Dalla corona di re Carlo III al credo di “Carlin” Petrini. Per Luca Ferrari al timone della Manifattura Dinole lo scarto non impressiona. Anzi, c’è un invisibile filo conduttore che lega i due momenti. I velluti in fibra naturale che arredano anche Buckingam Palace, compresa la sala del trono ben si sposano con la filosofia del fondatore di Slow Food che da sempre punta a una produzione buona, pulita e giusta. Forse anche per questo quando Dario Casalini, imprenditore titolare del marchio Oscalito, lo ha chiamato per chiedergli di entrare a far parte della rete “Slow fiber” Ferrari ha subito detto sì. In fondo sono principi che condivide da sempre. E prima di lui suo padre e suo nonno. Il primo scegliendo negli anni ’70 di acquisire quell’azienda, il secondo con il ruolo di direttore della fabbrica.«Oggi che la sostenibilità è così di moda, ci troviamo a fare i conti con prodotti importati da Cina e Turchia, per esempio, dove si usano sostanze chimiche che sono vietate e nei certificati non vengono denunciate»spiega Ferrari, 61 anni trenta dei quali spesi tra i macchinari di questa fabbrica paese a Nole, alle porte del Canavese. E aggiunge: «Noi la sostenibilità la pratichiamo da 110 anni. E lo prova anche il nostro bilancio Esg. Dove risulta che il 75 per cento dei nostri 63 dipendenti abita nel raggio di due chilometri e mezzo dallo stabilimento. Il che vuol dire che nessuno contribuisce all’inquinamento nel traffico della tangenziale di Torino. O ancora: il 70 per cento di chi lavora con noi ha avuto un padre, un nonno, una sorella che in passato sono stati nella stessa azienda. C’è chi arriva a contarne undici generazioni. Un bel pilastro per il parametro sociale del certificato».

Tra l’altro la Manifattura Dinole – che esporta l’80 per cento dei suoi dieci milioni di fatturato, con Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Germania primi mercati – è rimasta forse l’ultima azienda in Europa ad avere l’intera filiera produttiva. Nello stabilimento di mattoni rossi appena al di là della ferrovia si fa tutto: dal disegno all’orditura, dalla tessitura alla tintoria. Fino al finissaggio.«Realizziamo tutto il processo produttivo al nostro interno perché, per noi, è l’unico modo per dare continuità di qualità e di servizio che i nostri clienti si aspettano» riassume Ferrari. In realtà la sua azienda – che è specializzata nella produzione di velluti e sete per arredamento – vanta anche altri primati, compreso quello di essere rimasta l’unica al mondo a creare un determinato prodotto. Per esempio, il velluto di cachemire e quello in cento per cento seta per l’arredamento. Forse anche per questo nel portafoglio clienti della Manifattura di Nole ci sono i protagonisti dell’alta moda che hanno deciso di espandere la loro attività nell’arredamento. Nomi che si rincorrono nelle pagine patinate delle riviste. Ma la regola qui a Nole è che quel che si fa non si dice. E così magari vi accomodate non solo a Buckingam Palace ma sulle poltrone della Scala di Milano o alla Petronas Philarmonic Hall di Kuala Lumpur ignorando che il velluto su cui siete seduti è stato fabbricato a Nole. Ma lo stesso vi può accadere in hotel e ristoranti di lusso. D’altronde la Manifattura di Nole ha tra i suoi clienti solo grandi brand dell’arredamento e editori tessili internazionali, compresi fornitori di Buckingam Palace.

Tra i clienti della Manifattura Dinole ci sono anche i fornitori della casa reale inglese

L’adesione alla rete di Slow Fiber è l’ultima tappa di un percorso sempre illuminato dalla stessa stella polare: la qualità. Che comprende tante cose. Innanzitutto il prodotto, che deve essere rigorosamente naturale. Ma poi anche l’attenzione che si mette in ogni fase del ciclo di lavorazione. Perché alla fine la qualità emerga in tutta la sua bellezza.«Trovo bello condividere una certa idea di società dove nel cibo come nel tessile vince la regola del buono, pulito e giusto – spiega Ferrari -. La sostenibilità sa regalare ricchezza a tutti nel lungo periodo. Oggi in troppi per ragioni puramente di guadagno bypassano le regole e le leggi. Oggi tutto è sostenibile, soprattutto nella pubblicità. Noi, invece, la sostenibilità ce l’abbiamo nel nostro Dna».