Viviamo immersi nella digitalizzazione del mondo. La tecnologia digitale “riconfigura” pratiche, conoscenze, capacità. La sua diffusione è così pervasiva e totale da incidere profondamente nella vita civile di ciascuno di noi. E nei prossimi vent’anni assisteremo ad una quantità di cambiamenti di gran lunga superiore a quelli introdotti dalla tecnologia negli ultimi 300 anni. Il valore - e la portata rivoluzionaria - di tutto questo è indubbio. Ma non deve distrarci dall’urgenza di porci domande che portino a comprendere le implicazioni delle nostre azioni e le responsabilità di organizzazioni e big tech come Amazon, Apple, Alphabet, Meta, Microsoft, Google, alcune tra le  più grandi multinazionali IT occidentali (statunitensi), insieme alla cinese ByteDance, proprietaria di TikTok.

Il ruolo della politica

L’obiettivo è lavorare alla creazione di una nuova etica che getti le basi per una convivenza sana e garantisca i diritti dei cittadini digitali. Ma per arrivare a costruire questa nuova mappatura è sufficiente limitarsi a questioni come sorveglianza, algoritmi, responsabilità, privacy, gestione dati? Oppure c’è altro che va incluso nell’etica applicata alla tecnologia digitale? E come ci si arriva? Attraverso i contributi di quali discipline? E quanto tutto questo deve essere “attenzionato” dalla politica che, almeno in Europa, sta cercando con fatica - ma, va dato atto, in virtuosa controtendenza rispetto agli Stati Uniti - di definire un perimetro di regole?

L'imprenditore Pieto Jarre, fondatore di Sloweb, associazione no-profit

«Le domande sono tante e non sono domande da salotto. Sono temi dannatamente importanti per la nostra vita civile. Coinvolgono il cuore della democrazia» afferma Pietro Jarre, ingegnere, imprenditore, fondatore (nel 2017) di Sloweb, associazione no profit che promuove l’uso responsabile del web e di tutti gli strumenti digitali. Jarre è anche colui che ha voluto fortemente il Digital Ethics Forum (DEF), l’evento di informazione e formazione di Sloweb, giunto alla quinta edizione, rivolto a professionisti del settore, insegnanti e studenti, pubblica amministrazione e aziende. È un approccio multidisciplinare quello offerto da DEF che promuove un confronto non solo tecnico - per sua natura poco inclusivo - ma esteso a professionisti di differente formazione e che tutti gli anni viene condensato in una successiva pubblicazione per Loescher, Elementi di etica digitale, distribuita a 2.500 insegnanti e che diventa materia di incontri di Sloweb nelle scuole, soprattutto negli istituti superiori.

La prima volta nel 2019

Nel 2019, la prima edizione di Digital Ethics Forum riunì attorno a un tavolo un giurista, un medico, un informatico e un esperto in comunicazione. «Allora l’etica del web era ancora argomento per pochi» racconta Jarre. «In questi quattro anni, abbiamo visto crescere di giorno in giorno le domande nelle scuole e nei luoghi di lavoro. Fino all’ingresso dell’intelligenza artificiale generativa. Oggi le questioni etiche che il web pone sono davanti agli occhi di tutti. Per questo DEF 2023 approfondirà i  più importanti temi etici su progettazione, produzione, distribuzione, uso e impatto delle tecnologie digitali sull’uomo e sulla società. E tutto verrà declinato all’interno dei tre volti della sostenibilità: accessibilità, privacy e risparmio energetico».

