Mattone come bene rifugio in caso di inflazione alta. Gli italiani hanno sempre guardato alla casa come salvadanaio, ma non è detto che vada così anche in questa congiuntura - che ci riporta, quanto a inflazione, al 1986 - anche perché i rendimenti non sono previsti in aumento, né sotto il fronte dei canoni di locazione né dei prezzi di vendita. I numeri ci dicono che negli ultimi 10 anni l’immobiliare italiano ha perso in media (dati Tecnocasa) circa il 30% del suo valore e vi sono state importanti rivalutazioni nei due anni post pandemia.
E ora all’orizzonte (non tanto lontano) si stagliano le nubi del caro materie prime, delle turbolenze sull’energia, della guerra tra Russia e Ucraina. Per non dire del fatto che avere la casa in proprietà non sia sinonimo di benessere generale di un Paese, come risulta da una ricerca di InfoData che, servendosi dei dati Eurostat del 2017, ha incrociato la percentuale di persone proprietarie di casa in Europa con il Pil pro capite dei diversi Paesi.
Valutazioni diverse
Il risultato è abbastanza sorprendente, perché quello che si rileva chiaramente è che nei Paesi più ricchi la percentuale di proprietari di casa si abbassa in maniera sensibile. Per contro, sono i Paesi con un’economia meno fiorente ad accogliere la maggior parte dei proprietari di casa. Infatti, in testa alla classifica dei Paesi europei con meno proprietari di casa troviamo la Svizzera, dove solo il 43,4% della popolazione ha acquistato l’abitazione che occupa, ma dove il Pil è pari a 161 (espresso in Purchasing power standars, un indice che misura il potere d’acquisto fatto 100 il valore medio europeo).
A detenere il primato di case di proprietà troviamo invece la Romania, che nonostante il Pil di 57 punti, conta il 96,40% di proprietari. Non è troppo lontana dalla Romania l’Italia, dove per un Pil pari a 96 punti, le case di proprietà sono il 72,9%. L’analisi condotta a livello europeo introduce un’ulteriore variabile, la percentuale di case acquistate servendosi di un mutuo. In Europa sul 69,4% di case di proprietà, la quota di quelle acquistate con il mutuo è del 29,6%. E se ritorniamo ai due valori estremi di Svizzera e Romania, allora vediamo che mentre nel primo caso il 38,9% ha acquistato ricorrendo a un finanziamento per la casa, in Romania solo lo 0,9% degli immobili residenziali è stato acquistato con un mutuo mentre in Italia siamo al 16,8%.
La ripresa post Covid
Ma il mercato ha ripreso a correre tanto che nel 2021 si sono registrate 748.523 transazioni, confermando il trend positivo registrato a partire dal 2014, interrotto solo dal dato negativo registrato nel 2020 (-7,7%), secondo il Rapporto immobiliare residenziale realizzato dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate in collaborazione con Abi, l’Associazione bancaria italiana.
L’incremento delle compravendite nello scorso anno si è verificato in una misura molto simile in ogni area territoriale del paese, superando ovunque il 30% rispetto al 2020 e il 20% rispetto al 2019. Il mercato è stato trainato da una forte crescita del numero delle compravendite non solo di prime ma anche di seconde case salite a circa 190mila unità: l’aumento è pari al 52% rispetto al 2020 e al 36% rispetto al 2019. Negli ultimi 10 anni le percentuali di acquisto per investimento si sono mantenute all’interno di un intervallo compreso tra il 16% e il 18% sul totale delle compravendite, si tratta di un’oscillazione contenuta che evidenzia come la componente “investimento” sia sempre ben presente nel panorama immobiliare italiano.
Prendendo in considerazione solamente le grandi città italiane, la quota media di acquisti per investimento è più alta e si attesta al 23,2%. Ad acquistare per investimento sono prevalentemente coppie e famiglie che compongono il 73,1% sul totale degli acquirenti, mentre è single il 26,9% degli investitori. La maggior parte degli acquisti per investimento avviene in contanti (82,1%), mentre solo il 17,9% degli investitori ricorre al credito bancario.
