La sostenibilità è un traguardo globale di equilibrio e armonia tra il fattore ambientale, quello economico e quello sociale. E’ pertanto un cambiamento di approccio e un percorso fatto di passi concreti che determinano un costante miglioramento e adeguamento così che ogni attività oggi tenga conto anche delle esigenze e del benessere delle generazioni future.

Interlocutori ideali affinché questo approccio innovativo possa davvero affermarsi, dilagare e… cambiare il mondo sono gli operatori economici che agiscono con scopo di profitto, che rappresentano i principali motori dello sviluppo economico e che devono quindi comprendere come l’impostazione perseguita fino ad oggi (il profitto ad ogni costo) ha creato povertà, disuguaglianza, crisi climatica e, in definitiva, infelicità. Insomma, ha fallito.

Essi possono e devono pertanto aderire a un nuovo paradigma di trasformazione economica sociale e ambientale che, senza mai mettere in discussione il valore della sostenibilità economica, porti a consumi, investimenti, servizi e produzioni etici, responsabili e trasparenti così da raggiungere anche il bene comune, che riguarda chi si trova al di fuori degli accordi societari e quindi non è il destinatario diretto del profitto ma subisce comunque effetti e conseguenze dell’attività d’impresa (gli ormai noti stakeholder).

In altre parole, anche gli enti profit, senza rinunciare al loro scopo di lucro, possono e devono tenere una condotta eticamente responsabile, che tenga conto del bene comune e, in quest’ottica, dell’attività che pongono in essere e di quello che, pur potendo fare per migliorare il sistema, non hanno fatto.  Gli enti profit sono quindi chiamati a sfide nuove, nelle quali l’aspetto produttivo si interseca convintamente con l’etica e l’impatto sociale così che nasca l’esigenza di misurare la ricchezza sostenibile creata e valutare l’impatto e quindi il cambiamento (positivo) che essa ha comportato a vantaggio di soggetti sui quali questa attività ha degli effetti.

Fonte: fattorecomune.com

A questo proposito è interessante ricordare che nel gennaio 2020 il Comitato per la Corporate Governance, costituito nel 2011 con lo scopo di promuovere il buon governo delle società quotate, ha reso disponibile il Codice di Corporate Governance, in vigore da inizio 2021, nel quale (Principio I) viene dato ripetuto rilievo al “successo sostenibile”, inteso come «obiettivo che guida l’azione dell’organo di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società» e che deve essere perseguito dagli amministratori nella guida della società. 

È in quest’ottica che l’Italia, primo Paese al mondo dopo gli Stati Uniti (con le benefit corporation), fin dal 2016 ha dato dignità normativa al fenomeno delle società benefit, istituite con la Legge di Stabilità del 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208 Articolo Unico Commi 376-384) e che, lungi dal rappresentare un nuovo tipo codicistico di società, ne costituiscono invece una forma innovativa ed evoluta in quanto coerente con i principi sopra brevemente descritti.

Sono proprio le società benefit, infatti, a porsi come realtà di contatto tra il mondo esclusivamente profit e il mondo non profit in quanto nelle società benefit gli aspetti sociali e di beneficio comune non sono alternativi allo scopo di lucro – cosa che ne snaturerebbe l’essenza – ma sono integrati e portano con sé nuove politiche del lavoro, della governance e dello scopo sociale così da realizzare catene del valore orientate alla solidarietà e alla sostenibilità lato sensu.

Le società benefit integrano anche formalmente nel business e nel profitto il benessere della comunità in cui operano, puntando quindi anche a creare valore, valutando l’impatto sociale della propria attività e prendendosi cura del contesto sociale in cui operano. 

Quali doveri per le società benefit?

Esse, per legge, devono integrare a livello statutario il proprio oggetto sociale con gli obiettivi di beneficio comune che non si pongono come ancillari o strumentali rispetto all’oggetto profit ma che ne sono complementari e paritari e che in altre parole costituiscono quel vincolo di missione immaginato dai soci, stabile e cristallizzato nello statuto, tanto da imporre agli amministratori, per legge, una gestione che persegua il bilanciamento degli interessi dei soci e degli obiettivi di beneficio comune. La cogenza di quanto previsto a livello statutario è dimostrata dal fatto che la società benefit che non persegue le finalità di beneficio comune è soggetta alle norme sulla pubblicità ingannevole, le pratiche commerciali scorrette e la concorrenza sleale ed è sanzionabile dall’Autorità per la Concorrenza e il Mercato.

A conferma poi del fatto che in una società benefit alle buone intenzioni meramente di facciata e di convenienza si sostituisce (o dovrebbero sostituirsi) l’impegno serio di perseguire gli obiettivi di beneficio comune e di creare valore nella comunità di riferimento ricorrono due cogenti doveri di legge e cioè la nomina del responsabile benefit (quello o quei soggetti “responsabili a cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle suddette finalità”) e la redazione di una relazione annuale (da pubblicare sul sito e allegare al bilancio) nella quale descrivere gli obiettivi, le azioni attuate per perseguirli e i motivi che ne hanno impedito il raggiungimento, la valutazione dell’impatto su specifiche aree tramite uno standard con rigorose caratteristiche nonché i nuovi obiettivi per l’esercizio successivo. E’ quindi evidente che una società benefit punta a migliorare i propri risultati ma anche offrire valore aggiunto per la comunità.

