Dal 21 febbraio è online il primo report delle B Corp italiane, le aziende che hanno ottenuto la certificazione rilasciata dall’ente non profit B Lab e scelto di creare valore non solo per i propri azionisti ma per tutti i loro stakeholder. A fine 2021, le aziende B Corp erano 4.600 nel mondo, 1.400 in Europa e 140 in Italia, dove sono cresciute del 26% rispetto al 2020. Il volume di affari è stato rispettivamente di: 155, 45 e 8 miliardi di euro con un numero di dipendenti pari a 438 mila, 120 mila e 15 mila. 

Ora, anche i professionisti, a prescindere dalla materia di cui si occupano e dalla forma con cui è organizzato lo studio, parlano di sostenibilità (soprattutto nella sua declinazione in ESG - Environmental, Social e Governance) e di Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals). E sempre di più vengono chiamati a seguire le imprese in questi percorsi. Ma con quale consapevolezza e con quale competenza?

Diversamente da altre materie, che possono essere oggetto di consulenza, ma non per forza permeano anche la vita del professionista, la sostenibilità dovrebbe anche informare l’impostazione dello studio e caratterizzare l’atteggiamento e l’approccio del professionista, a prescindere che egli se ne professi esperto ma a maggior ragione quando rientra tra le materie per le quali fornisce consulenza.

Codici deontologici e ESG

In altre parole, chiunque abbia acquisito le competenze necessarie per supportare i clienti a perseguire un’evoluzione improntata alla sostenibilità dovrebbe coerentemente mostrare anche la propria adesione al perseguimento della sostenibilità ambientale e sociale e raccontarsi con orgoglio anche tramite questo elemento, bandita ovviamente ogni forma di greenwashing.

Al momento non risulta che i Codici Deontologici professionali (quantomeno Forense e quello dei Commercialisti) abbiano fatto espressamente propri i criteri ESG: un loro aggiornamento in questo senso consentirebbe sicuramente una maggiore sensibilità degli studi professionali anche a questi profili e a questi valori.

I criteri ESG, e quindi la sostenibilità ambientale, sociale e di governance, sono infatti del tutto compatibili con l’organizzazione interna di uno studio professionale e, anzi, come per ogni attività che deve garantire sostenibilità economica e possibilmente profitto, non rappresentano solo principi di carattere etico da rispettare, ma anche eccellenti strumenti organizzativi e strategici per un’evoluzione e un cambiamento aderente alle esigenze attuali nonché criteri in base ai quali raccontarsi e valorizzare prassi e comportamenti adottati al proprio interno.

Le implicazioni per uno studio professionale

La sostenibilità in uno studio professionale deve avere due direttrici: una verso l’esterno, attraverso una consulenza consapevole e competente, e una verso l’interno, attraverso un adeguamento completo ai criteri ESG. Secondo questi ultimi, il rispetto dell’ambiente è un passo necessario ma tutt’altro che sufficiente per potersi definire rispettosi della sostenibilità.

Uno studio rispettoso della E avrà senz’altro un sistema di raccolta differenziata e regole precise per ridurre sprechi e inefficienze, smaltire i rifiuti elettronici, per un uso essenziale della carta che preferibilmente sarà riciclata, per assicurare un uso minimale della plastica e degli oggetti mono uso e una particolare attenzione anche alla mobilità sostenibile, preferendo mezzi di trasporto meno inquinanti e riducendo gli spostamenti là dove un collegamento on line può assicurare il medesimo risultato. Ciò, senza trascurare che anche internet è un importante produttore di CO2 e dovrebbe essere utilizzato applicando alcune attenzioni.

L'ambiente di lavoro

La S di social (oggi ancora troppo piccola rispetto alle E), poi, richiede che la struttura dello studio legale favorisca l’inclusione, introducendo strumenti che eliminino barriere e ostacoli fisici e mentali, implementando l’utilizzo di tecnologia che favorisca anche chi sia portatore di difficoltà fisiche di ogni genere, non solo di movimento. Anche l’ambiente di lavoro può essere più o meno accogliente e quindi favorire o meno il benessere di chi ci lavora, che dovrebbe sentirsi incluso e coinvolto professionalmente a prescindere dalle proprie caratteristiche fisiche, dal genere, dall’orientamento sessuale, dalle sue origini, dalla religione, dalla vita privata.

Chiunque dovrebbe poter sentire che le offese, le molestie, l’aggressività, il sarcasmo, la frenesia costante, le discriminazioni o la violenza (anche verbale) sono bandite e oggetto di seria riprovazione a ogni livello gerarchico dello studio professionale. Il tutto senza dimenticare che inclusione e rifiuto della discriminazione non escludono però la possibilità che si faccia ricorso, in certi casi, a interventi differenziati che consentano il perseguimento di una sostanziale parità di trattamento.

Obiettivo di uno studio sostenibile anche dal punto di vista della S dovrebbe essere la soddisfazione personale e professionale di quanti vi prendono parte, attraverso uno stimolante impegno professionale e una condivisione del sapere bilanciati con il rispetto delle esigenze personali, familiari, sociali e di svago di ciascuno (il c.d. work life balance). I contesti davvero sostenibili attraggono collaboratori di talento, dei quali bisognerebbe valorizzare la crescita professionale, l’autonomia, l’autodeterminazione e la consapevolezza del proprio valore.