Su base decennale cresce solo Milano
Ma cosa è successo negli ultimi 10 anni al mercato immobiliare? Posto 100 il prezzo medio degli immobili nel 2011, l’unica città che guadagna valore negli ultimi dieci anni è Milano che nel 2021 si attesta a 111,5, guadagnando quindi l’11,5%. Milano tocca il suo minimo nel 2016 quando arriva a 80,2, per poi risalire velocemente fino ad arrivare al 111,5 del 2021, precisa l’analisi Tecnocasa. Discesa contenuta al 7,5% e 7,9% a Bologna e Firenze. La città nella quale i valori immobiliari sono scesi maggiormente è Genova, che nel 2021 registra un prezzo medio di 45,6 (che è anche il minimo storico negli ultimi 10 anni), con una contrazione del 54,4% del proprio valore.
Lo studio di Tecnocasa segnala al penultimo posto Torino, dove in 10 anni i prezzi sono diminuiti del 35,6%. In questo caso, il punto più basso si registra nel 2020 (62,9), mentre nel 2021 si evidenzia un recupero dei prezzi che salgono a 64,4. Non va molto meglio a Roma che, rispetto al 2011, ha registrato un ribasso dei valori del 31,5%. Il punto più basso dei prezzi della Capitale si registra nel 2020 (68,0), con un lieve recupero dei valori nel 2021 (68,5). A Palermo i valori raggiungono il minimo nel 2020 (71,0), a Bari nella prima parte del 2020 (66,3), mentre a Napoli nel 2016 (65,9). Al momento, secondo una ricerca di Tecnocasa, per acquistare una casa occorrono in media 6,7 anni di stipendio mentre nel 2011 ne occorrevano ben 8,4, dato non molto distante ai 6,6 anni del 2020 mentre nel 1980 ne bastavano 4.
La congiuntura italiana frena il mattone
Pur in un contesto europeo di prezzi in salita, la flessione è dovuto alla situazione generale del Paese: è da almeno 20 anni che l’Italia non cresce economicamente, le retribuzioni sono basse, la disoccupazione resta elevata, la sicurezza economica sempre più scarsa, il lavoro è sempre più a tempo determinato e toglie certezze a chi vorrebbe sottoscrivere un mutuo (e alla banca che il mutuo deve concedere). A questo si aggiunge una decrescita demografica che, sebbene presente in tutta Europa, si fa particolarmente sentire in Italia: una popolazione in calo diminuisce la domanda di case da abitazione, che progressivamente trovano sempre meno acquirenti. È chiaro che tutto questo avrà ripercussioni sul mercato immobiliare. I tassi di interesse in crescita renderanno più difficile l’accesso al credito, con ripercussioni sul mercato visto che il 51% degli acquisti immobiliari è coperto da un mutuo. Se i tassi crescono, più persone avranno difficoltà ad accedere al credito, questo perché le rate periodiche cresceranno e quindi sarà più difficile passare l’istruttoria della banca che non eroga mutui la cui rata superi 1/3 delle entrate mensili del cliente a meno che non ci sia un garante.
Un futuro poco roseo
«L’aumento del prezzo delle materie prime e la spinta inflazionistica sono certezze con cui faremo i conti e che potrebbero contribuire a rallentare la crescita dell’economia – spiega Fabiana Megliola, responsabile dell'Ufficio studi di Tecnocasa – e a livello di volumi per il 2022 si prevede una lieve flessione: saranno vendute circa 730mila case (tra meno -3% e -1% rispetto al 2021), le quotazioni dovrebbero aumentare tra il 2% e il 4%».
Più pessimista l’Osservatorio Nomisma nel quale sono state riviste al ribasso le previsioni per il triennio 2022-2024. Se prima del conflitto in Ucraina la previsione delle compravendite a fine 2022 era di 736 mila, ora le previsioni sono più cupe con scambi che scenderanno a 694mila unità (-7,3%) nel 2022, per calare ancora a quota 651mila nel 2023. Le erogazioni di mutui, previste a 68 miliardi di euro, sono ora ridimensionate ad una stima di 60,4. «Il mattone è cresciuto molto in epoca post Covid e ora sconta il rischio recessione dell’economia», interviene l’amministratore delegato di Nomisma Luca Dondi, Che aggiunge: «Credo che l’acquisto di un immobile risponda più al bisogno abitativo che alla protezione dall’inflazione e ora si compra più per migliorare la propria situazione che per proteggersi dall’inflazione anche perché i rendimenti non sono attesi in particolare aumento, visto il livello molto alto raggiunto dai prezzi di vendita».