La quinta edizione del "Digital ethics forum" si tiene il 22 e 23 novembre

Digital Ethics Forum (22/23 novembre) propone quattro sessioni di conferenze distribuite tra Torino e Treviso. Da seguire in presenza o in streaming (previa registrazione gratuita sul sito). L’evento, che vede Mondo Economico nuovamente media partner, ha quest’anno anche due nuovi main partner. Il primo è Csi Piemonte, Consorzio per il sistema informativo e partner tecnologico di oltre 130 enti pubblici, che ospiterà il 22 novembre a Torino due sessioni di conferenze negli spazi di Cte Next, Casa delle Tecnologie Emergenti. Il secondo è Piano D, web agency veneta certificata B Corp, dedicata alla sostenibilità energetica di siti e servizi web e prima in Italia ad essere Certified Partner di “The Green Web Foundation”, fondazione internazionale che si occupa di sensibilizzare il mondo del web e che ha come obiettivo quello di alimentare l’80% del web attraverso energie rinnovabili entro 5 anni. Il 23 novembre, negli spazi della Fondazione Benetton, a Palazzo Bomben, a Treviso ospiterà esperti internazionali (da Tom Greenwood a Jerry McGovern a Tim Frick) che presenteranno le più avanzate pratiche di Paesi come Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti per dimostrare come il digitale sostenibile non sia solo buono e giusto ma pure profittevole.

L'indipendenza del Csi

«Grazie a Piano D abbiamo acquisito contatti internazionali che oggi rappresentano l’avanguardia nella sostenibilità energetica del web. Con Csi ci siamo invece avvicinati al mondo della pubblica amministrazione » spiega Jarre. E il tema del pubblico e dell’assunzione strategica della responsabilità della gestione dei dati (troppo spesso demandata) è molto attuale. Mentre infatti Csi ha sviluppato sistemi informatici indipendenti di mail e chat per uscire dalla dipendenza da Google, nelle scorse settimane il Ministero dell’Istruzione «non ha difeso la sovranità dei propri dati. Ha ceduto alle big tech e si è legato mani, piedi e dati a loro» racconta Jarre. «Qualcosa di simile ha fatto anche il Politecnico di Torino che deteneva un interessante sistema di corrispondenza e didattica indipendenti. Ora si è spostato su Teams».

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Sloweb da tempo analizza i siti di numerose amministrazioni comunali per verificarne la sostenibilità. Ebbene, questi siti offrono un buon livello di accessibilità, una scarsa tutela della privacy e un pessimo indice di consumo energetico. Potrà sembrare un paradosso: i nuovi siti consumano più di quelli vecchi. «E il solo uso della Rete - spiega Jarre - genera il 5-10% delle nostre emissioni in Co2». Si potrebbe  ovviare riducendo la messaggistica, limitando la produzione senza limite di immagini, riducendo l’archiviazione di dati inutili, inserendo in azienda soluzioni progettuali per siti e app che puntino non solo alla performance ma pure ai consumi. E la tavola rotonda di DEF, di taglio socio-filosofico, affronterà proprio l’impatto delle tecnologie sulla società in relazione all’emergenza climatica, oltre che a quella sociale ed economica. Per comprendere quali margini abbiamo nel controllo di un processo che sembra ormai sfuggito di mano e che pare scontrarsi con il principio di sostenibilità.

L'alleanza per i cieli

Ma di fronte a un universo così complesso, dove Illuminismo e Umanesimo sembrano destinati inevitabilmente a scontrarsi, che cosa dovrebbe fare la politica, oltre, ovviamente, a interessarsene? Su questo il fondatore di Sloweb ha una idea precisa. «La politica dovrebbe varare un piano di investimenti per un’industria digitale sostenibile europea o, almeno, italiana. E mi spiego con un esempio. Negli anni Sessanta era impensabile che l’Europa potesse produrre un aereo tutto suo. Vivevamo dentro il monopolio americano di Boeing, esattamente come oggi avviene con le piattaforme web. Poi qualcuno ha avuto una visione. Francia, Germania e Spagna si sono uniti e hanno dato vita all’aereo europeo: l’Airbus. Oggi l’A380 è l’aereo più bello e sicuro. Ed è europeo. Sul digitale in Europa abbiamo competenza tecnica, piattaforme e siamo avanzati anche sulla normativa, sebbene si stia legiferando in assenza di un confronto diretto con l’industria che sta negli Stati Uniti e in Cina. E questo approccio è poco sano. Io vorrei usare Chat.eu e non Google Meet. Certo, la forza delle lobby delle big tech, a Bruxelles e negli stati membri, è enorme e sproporzionata ma non dobbiamo pensare che siamo condannati a vivere sotto un dominio. Americano o cinese che sia. Il mio sogno è che l’Europa si svegli e costruisca l’Airbus Digitale: l’Industria Digitale Sostenibile Europea».