L’editoriale di Gianfranco Fabi (20 aprile) e la replica di Ivan Lagrosa (29 aprile) si contrappongono su tutto meno che su un punto: la bassa natalità italiana è un problema serio (non soltanto economico) e occorrono politiche efficaci per contribuire a risolverlo. Dico “contribuire” - e non altro, non di più - non a caso, perché le politiche pubbliche possono, direi perfino devono, compiere scelte di indirizzo anche in ambito personale e familiare, ma non possono ingerirsi nelle scelte concrete dei singoli e delle famiglie (quale che ne sia la composizione e la stabilità). Salvo che su un punto: tutelare sempre e per primi i minori, quale che sia l’origine, la provenienza, il contesto familiare in cui vivono.
Fabi e Lagrosa sono ben in grado di argomentare da soli le proprie idee. E io non ho nessuna competenza specifica per inserirmi nel dibattito.
Ma sono molto interessato al tema, sia pure soltanto da lettore, da ascoltatore (e da nonno).
Neppure nascondo la mia pluridecennale amicizia con Fabi (collega e a lungo mio capo in redazione), circostanza che non condiziona le mie considerazioni, nonostante la nostra sintonia su molti princìpi. Non conosco Lagrosa, che invece di titoli ne ha molti, ed è intervenuto in modo efficace e formalmente gentile (ma non esente da toni spregiativi in contrapposizione alle opinioni che lui considera ideologiche). Entrambi mi hanno indotto a riflettere a lungo, in un giorno che si è concluso per me con la visione in anteprima del film-intervista di Marco Manzoni Ermanno Olmi. Il primo sguardo, il cui testo è già stato pubblicato da Bompiani nel 2015.
Olmi, la famiglia e la società
Riascoltando Olmi (scomparso cinque anni fa, in questi giorni) le due visioni in contrasto - forse soprattutto apparente - si sono ricomposte. Almeno in me. Le parole di Olmi, non sulla natalità ma sulla evoluzione della famiglia e della società, non giudicano ma non minimizzano; non illudono ma non consolano; non idealizzano la sofferenza che c’era ma illuminano il vuoto che spesso c’è, nella vita delle persone e quindi anche delle famiglie.
Un Maestro va a bersaglio se fa vibrare qualcosa e fa riflettere, non se fornisce una ricetta efficace. E di vibrazioni ne ho sentite molte. Le sue parole sul mercato che massifica tutto e ha tolto dignità alle persone, e sulla follia di dover continuamente sostituire e rottamare oggetti, abbigliamenti e arredamenti, se fossero sottoposte all’analisi di un economista verrebbero presto demolite. Nessuno sviluppo, nessuna emancipazione economica e perciò anche sociale sarebbero state possibili senza la crescita industriale, le produzioni in serie, l’incremento dell’occupazione non agricola e dei redditi di tutti.
Che tale evoluzione abbia scarsamente protetto i lavoratori man mano che l’enfasi si è spostata sui consumatori e la globalizzazione ha delocalizzato le produzioni, questo è sotto gli occhi di tutti. E se oggi produce nuova disoccupazione e precarietà, presto potrebbe fare i conti con il restringimento dei mercati interni e quindi con crisi produttive, a partire proprio dalle aree economicamente sviluppate ma povere di materie prime (sostanzialmente l’Europa).
La natalità non è di destra, né di sinistra
In tutto questo si inserisce il discorso sulla natalità, con i suoi profili economici, sociali, demografici, culturali, anche etici. Temi che la politica affronta in modi ovviamente diversi e spesso anche confusi, ma in sé stessi né di destra né di sinistra. Anzi, quest’ultima li ha indicati per prima: alla nascita del Pd, Enrico Letta accompagnò la sua candidatura alla segreteria con il libro In questo momento sta nascendo un bambino, per ragionare in chiave futura su libertà, mobilità e natalità. La legittima diversità delle idee e a volte i condizionamenti ideologici ci fanno spesso litigare sull’interpretazione del passato, anziché indurci a ragionare insieme sul futuro (e sui tempi inevitabilmente lunghi per prepararlo).