L'approccio culturale

Ciò può avvenire solo in presenza di una cultura delle pari opportunità e del rispetto dei diritti dei lavoratori (collaboratori con partita IVA o dipendenti che siano), del giusto compenso in quanto anche proporzionato al lavoro svolto, del rispetto della vita privata, dei limiti di orario, della qualità della vita, del diritto alla disconnessione e della libertà di parola (quella civile e comunque rispettosa delle gerarchie), senza che mai la prevaricazione o la prepotenza possano orientare i comportamenti.

Tutto ciò senza trascurare le modalità con cui si “pretendono” le prestazioni professionali, tali da determinare a volte non solo uno stress temporaneo e superabile, ma una vera e propria condizione di cronica patologia mentale e psicologica (più diffusa di quanto si pensi o si percepisca) che toglie quel benessere che dovrebbe accompagnare ogni attività lavorativa e che inevitabilmente si riverbera poi sulla salute fisica: un approccio gentile potrebbe già essere un buon punto di partenza e un questionario da sottoporre periodicamente a tutti i collaboratori coinvolti rappresenta uno strumento che consente di acquisire consapevolezza del proprio valore, di rendicontarlo a sé, al mercato e ai propri collaboratori nonché di monitorare (e perfino misurare) l’efficacia delle proprie scelte.

Gli strumenti

Infine, l’attenzione alla G di Governance potrebbe essere realizzata mediante l’implementazione di un Codice Etico da rendere pubblico, l’attuazione di politiche di attenzione verso i clienti (es. questionari di soddisfazione), di tracciamento della filiera di fornitura, di rispetto della normativa antiriciclaggio là dove obbligatoria, di trasparenza nei processi di selezione dei collaboratori e dei dipendenti, nell’applicazione delle tariffe e nella gestione.

In sintesi, la sostenibilità perseguita e raccontata deve essere sistemica, integrale e non può dirsi davvero raggiunta se non contempla uno sforzo di adeguamento e miglioramento per tutte le sue componenti e, in definitiva, se non parte da una assunzione di consapevolezza e da un concreto e sincero cambio di mentalità a ogni livello e in molteplici settori.

Peraltro, come dicevamo all’inizio, la sostenibilità non può non essere anche economica ed ecco che allora non potrà prescindersi da un bilanciamento tra tutti gli elementi appena incontrati: bilanciamento tra comportamenti corretti per il mondo e scelte economiche che consentano la marginalità necessaria.

Le società benefit

Il caso più significativo in cui questo bilanciamento (più precisamente tra il perseguimento degli obiettivi di beneficio comune e lo scopo profit) è prescritto dalla legge è quello delle società benefit, introdotte con la Legge di Stabilità 2016, n. 208 del 28 dicembre 2015. Parlarne in questa sede è del tutto pertinente sol che si pensi che questa evoluzione dei tipi societari codicistici può essere applicata anche alle società tra avvocati e alle società tra professionisti (queste ultime esplicitamente autorizzate a iscriversi all’albo con delibera PO 77/2021 del maggio 2021 del CNDCEC.  

Le società benefit devono redigere per legge una relazione contenente tra l’altro gli obiettivi raggiunti e da raggiungere nonché la valutazione d’impatto, ma ciò non toglie che qualunque studio professionale la cui organizzazione sia orientata agli ESG possa rendere pubblico un report nel quale raccontare gli adeguamenti e i miglioramenti posti in essere, così da essere davvero credibile nella sua consulenza e avere un legittimo vantaggio d’immagine e reputazionale.

Le law firm internazionali

Un’evoluzione davvero sostenibile dell’ecosistema degli studi professionali non è più rimandabile e ciò trova conferma ormai presso quasi tutte le law firm internazionali: vale la pena, a conferma di quanto questo cambiamento sia ormai in corso e non più arrestabile, citare il Manifesto dello Studio legale sostenibile pubblicato da Deloitte.

Presto sarà una scelta obbligata anche alla luce di una tendenza sempre più diffusa e cioè l’analisi della catena di fornitura (supply chain) che molte società medio grandi fanno, vogliono o devono fare per i loro report non finanziari e di sostenibilità.

I professionisti sono fornitori e come tali devono e dovranno sottostare alle richieste dei loro clienti di dimostrarsi conformi e coerenti con i criteri di sostenibilità sociale e ambientale sempre più cogenti. A conferma di quanto appena detto ricordiamo che nel 2021 è stato avviato un percorso di certificazione sulla sostenibilità degli studi legali che – per ora soprattutto su richiesta dei propri clienti – hanno iniziato (e talvolta già terminato) un’analisi “validata” (da stakeholder precisamente individuati) di 26 elementi ritenuti particolarmente significativi della “ESG compliance” di uno studio legale.

Il cambiamento è iniziato lento e silenzioso, ma è inarrestabile: le società profit appaiono ormai sempre più interlocutori ideali dei governi per affermare i criteri ESG e puntare a un beneficio diffuso. E i professionisti sono chiamati a contribuire a questa evoluzione epocale per potersi davvero considerare innovatori e addirittura precursori.