La preoccupazione per quanto sta accadendo in Ucraina è una cappa plumbea sul nostro futuro. Anche su questo terribile evento, come in qualche modo è stato per la pandemia, molti analisti hanno messo l’accento su ciò che si poteva fare giocando d’anticipo e invece non è stato fatto. Lacrime di coccodrilli? Accadrà così per l’emergenza climatica e, temiamo, anche per il “villaggio digitale” del quale siamo sovente cittadini inconsapevoli. 

Su quest’ultimo scenario la recente proposta dell’Unione Europea per i diritti digitale e i principi per una etica digitale, di cui abbiamo già ragionato su Mondo Economico, include principi importanti. E non vediamo l’ora di vederli in azione con norme di dettaglio e applicazioni concrete.

I principi della proposta UE vanno dalla educazione civica digitale continua – da quando siamo bimbi fino a quando siamo vecchi – al diritto a discutere e votare, sino a quello di fine vita, per conoscere e disporre della nostra eredità digitale. In una parola sola: la nostra cybersafety, il nostro benessere digitale (che si consegue con pratiche di igiene digitale, parola su cui torneremo ancora, e che ci accompagna sino alla morte e alla questione della e-legacy).

La confusione dei termini

Safety viene spesso tradotto con sicurezza, ma così facendo si confondono security (anche tradotto con sicurezza) e safety, che è invece il nostro sentirci bene, incolumi, salvi e protetti sul web. I am safe si può tradurre con sono in sicurezza, che non significa al riparo di occhi indiscreti, tenuto segretamente, ma sono in salvo, al riparo dell’uragano, a riva dalla tempesta.

Promemoria

Quanti di noi utenti vorrebbero avere sul web soprattutto la safety, sapere che ci possiamo fidare, che non saremo feriti dall’uso del web? Per esempio:

  • Quando accendiamo un computer, e si attivano telecamere e microfoni (a nostra insaputa, potrebbero qui davvero dire certuni).
  • Quando accediamo a un sito, e si attivano cookies e tracciamenti dei nostri movimenti sullo schermo (si, si misurano quanti millisecondi state fermi con il mouse in un certo punto dello schermo, e se ne fanno analytics per certi clienti paganti. Voi, leprotti nel bosco, perché avete esitato a mangiare quella bacca, e siete rimasti tanto a lungo a odorarne l’aroma? Perché avete preferito quella più in basso, rispetto a quella colta dalla luce del sole di mattina?).
  • Quando condividiamo un contenuto – una fotografia con il figlio, un brano musicale con la nostra signora – e riceviamo dopo poco dalla machine di turno un suggerimento per un viaggio nel sito oggetto della fotografia (anche se in quella fotografia era solo un quadro sopra un comò … la machine non aveva imparato ancora a distinguere tra un vero panorama e un panorama incorniciato).
  • Quando esprimiamo su un social un parere circa un ministro, e riceviamo pronto il link al suo blog come suggerimento (parola che molti oggi hanno dimenticato, preferendogli suggestione, traducendo malamente dall’inglese, ma forse indicando inconsapevolmente che oggi non ci suggeriamo più cose poiché non siamo più in relazione, ma ci scambiamo suggestioni perché siamo in connessione? E speriamo con le suggestioni di ridare spessore emozionale ai poveri link che viaggiano nudi per la rete).

Consumatori digitali consapevoli

Potremmo dire che per noi utenti aspiranti cittadini digitali la cybersafety è più importante ancora della cybersecurity?

La cybersafety sta all’interfaccia servizio / prodotto digitale – utente, ed è su quella interfaccia che possiamo agire con comportamenti collettivi e quotidiani di consapevolezza, da consumatori digitali consapevoli.

Come potremmo migliorare il nostro benessere digitale personale? A mio avviso insegnandoci l’un l’altro, leggendo, riflettendo, sforzandoci. Come abbiamo smesso di fumare, noi giovani baby boomer amanti delle MS? Sforzandoci, imparando, insegnandoci. Abbiamo stretto, piano piano ma inesorabili, un patto che definiva il fumo come abitudine sociale non più accettata, e presto non più tollerata.

Abbiamo smesso di fumare? Allora possiamo smettere di comportarci in modo poco safe sul web, badando al nostro benessere digitale, che coltivato da molti individui diventa benessere digitale collettivo, germe di opposizione all’attuale stato di cose.

Pensiamoci seriamente. E proviamoci.