Di fronte all’esortazione di Gianfranco Fabi  a votare per costruire una democrazia più solida mi sono fermata a riflettere. Forse è come avverte lui: vado a votare per votare “contro”. Contro un partito, un suo esponente, i suoi sostenitori, i suoi slogan.

Ma vado sempre più scoraggiata a votare “per”. Per le proposte del partito che scelgo di votare, perché mi ci rispecchio, perché le trovo convincenti.

Come tanti giovani, che cosa mi aspetto? Semplicemente, che la politica guardi al futuro.

Il prevalere dello spirito nazionalista su quello comunitario, non è uno sguardo al futuro.

Sono una giovane economista e ripercorrendo la strada fatta finora penso di avere avuto una doppia fortuna: occuparmi di economia sotto un profilo estremamente attuale, quello ambientale, e farlo con un forte slancio europeista.

Ho speso parte del mio dottorato di ricerca in un organismo di advisory europeo a Bruxelles e presso la Banca Europea degli Investimenti. Affermo convintamente che la resilienza dei paesi europei alla crisi (la cui natura bellica si interconnette con quella economica, ambientale, sociale, sanitaria) dipende in larga scala dalle politiche e dalle iniziative adottate a livello di Unione. E soprattutto, che l’azione unitaria fa superare anche il fatto che sia il risultato di un compromesso tra ventisette paesi.

Rassegnarsi all’idea che i giovani e i giovanissimi siano i principali simpatizzanti del cosiddetto “partito dell’astensionismo”,  non è uno sguardo al futuro.

Dubito che qualche improvvisata social last-minute abbia fatto sentire i ragazzi compresi e spronati. Per contrastare, non solo a parole, l’astensionismo e la lontananza dei giovani dalla politica perché non introdurre in età scolare l’educazione civica e riformare in maniera coraggiosa e impattante il servizio civile, capace di far maturare la consapevolezza del valore del bene comune, di un territorio e della sua comunità? Bisognerebbe affrontare insieme anche il fenomeno dell’abbandono scolastico e del mismatch tra competenze offerte e richieste dal mercato del lavoro.

La povertà lavorativa sta travolgendo un numero sempre maggiore di  persone con un effetto devastante sulle loro condizioni di vita. Anche per questo trovo puntuale l’esortazione alla costruzione di un welfare umano, «non solo ripensato e rafforzato ma capace di protezione e riscatto degli ultimi» che si trova nel manifesto promosso dall’economista Leonardo Becchetti.

Non è uno sguardo al futuro continuare a riservare alle donne i discorsi di madri lavoratrici casalinghe tuttofare.

Per rendere le donne più employable (“appetibili da impiegare”) bisogna rendere gli uomini unemployable (“difficili da impiegare”) quanto le donne. La sfida normativa è prevedere un congedo parentale più equamente distribuito tra genitori, ma la grossissima sfida culturale è fari sì che un datore di lavoro metta nelle stesse condizioni di assentarsi, di beneficiare di un orario flessibile compatibile con la gestione familiare… un uomo e una donna.

Prendersi cura di un figlio è un compito da genitore, senza distinzione di sesso, e questa deve diventare una questione puramente organizzativa e privata, non deve essere dettata dai “costumi” prevalenti in ufficio e soprattutto non deve essere ragione di discriminazione. La Finlandia ha recentemente introdotto una legge che concede 160 giorni di assenza retribuita dal lavoro a entrambi i neogenitori per favorire la condivisione della responsabilità assistenziale. Rispetto a molti colleghi europei, i lavoratori italiani necessitano di un ribilanciamento di ruoli all’interno del nucleo familiare, e tra vita lavorativa e privata.

Non è uno sguardo al futuro nemmeno trascurare le risorse naturali rinnovabili come fonte di reddito, posti di lavoro e benessere.

La dipendenza energetica da altri Paesi produttori di petrolio o di gas rischia di mettere in ginocchio l’Italia, la quale, con le sue condizione meteorologiche e i chilometri di costa, da anni poteva impegnarsi più seriamente nella produzione di energia rinnovabile onshore e offshore. Il governo Draghi ha dovuto introdurre misure emergenziali e temporanee, ma il suo successore dovrà assumere scelte strategiche lungimiranti e decisive per ridurre nel minor tempo possibile la dipendenza dal fossile e dalle importazioni.

Diventare autoproduttori di energia è una strada che tanti quartieri, piccoli comuni, distretti industriali potrebbero percorrere sfruttando principalmente solare ed eolico. I tempi di realizzazione di questi impianti di approvvigionamento energetico sono (in teoria) ben più veloci di quelli per altre infrastrutture.

Eppure, possibile che a distanza di sette mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo che ha l’obiettivo di incentivare la nascita di comunità energetiche manchino ancora i provvedimenti attuativi necessari per la sua applicazione? Che i vincoli paesaggistici blocchino la costruzione di nuovi impianti ma vengano smentiti nei ricorsi allungando addirittura di anni il normale iter autorizzativo?

Proprio nell’anno in cui la tutela dell’ambiente e il principio di giustizia intergenerazionale sono stati inseriti in Costituzione è importante dare seguito a questi impegni.

In questi giorni che ci separano dal voto cerchiamo di scorgere le proposte politiche più lungimiranti, che si allontanano dalla pericolosa logica del breve termine, che si fanno carico del bene comune e andiamo a votare “per” questo futuro.