Il problema degli immobili abbandonati nei piccoli borghi è rilevante e di interesse internazionale. Lo dice anche l’Agenda internazionale di sostenibilità 2030: l’obiettivo primario sarà infatti quello di rivalutare strutture già esistenti (SDG 9, 11 e 12), agendo al fine di non incidere sul consumo del suolo. Eppure in Italia il tema non è ancora sufficientemente monitorato.

L'UNCEM in campo

Nel solo Piemonte, da uno studio del 2021 di UNCEM, unione nazionale comuni, comunità ed enti montani, delegazione Piemonte, si sono rilevati oltre 10mila immobili abbandonati nella fascia montana "legale" (600 m slm). Ciò rappresenta uno spreco di ricchezza architettonica notevole per le comunità montane e per i territori che presentano 365 giorni all’anno letti freddi e inutilizzati.

Se ci focalizziamo su alcune Valli, per esempio la Val di Susa, dall’analisi dei valori immobiliari, comparando gli anni 2007/2008 e 2017/2018, emerge come pochi comuni abbiano visto inalterati i valori immobiliari. Sull’altro versante si nota una diminuzione sistematica dei valori, dimostrato da un processo di progressivo invecchiamento del patrimonio immobiliare presente in Valle. Ciò è dimostrato da una serie di elementi, quali ad esempio: mobilio vetusto; impianti elettrici non più funzionali; presenza di bagni e cucine particolarmente datati.

Lo scarto esistente

Non solo, secondo l’osservatorio FIAIP (Federazione italiana agenti immobiliari professionali), emerge uno scarto significativo tra appartamenti in nuovi/ristrutturati e infrastrutture non ristrutturate e presumibilmente appartenenti agli anni 70/90. L’analisi dei dati dimostra come tra queste due tipologie ci siano una differenza positiva significativa di quattro volte il valore. Ciò significa, ad esempio, che in comuni come Sestriere o Sauze d’Oulx vi è una differenza di valore tra ristrutturato e non fino a 4 volte. 

Il modello italiano

Secondo uno studio condotto dal Dipartimento di Management dell’Università di Torino, a questo problema, soprattutto da quei territori che hanno vissuto un progressivo spopolamento, si può controbattere attraverso la messa a sistema di quelle residenzialità con la creazione di uno standard di servizio comune e distinto per classi di servizio.

Una soluzione? Il modello italiano dell’affitto a rotazione con albergo diffuso. Si tratta di un modello in grado di aumentare la capacità ricettiva delle piccole città senza diminuirne la capacità di carico, diminuirne la sostenibilità o modificarne le caratteristiche urbane. L’albergo diffuso si compone di un'unica struttura ricettiva, ma con camere che si trovano in diversi edifici in tutta la città, generalmente a non più di 200-300 metri dal centro della Città o del Paese. Un hub centrale funge da reception, area di orientamento e centro servizi per il turista con standard turistici.

Il modello presuppone una tipologia di residenzialità turistica diffusa con obiettivo di trasformazione dei letti freddi in caldi. È necessario uno standard di servizio adeguato: «La creazione dello standard di servizio – spiega l’architetto Alberto Sasso, che ha collaborato nella strutturazione del progetto - mira a riconvertire i letti attualmente freddi e inutilizzati in caldi utilizzabili dai turisti nazionali e internazionali. Ciò consentirà interventi mirati di ristrutturazione utilizzando materiali di pregio ma allo stesso tempo definiti in anticipo che permettano di ottenere una scontistica rilevante in fase di acquisto». L’obiettivo dello standard di servizio consisterà nella creazione di uno stile percepito, gradevole e con target montano, con materiali di qualità che crei un brand percepito.

Gli stakeholder e i vantaggi per il territorio

Un progetto che coinvolge numerosi portatori di interesse: il territorio, i proprietari di immobili, ma anche le imprese che si occupano di ristrutturazioni, di arredamento, e di finanziamenti e, infine, i gestori finali.

Quali vantaggi? Trascurando gli interessi delle singole parti coinvolte nel progetto, per i territori significherebbe la rivalutazione delle aree del Comune; attrazione turistica senza consumo di suolo e possibilità di incremento imposta di soggiorno e al tempo stesso rimodulazione IMU per chi decida di mettere a reddito le seconde case. Non solo, rilevante sarebbe la creazione di posti di lavoro in loco (imprese di ristrutturazione, servizi, ristoranti, imprese di facility management). Un circolo virtuoso sostenibile per i territori e per i singoli portatori di interesse.