Trentuno anni fa il co-inventore del web Tim Berners-Lee pensava a uno strumento per la diffusione gratuita di conoscenza, l’unione dei popoli e il progresso della democrazia. Ciò si è verificato all’inizio. Ma oggi è del tutto chiaro che hanno prevalso invece obiettivi diversi: l’estrazione di dati e di profitto da ogni fascia di età e ogni angolo del pianeta, a dispetto di valori umani, etica e buon senso.
La scuola pubblica sta adottando la didattica a distanza, ma nessuno si occupa né si preoccupa del fatto che i dati dei bambini dai 6 ai giovani di 26 anni passino sulle piattaforme private: che cosa fanno, che cosa pensano, quanto e come pensano. Oggi la Gallia è conquistata, direbbe il Cesare di Asterix. Molti dicono che lo sviluppo del digitale è talmente rapido e in tale meravigliosa accelerazione che lo Stato non riesce a stargli dietro. Che le norme seguano la tecnologia è normale e salutare, che lo Stato abbia un passo lento è necessario. Ma che vada tanto piano da stare praticamente fermo no: non è accettabile.
Ne vanno di mezzo non solo i nostri diritti, ma in assenza di guida politica ne va di mezzo la nostra capacità di lottare per i nostri diritti, il che è ancora più grave.
E allora, come si chiedeva Asterix, tutta la Gallia è conquistata? No, resistono alcuni villaggi, e ne vengono edificati altri. Se lo Stato non si muove, stanno scrivendo e parlando i filosofi, si stanno mobilitando alcuni cittadini, alcuni sparuti politici. E pure la stessa industria dell'ICT, che deve autoregolamentarsi perché il “contenimento sociale e politico” esterno, appunto, è ancora appena agli inizi.
Un Web etico è possibile?
S'iniziano a scorgere dei segnali interessanti. Si possono cogliere vagiti di opposizione (no, non ancora rivolta e sovversione) per mettere in discussione monopoli e status quo, e pretendere che l’ambiente digitale - il blu, come lo definisce Luciano Floridi – sia ripulito dalle indecenze più grandi. E si avvii così a diventare più etico, più sostenibile (e anche più verde).
Sei segnali importanti
Nel corso dell’ultima settimana ho contato una mezza dozzina di vagiti pro web etico.
Primo vagito. Mark Zuckerberg, pochi giorni fa in audizione al Senato americano, ha detto pochi giorni fa al Congresso americano: «Facebook non è progettato per dare dipendenza», e così titolano i giornali italiani. Non possiamo citare la excusatio non petita – un senatore glielo ha proprio chiesto – ma trattasi di certo di accusatio manifesta; solo un titolista distratto poteva non sottolineare l’ironia di tale frase.
WhatsApp annuncia i messaggi che si cancellano dopo poco tempo, alla Snapchat. Per ridurre esposizione e difendere privacy, ci dice. Adesso sono loro che ci insegnano
Anne Hidalgo, la magnifica Sindaca di Parigi, sta promuovendo un Natale senza Amazon perché ci sono altre soluzioni.
Le aziende dell’Europa centrale si muovono verso la Corporate Digital Responsibility e preparano ulteriori passi per fare il blu sempre più green.
Alcuni tra i ragazzi di Fridays For Future indagano il tema dell’impatto energetico del web: non paghi di ciò che affermano Google e compari, studiano pratiche di esempio individuale per rinforzare la credibilità della loro proposta di patti collettivi.
Ultimo e non meno importante segnale da cogliere: Tim Berners-Lee sta raccogliendo molte adesioni di governi e centinaia di società, piccole e grandi, al suo Contract for the Web, che compie il primo anno di vita: un forte richiamo al diritto d’accesso, al ruolo di società, governi e cittadini.
Ci sono molti segnali convergenti: gli ingredienti della pozione magica già vengono raccolti. Insomma, si provano le prime miscele.
Che cosa dobbiamo fare?
Per una volta, non chiediamo alla scuola di fare qualcosa. Iniziamo a farlo noi in azienda e in famiglia. Ciascuno, adulti e non solo giovani, cominci a "razzolare" bene, dando l’esempio e individuando con creatività buone soluzioni per un utilizzo responsabile del Web, alzando lo sguardo dai nostri "smart" phone.
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