In attesa dei valori ufficiali a 3 settimane fa, il nostro aggiornamento dell’indice Rt al 9 marzo, riporta una situazione nazionale in frenata a 1.1 (95CI 1.04 - 1.18) e un trend piemontese sostanzialmente costante, a 1.48 (95CI 1.31 - 1.67)
I numeri non mentono mai: l’arresto della crescita piemontese e l’inversione di tendenza nazionale sono iniziate il 26 febbraio, quasi due settimane fa, ben prima che fosse presa la decisione di chiudere le scuole. Dovremo ricordarcelo tra un paio di settimane, quando ci diranno, “dati” alla mano, che questo ulteriore disastro didattico sarà servito a contenere il contagio.
Ricordate la sensazione di smarrimento quando a lezione precipitava un argomento “dal nulla” perchè ci eravamo persi i pezzi precedenti? Allora era per disattenzione o distrazione. Ora, provate a pensare che da un anno alternate lezioni, video, disconnessioni, lag e DAD, inizio alle 9, alle 8.35 o alle 10, a settimane alterne, cognomi alterni, giorni pari e giorni dispari. Cosa rimane, nonostante lo sforzo immane degli insegnanti? Rimane il pensiero più terribile di tutti, che inizia a serpeggiare tra i ragazzi: che tra andare o non andare a scuola non c’è nessuna differenza.
Ma, suvvia, ci saranno dei buoni motivi per tenere chiuso?
Ce lo prova a spiegare La Stampa di ieri, in Covid, perché è giusto chiudere le scuole: ecco l’analisi che lo spiega. Si cita un articolo di Nature in cui gli autori sostengono che interventi di contenimento non farmaceutico meno intrusivi e costosi possono essere efficaci quanto quelli più drastici come un blocco nazionale.
Siamo d’accordo con gli autori di Nature, ma da quando la chiusura delle scuole appartiene alla categoria degli interventi “meno intrusivi e costosi”?
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