Il sonno della ragione, spesso, genera dogmi. È questo il sentiment che ho provato leggendo il contributo firmato da Gianfranco Fabi su Mondo Economico del 20 aprile, dal quale mi sento di prendere nettamente le distanze.

Certo, affrontare il tema della bassa natalità non è semplice, perché intreccia scelte strettamente personali con risvolti sociali che si manifestano in un arco di tempo relativamente ampio, cosicché le scelte odierne dei singoli sembrano essere ancora più slegate dal loro impatto sulla collettività.

Abbandonata la propaganda retorica di passati regimi autoritari – di cui non sentiamo affatto la nostalgia – le democrazie liberali moderne affrontano quindi il problema cercando di prevedere una serie di incentivi economici e di servizi sociali che possano agevolare le coppie che lo desiderano ad avere uno o più figli, garantendo anche ai figli medesimi opportunità e benessere economico. Su Mondo Economico, per esempio, ci siamo occupati della sotto-occupazione femminile, spesso legata proprio ad esigenze di cura della famiglia.

L’articolo di Fabi parte dall’assunto che gli incentivi economici, per quanto importanti, hanno un impatto marginale sulla natalità, che riflette invece più aspetti di tipo culturale e antropologico. Andando avanti nella lettura del pezzo, tuttavia, la declinazione antropologica prende fattezze più dogmatiche che proprio non mi convincono. Mi soffermo, in particolare, su tre riflessioni proposte dall’articolo.

Solidità e fedeltà

La prima riflessione proposta da Fabi lega in maniera arbitrariamente esclusiva l’istituto del matrimonio – in particolare quello religioso – all’idea di famiglia solida e fedele.

Non capisco, anzitutto, se per solidità intenda la durata di una relazione, come se la fine delle nostre esperienze ne definisse il loro insuccesso (la religione cattolica stessa ha della finitudine tutta un’altra idea). È poi facile vedere come il nesso fedeltà-solidità sia nella realtà molto più articolato se non addirittura opposto a quello che l’articolo suggerisce, con una solidità che si mostra tanto più forte nei momenti – più o meno lunghi, più o meno consensuali – in cui la fedeltà – o meglio: l’esclusività – viene meno.

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Più che fondate considerazioni antropologiche, dunque, quelli proposti da Fabi mi paiono giudizi morali: oltre a ignorare il fervente dibattito odierno attorno alla definizione stessa di famiglia, feriscono le numerose situazioni familiari che per scelta – legittima – o per costrizioni non accedono all’esercizio del matrimonio – in particolare di quello religioso. Queste considerazioni morali vengono spesso accettate passivamente nel dibattito pubblico in quanto talmente astratte da risultare innocue. Ma non è affatto così. Un esempio concreto? Io mi sento solidamente legato al mio compagno, nonostante la nostra situazione di coppia omossessuale non corrisponda ai canoni morali su cui Fabi vorrebbe fondare la rinascita delle nostre società.

Diritti civili, solidarietà, fratellanza

La seconda riflessione dell’articolo mette in contrapposizione i cosiddetti diritti civili a valori tradizionali quali la solidarietà e la fratellanza, instaurando un presunto legame tra maggiori libertà individuali e comportamenti moralmente esecrabili.

Fabi, in particolare, lamenta come questi diritti civili vengano oggi considerati indiscutibili e inviolabili. Nelle nostre democrazie, l’espediente giuridico vuole i diritti come “riconosciuti” e non istituiti, alludendo a una loro preesistenza che richiede solo di essere riconosciuta. La loro inviolabilità è talvolta più teorica che pratica, nel senso che garantire questi diritti richiede carte costituzionali, sforzo esecutivo, garanzie istituzionali e compromessi politici che non sempre sono all’altezza dei principi che li hanno ispirati.

Non si riesce però a comprendere in che modo la riduzione delle discriminazioni tramite una più ampia tutela giuridica dei diritti civili possa essere in opposizione ai valori di solidarietà e fratellanza, cui Fabi sembra affezionato. Affermazioni gravi come queste andrebbero accompagnate da più concretezza. Se vogliamo mettere in discussione alcuni dei diritti oggi tutelati, da quali cominciamo? A chi li togliamo?

L’aborto

La terza riflessione proposta nell’articolo risponde in parte a queste domande, focalizzandosi sul diritto all’aborto – finalmente siamo tornati davvero a parlare di natalità, o forse no? Fabi lamenta in particolare come non sia oggi possibile tentare un dialogo su questi temi, e propone una correlazione negativa tra il numero di aborti e il numero di nascite.

In poche righe, vengono quindi messe assieme correlazioni – a mio avviso presunte, e per questo vorrei vedere su che dati si basano – che non tengono in conto fattori quali l'impatto sulla clandestinità, la sicurezza di donne e nascituri e gli aspetti demografici connessi. Per citarne uno, i dati riportati sulla natalità durante il fascismo – quando appunto il diritto all’aborto non era garantito – non considerano l'alta mortalità infantile dell'epoca, un dato che parte della letteratura odierna mette in relazione con l'alta natalità nei paesi a basso reddito – è quello che i demografi chiamano insurance effect. E questo è solo uno dei tanti esempi che può spiegare il fatto che nei paesi avanzati dove il diritto all’aborto è garantito si possa assistere a un calo delle nascite, senza che vi sia alcun nesso di causalità tra i due aspetti – i famosi effetti confondenti tanto studiati nelle scienze economico-sociali.

Se i figli siano un costo o un’opportunità – la preoccupazione con cui si apre l’articolo di Fabi – è a volte proprio legato allo sviluppo socioeconomico di un paese.

Ecco, io penso questo. Fa tenerezza (ma non troppa) che queste riflessioni siano offerte ricorrendo a un artificio retorico tanto diffuso quanto fallace: quello di definirsi – in chiusura del pezzo – minoranza controcorrente, appartenendo invece alla parte di società che ha tutte le tutele e i diritti sociali del caso. È una posizione molto comoda da cui lanciare giudizi morali non fondati. Non intendo negare il diritto di Gianfranco Fabi di avere torto pubblicamente. Ma in questo dialogo che tanto cerca, sono moltissimi gli elementi che sembra dimenticare nella sua riflessione.