La rendicontazione e la misurazione dell’impatto contenute nella relazione hanno una valenza strategica sia perché forniscono una valutazione di quanto integrate sono le applicazioni degli aspetti della sostenibilità nella complessiva attività aziendale, sia perché valorizzano le società benefit sul mercato, permettendo loro di avere accesso alle diverse opportunità che questo offre, sia infine perché determinano un vantaggio anche in termini di orientamento, autovalutazione, consapevolezza e visione progettuale, nonché una migliore programmazione e organizzazione del business e una maggiore efficienza interna.

Quali vantaggi nell’essere società benefit?

L’evoluzione in società benefit può anche rappresentare lo sbocco di un percorso di adesione alla sostenibilità come cambio di approccio professionale: quindi la domanda giusta da porsi è se ci siano vantaggi prima di tutto ad aderire al concetto di sostenibilità in sé affinché essa informi ogni aspetto dell’attività svolta.

La verità è che è il mercato ad andare in questa direzione e la legislazione europea ne rappresenta una conferma (basti pensare alla Corporate sustainability reporting directive, destinata a essere a breve definitivamente approvata e poi pubblicata in Gazzetta Ufficiale Europea che impone stringenti obblighi di rendicontazione non finanziaria a un numero ben maggiore di società rispetto a quelle obbligate fino a oggi): non solo i consumatori finali sono sempre più attenti e interessati alla provenienza e all’impatto sociale dei prodotti acquistati e dei servizi ricevuti e sono disposti anche a pagare prezzi più elevati se questo vuol dire rispetto della sostenibilità; ma anche i clienti operatori economici, anche solo per l’esigenza di rendicontare una filiera sostenibile, chiederanno ai propri fornitori di servizi e prodotti (a prescindere dalle dimensioni) la dimostrazione di quanto la sostenibilità permei la loro attività di impresa.

Inoltre per molti investitori è fondamentale conoscere e valutare l’impatto di una società e la sua governance così da effettuare investimenti responsabili anche perché un percorso di sviluppo equilibrato e etico nel periodo medio lungo può portare a una minore volatilità del valore degli investimenti stessi, migliori identificazione, monitoraggio, prevenzione e riduzione del rischio e quindi in definitiva una riduzione del costo del capitale impiegato.

Consigliati per te:

Da non trascurare ancora la possibilità di attrarre e soprattutto trattenere giovani talenti e risorse umane di valore, attualmente più interessati a lavorare in società socialmente responsabili e di cui condividono i valori e l’etica, anche a fronte magari di compensi meno elevati.

L’evoluzione in società benefit, poi, consente di fornire contorni definiti alla propria immagine aziendale ponendosi come avamposto di un cambiamento epocale, di differenziarsi sul mercato nonché di radicare nell’oggetto sociale lo scopo di beneficio comune così da renderlo vincolante anche per gli amministratori che potranno e dovranno tenerne conto e perseguirlo nella loro gestione.

La natura stessa di società benefit è poi di per sé un racconto, una valorizzazione e in definitiva una comunicazione del proprio atteggiamento sostenibile.

Fonte: Assobenefit ottobre 2022

Un modello che si afferma?

La pandemia ha sicuramente favorito l’affermarsi di questo innovativo modello di fare impresa, come dimostra il grafico  – per il quale si ringrazia Assobenefit e Cecilia Sertoli – che contiene i dati relativi alla crescita esponenziale delle società benefit in Italia, con la precisazione che il dato attuale delle 2350 società benefit è frutto di una elaborazione di Assobenefit basata sull'estrazione dell'Osservatorio Società Benefit Infocamere - Camera di commercio di Taranto:

Quanto alla natura delle società benefit, essenzialmente piccole e medie società, ci permettiamo di riprendere quanto scrivono Mario Stella Richter jr, Maria Lucia Passador, Cecilia Sertoli, Tendenze e prospettive delle società benefit, in Analisi Giuridica dell’Economia (Fasc. 1, gennaio-marzo 2022, p. 235 e note 54 e 55), ove si legge che «in Italia, dove al principio del 2019 le società benefit erano complessivamente 435 (l’80% delle quali costituite in forma di società a responsabilità limitata e solo il 7% in forma di società per azioni), quelle quotate operano unicamente sull’AIM Italia (…): la pionieristica esperienza di Vita Società Editoriale s.p.a. (2016) è stata poi seguita anche da Reti s.p.a. (2020, operante nel settore dell’IT consulting). E oggi le società benefit sono il 6% di quelle quotate sul mercato alternativo». Gli autori ricordano la costituzione di Arbolia (società benefit prodotto della joint venture tra Snam e Cassa Depositi e Prestiti per favorire la piantumazione di tre milioni di alberi entro il 2030) nonché le seguenti società benefit di gruppo: Plenitude (Eni) la prima benefit quotata nel mercato principale, Noovle (Tim), Ferrarelle (Lgr holding), Danone (Gervais Danone), Nespresso (Nestlè).

La rivoluzione è iniziata lentamente e in silenzio, ma si afferma in modo sempre più convinto e consapevole.