Nessuna nostalgia per la “famiglia tradizionale” in sé. Un modello bellissimo, che ogni persona e ogni coppia deve avere, ancora oggi, la possibilità di scegliere e dal quale trarre ispirazione, ma che troppe volte ha rappresentato lo schermo dietro il quale nascondere ipocrisie, mancanza di rispetto e perfino violenze, nei confronti del partner e dei figli. Però occorrono anche molta prudenza e responsabilità nell’esercizio dei diritti e nell’assunzione dei doveri conseguenti alle scelte non “tradizionali”, singole o di coppia, genitoriali o omogenitoriali.
Si dovrebbe essere consapevoli che non tutti i desideri possono essere trasformati in diritti esigibili e con effetto immediato; e che ogni legittima scelta (per esempio la rinuncia ad aver figli o a interrompere la gravidanza, non sempre per ragioni economiche) si riflette comunque sulla vita di molti e sul futuro di tutti. La componente egoistica, quando c’è, non è sindacabile e giudicabile dall’esterno, rispetto ai casi singoli; i drammi personali meritano comprensione e solidarietà. Ma il fenomeno ben può essere discusso e “giudicato”, anche nelle sue componenti sociali e per rimuovere le disuguaglianze.
Su tutto vince il bambino
Poi però, quando una bambina o un bambino nasce, ovunque sia nato e chiunque siano i genitori biologici (sperando che ce ne sia sempre uno, anche in futuro, anziché un laboratorio), e perfino se alla loro origine ci sia un reato (di violenza o di natura “contrattuale”), da quel momento deve prevalere il suo interesse, che la pedagogia e i giuristi sintetizzano nel best interest of the child. Molti genitori, nelle famiglie tradizionali o in quelle arcobaleno, lo dimenticano o non accettano che a ogni diritto corrispondano doveri non momentanei (l’esaurimento di un diritto o la sua “interruzione” non estinguono i doveri che ha generato e che possono essere “interminabili”).
«Una società fondata sul matrimonio»
Dal dopoguerra ad oggi, mentre la famiglia, la società e il mondo cambiavano, da 75 anni l’articolo 29 della Costituzione afferma che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». Sono convinto che se fosse scritto oggi sarebbe formulato in modo diverso. Ma sono altrettanto sicuro che, se si volesse modificarlo, non si riuscirebbe a migliorarlo, e non solo per l’assenza di un’ampia maggioranza intenzionata a farlo (basti vedere la vicenda dell’articolo 41 sulla libertà di iniziativa economica, che meriterebbe di non essere dimenticata).
In modo contraddittorio e paradossale, oggi molti definiscono “matrimonio” e “sposi”, almeno nelle sintesi dei titoli giornalistici, anche le unioni civili, omo o etero che siano, perfino le unioni di fatto e i quasi-matrimoni fastosi. Cioè, mentre lo si vorrebbe “liquido” e non ingabbiato nel matrimonio tradizionale, si finisce per rafforzare l’articolo 29, con il riconoscimento della famiglia e dei suoi diritti (tra quelli riconosciuti dalla Costituzione, non concessi, come ha giustamente osservato Lagrosa, che però, forse involontariamente, li ha definiti “espediente giuridico”; sono invece l’ammissione che i diritti fondamentali e naturali della persona non derivano dal diritto positivo, sono preesistenti e, per così dire, indisponibili).
Nessun pericolo dal concetto allargato
Questo allargamento del concetto matrimoniale rischia forse di indebolire l’istituto, fino a disgregarlo?
Non credo, e spero di no. Come ho detto, credo che il testo degli articoli costituzionali sui diritti è meglio che resti invariato. Tuttavia le interpretazioni evolutive sono ammesse e spesso necessarie (è quello che fa la Corte costituzionale). Si parva licet, a me piace pensare che, se fosse scritto oggi, il primo comma dell’articolo 29 suonerebbe così (senza dimenticare l’articolo successivo che si occupa dei doveri - per primi; e poi - dei diritti genitoriali nei confronti dei figli, nati dentro o fuori del matrimonio): «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sugli affetti. Il Codice civile disciplina la costituzione e lo scioglimento del matrimonio e delle altre forme di convivenza familiare».
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