Per ora sono in sedici. E insieme con Slow Food hanno dato vita a “Slow Fiber”, la rivoluzione sostenibile del tessile “made in Italy” che nasce dalle imprese. Perché sono convinte che si possano produrre capi belli, sani, puliti, giusti e durevoli, nel rispetto della dignità della persona e della natura nel suo delicato equilibrio. I loro nomi: Oscalito, L’opificio Serico, Quagliotti, Remmert, Pettinatura Di Verrone, Tintoria 2000, Angelo Vasino Spa, Olcese Ferrari, Tintoria Felli, Manifattura Tessile Di Nole, Holding Moda, Lane Cardate, Italfil, Pattern, Maglificio Maggia, Vitale Barberis Canonico. Tutto è partito da una presa di coscienza: compriamo troppo e sprechiamo più che mai: non solo con il cibo, ma anche nel settore dell’abbigliamento e dell’arredamento. Tutta colpa del fast fashion. Come racconta Dario Casalini, imprenditore e fondatore di Slow Fiber dopo aver dato alle stampe il libro “Vestire buono pulito e giusto”: «Negli ultimi decenni il modello del fast fashion ha imposto una coincidenza tra nuovo e bello. Capi che vengono prodotti in grandi quantità e bassa qualità e creano rifiuti. L’idea è invece quella di recuperare un concetto di bellezza che abbia anche dei valori etici perché essere sostenibili significa avere un atteggiamento intellettualmente onesto e quindi prendere in considerazione tutto il sistema».
Secondo un report della Commissione Europea la produzione e il consumo di prodotti tessili continua ad aumentare, così come il loro impatto sul clima, sul consumo di acqua e di energia e sull'ambiente. La produzione mondiale è quasi raddoppiata tra il 2000 e il 2015 e il consumo di capi di abbigliamento dovrebbe aumentare del 63% entro il 2030, passando dagli attuali 62 milioni di tonnellate a 102. Nell'Unione europea il consumo di prodotti tessili rappresenta in media il quarto maggiore impatto negativo sull'ambiente e sui cambiamenti climatici e il terzo per quanto riguarda l'uso dell'acqua e del suolo dalla prospettiva globale del ciclo di vita. Ogni anno nell'Ue vengono buttati via circa 5,8 milioni di tonnellate di prodotti tessili, ogni europeo acquista ventisei chili di vestiti l'anno e ne butta via undici dopo averli indossati appena 7-8 volte mentre solo il 13% di essi viene riutilizzato o riciclato.
Di qui secondo le sedici aziende che hanno sottoscritto il Manifesto di Slow fiber il bisogno di ripensare la moda e il mondo tessile in un’ottica di sostenibilità. Serve diffondere una nuova etica e cultura nel vestire e nell’arredare. Per questo la rete del tessile sostenibile made in Italy è pronta ad allargarsi per ampliare la portata dell’impatto di questo cambiamento, rendendolo corale, forte e immediato.
Come si augura anche Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia: “Slow Fiber ha deciso di sostenere la nostra associazione abbracciandone i valori del buono, pulito e giusto: perché la bellezza senza etica è marketing. Quando invece la bellezza implica l’etica è “bene” e si rifà all’ideale greco del “Kalos Kai Agathos” bello e buono perché, come sostiene il filosofo e saggista bulgaro Todorov, l’esigenza di assoluto si riflette nella scoperta della bellezza”.
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