A fine 2020 avevo scritto un contributo per Mondo economico - “Sei vagiti per un Web etico: in cammino verso la Corporate Digital Responsibility” -  citando i primi segni di luce nel firmamento buio del digitale dominato dalle big tech. Oggi constatiamo con soddisfazione che il concetto di Web etico è progredito con forza in Europa, mentre in Cina il Partito comunista ha già ritratto il guinzaglio lasciato per un poco lasco alle sue Big Tech. E l’America ancora non sa se e come acquistare un guinzaglio di qualche sorta, e chi starà al guinzaglio di chi.

Pochi giorni fa la Commissione Ue ha proposto al Parlamento europeo l’approvazione di una Dichiarazione sui diritti digitali molto incoraggiante per tutti quelli cui sta a cuore l’uso responsabile del web.

Fonte: Eurobarometer - Digital Rights and Principles
Le parole, anche a nostro avviso, sono sempre importanti. Soprattutto quando, come nel caso della UE, sono seguite da direttive, norme (vedi il recente Digital Service Act) e fatti concreti, anche da parte dei singoli stati nazionali che rapidamente la emulano e bene, come nel caso della sanzione di 1,128 miliardi di euro ad Amazon stabilita dalla nostra autorità garante della concorrenza per violazioni nel campo della logistica.

I diritti digitali

Ci auguriamo che la Dichiarazione sia presto approvata dal Parlamento Europeo. Riguarda bambini, anziani, lavoratori, famiglie e azienda a tutela dei diritti digitali fondamentali, vecchi e nuovi, di tutti noi:

  • Il diritto all’accesso e alla banda larga
  • Il diritto alla educazione civica digitale (non solo alla alfabetizzazione)
  • Il diritto alla disconnessione
  • Il diritto a servizi digitali della Pubblica Amministrazione accessibili, facilitati, e che facciano buon uso dei dati pubblici raccolti (oggi si fatica ad avere accesso pubblico ai dati ottenuti grazie al finanziamento pubblico di aziende private)
  • I diritti di spiegazione e trasparenza verso algoritmi oscuri, e sistemi di intelligenza artificiale che non rispettano i diritti umani fondamentali (né intelligente, né artificiale, il recente libro che vi raccomando di Kare Crawford, il Mulino 2021)
  • Il diritto a un ambiente digitale fair e sicuro, alla partecipazione pubblica e democratica, alla cyber safety (che è più benessere e comfort che sicurezza: interessante notare che i termini inglesi security e safety, da noi ridotti a sicurezza, sono in realtà concetti diversi, e la safety digitale è quella che più ci manca in quanto utenti)
  • La protezione per i bambini, e tutte le azioni positive per magnificare le opportunità riducendo i rischi
  • Il diritto alla privacy, al nostro controllo dei dati privati (io amo il concetto di possesso garantito e perenne, e non più solo nuda proprietà dei dati personali), e pure il diritto a gestire l’eredità digitale – che fine fanno i nostri dati dopo che siamo morti

E infine, con grandissima soddisfazione per chi come me ha vissuto i 50 anni di crescita virtuosa dell’industria ambientale con tutte le sue ricadute, fino alla sua centralità nel PNRR:

  • L’obbligo a considerare la sostenibilità di tutti i prodotti e i servizi digitali; la EU si impegna a favorire chi ha ridotto l’impatto sociale e ambientale, con ricadute positive per clima e ambiente.

Fonte: Ranking Digital Rights 2020

La prospettiva

Non è poco, anzi direi che è proprio tanto. E molto credibile.

A mio avviso, si tratta di una ragione sufficiente per amare nonostante tutto l’Europa, oggi più che mai. Io la vedo così, insomma: Bruxelles sta tentando anche di ridurre la nostra dipendenza dai semiconduttori extra europei. E, forse, qualcuno sta persino pensando, grazie a queste direttive, di dotarci di piattaforme pubbliche per discutere online, informarci e informare, per permetterci di studiare senza digitare GAFA (che è l'acronimo di Google, Amazon, Facebook e Apple). E per consentirci di morire senza bisogno di prenotarlo su Google, per poter gestire i dati di centrali nucleari, o di ordigni nucleari, senza consegnarli ai server di Microsoft.