby yak, lana tibetana e cashmere.