Del resto, come mette in luce un report di Assogestioni, il 55,5% degli italiani non reputa convenienti gli investimenti immobiliari (il dato riguarda in particolare i giovani) o ritiene che ci siano investimenti migliori. Ed è un cambio epocale della percezione degli italiani: i titoli di Stato, per ora, non hanno appeal e il mattone non è più ritenuto l’investimento sempre e comunque sicuro e remunerativo. Qualche spiraglio dalle locazioni, specie quelle brevi, nei mercati turistici e universitari ma scegliendo con cura le localizzazioni. «Ad esempio, Milano e Bologna sono cresciute già molto – dice ancora Luca Dondi - mentre qualche margine di crescita c’è senz’altro a Roma, a Venezia (con qualche rischio in più) e a Firenze. Resta il fatto che occorre puntare su canoni di locazione poco esposti alla congiuntura, guardando più agli affitti brevi che alle famiglie».
«Da più parti si sente parlare di corsa al mattone per ripararsi dall'inflazione ma è una valutazione sulla quale sarei prudente - osserva Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari – anche perché Banca d'Italia dice che gli italiani hanno accumulato sui conti correnti ben 1.400 miliardi di euro, la cifra più alta di tutti i tempi e il mercato immobiliare realizza circa 100 miliardi l'anno di giro d'affari. Se le persone volessero comprare, i soldi in banca ci sarebbero e invece restano bloccati anche a rischio di farli erodere dall'inflazione: e questo perché il mattone come investimento non convince più, perché è fiscalmente oneroso e tendenzialmente poco remunerativo».
I giovani al test della casa
Dall’indagine condotta da Crif e MutuiSupermarket si evidenzia anche che la superficie degli immobili richiesti al 1° trimestre 2022 è scesa attestandosi a 113 mq: quindi gli italiani sono propensi ad acquistare superfici più piccole e contenute. Le ragioni di questo fenomeno possiamo trovarle nella crescita della domanda degli under 36 (che beneficiano di agevolazioni fiscali) che nell’ultimo periodo sono la fascia trainante e importante del mercato immobiliare. Guardando al 1° trimestre 2022 i giovani richiedenti un mutuo sono ben il 44% mentre nel 1° trimestre del 2021 erano il 27%, quindi la domanda è salita di quasi venti punti.
E i giovani? Secondo la recente indagine BVA Doxa condotta per Invesco su Z Tribe (18-24 anni), Nouveau Millennials (25-29 anni) e Mid Millennials (30-34 anni), il 23% ha in programma l’acquisto di un immobile (il 27% vuole risparmiare e il 26%, farsi una famiglia propria) anche se nel breve periodo, 4 su 10 hanno in programma di risparmiare per il futuro (39%) e praticamente la stessa quota vuole investire il proprio denaro (35%) e, solo dopo, pensano a fare molti viaggi (32%).
Anche i progetti nel lungo periodo esprimono una forte apertura al mondo finanziario: tra quelli più importanti troviamo l’investimento in fondi (29%), seguito dal volersi costruire una pensione (27%), che è ancora più forte tra i Nouveau Millennials (30%). Anche l’aspetto della realizzazione futura acquista importanza su un orizzonte di lungo periodo: come ed investire nell’immobile (23%). Resta il fatto che, secondo un'altra ricerca condotta da Housers, piattaforma online di investimento immobiliare, su un campione di giovani consumatori italiani (4mila, con un’età compresa tra 18 e 35 anni) solo il 26,30% infatti si è impegnato in investimenti duraturi tra cui conti deposito e di risparmio (69%), immobili (24%) e azioni (17%). Dall’indagine emerge comunque un crescente interesse verso la casa. Infatti, se esistesse un portale che fornisse informazioni utili sul mercato, ben il 64% inizierebbe a seguirlo, fermo restando la garanzia di tre aspetti importanti per l’investimento: sicurezza, affidabilità e guadagni rapidi.
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