Ci sono 200 milioni. Duecento milioni di euro in legge di bilancio 2023. Per "le imprese esercenti attività di risalita a fune e innevamento", per "realizzare interventi di ammodernamento e manutenzione", per "incentivare l’offerta turistica delle località montane". Bella notizia. Sono anche per la "dismissione di impianti di risalita non più utilizzati o obsoleti".

Chiarissimo, è il primo passo per dire cosa il turismo montano sarà nei prossimi anni. Sono duecento ottimi milioni di euro. È il primo investimento per trasformare, rigenerare, convertire impianti di risalita, ristabilire un patto tra clima che cambia e turismo. Per andare oltre il consueto e il bello del passato glorioso dello "ski total" di origine francese, pesantemente importato con grandi sorrisi e grandi guadagni anche qui. 

Così deve essere. Con duecento milioni si costruisce il futuro. Perché non c'è passato che tenga. La ministra Santanché questa volta allora è pronta (sia davvero pronta) a invertire trend di certezze, sicurezze, anche di qualche negazionista che dice che quella neve non scesa, ormai da anni, quei ghiacciai che si restringono più delle coperte delle leggi finanziarie dello Stato, quei verdeggianti versanti brulli dell'inverno alpino e appenninico, sono solo un caso. E che tornerà a nevicare. 200 milioni di euro sono il primo passo per una trasformazione. Fatta con intelligenza, con studio, con dati, senza contrapporre quegli ambientalisti più o meno estremi con, appunto, i negazionisti. Qualcuno ci prova anche con centrodestra contro centrosinistra. Tutto ridotto in politica, da bar. Di fronte alla tragedia del clima che affonda Ischia e Venezia. Andare oltre le tifoseria è imperativo e urgenza.

Proviamo a spendere bene le prime risorse

Per chi richiama alla concretezza, va detto ancora una volta che ci sono le risorse, proviamo a spenderle bene. Già. Le risorse, la politica, il turismo. Un trinomio che può dare grandi risultati se mixato bene. Siamo alla svolta, e non l'abbiamo scelta. È partito l'inverno senza neve, anzi l'ennesimo con meno fiocchi e temperature sempre più alte. Anomalie che, dalla Sila alle Tre cime diventano stabili normalità del clima che si evolve nella "tragedia climatica" descritta dalla enciclica "Laudato Si" piuttosto che da Onu e Ipcc. Osservatori internazionali che piombano con i loro numeri nella dura realtà degli impiantisti a fune (senza dubbio già stremati dal covid e dai lockdown), degli albergatori, dei bar sulle piste, dei locali dell'after ski. I dati dicono che neve ne avremo poca. Che certe temperature per "sparare", per attivare i cannoni, mancano e non torneranno.

Numeri e dati di scienziati che si sommano a dossier, indagini, ricerche delle nostre latitudini.

Poca neve nell'immagine qui sopra sull'Appennino emiliano. Ma non va meglio in Svizzera: nella foto in alto Adelboden dove in questi giorni si è disputata la Coppa del mondo di sci tra prati verdi

«Neve diversa» di Legambiente, ad esempio, percorre Appennini e Alpi dicendo che quei 200 milioni dovranno essere i primi investiti per una conversione netta del sistema turistico invernale. Non basteranno. Ne serviranno molti di più. Il sistema neve si deve trasformare per salvare la montagna da spopolamento, abbandono, fragilità. Non è il contrario. Nelle Alpi slovene e austriache, chiudono comprensori sciistici e riaprono, oggi, domani, quali aree per mountain bike. Dallo sci alla bici, nel bel mezzo di gennaio. Estremi ripensamenti? Quel fronte turistico è anche lì, come in Piemonte e in Toscana, un pezzo portante dell'economia delle terre alte. E come tale non può, non deve morire. Ma se rimane ancorato nel passato, va dritto nella fossa. E porta con sè nuovi abbandono, fragilità, povertà. Un deserto. Che deve preoccupare.

No ai luoghi comuni, ma non tutto si salva

Ecco perché un tavolo istituzionale al Ministero del Turismo non deve solo decidere come spendere quei 200 milioni di euro della Finanziaria del Paese. Deve fare e essere molto di più. Luogo di pensiero e azione su quello che le montagne vogliono essere. Lontane da luoghi comuni e ideologie. Troppo facile dire "non spariamo mai più neve artificiale", oppure "sotto i mille metri chiudiamo l'arroccamento", fermiamo tutto sotto certe altitudini. Troppo facile, ma inutile. Le soluzioni sono cesellate, diverse, da valle a valle. Non tutto si salva. La crisi climatica porta altra crisi e trasformazioni. Lo Stato interviene, con fondi importanti, per non lasciare indietro chi sta peggio, per riequilibrare, per dire come si sta nel futuro.

È compito questo di una democrazia, complessa ma che mantiene una idea di futuro. Vale per la manifattura, vale per il turismo invernale, comparto manifatturiero della montagna. Dire come alimentiamo quell'arroccamento così energivoro è più difficile rispetto al dire di chiuderlo. Oppure dire "siamo bravi e restiamo così come stiamo". Dire che tutto va bene è da conservatori senza destino, da negazionisti da bar, che contrappongono deliberatamente per salvare qualche lobby. La montagna non merita tutto questo. E non ha bisogno di 200 milioni spesi per un po' di mancette o un po di "reddito di cittadinanza" che copra le perdite, che ci sono in questa stagione, eccome. Duecento milioni coprono niente. Ne servono altre risorse per coprire le perdite da dicembre ad aprile. Molte di più. E servono miliardi, miliardi per convertire un pezzo di economia che ha fatto grandi Alpi e Appennini (con Olimpiadi e Mondiali lungo le piste più belle del mondo) ma che oggi ha bisogno di più. Moderni alberghi per famiglie, esperienze di incontro tra chi ci vive e chi arriva, ristoranti che incontrano i terrazzamenti, comunità felici perché sanno cosa sia il turismo nuovo.

 
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Sbagliato fermarsi al concetto "Oltre lo sci"

E poi qualcuno dice "oltre lo sci". Non è questo il punto vero. È la qualità della vita, il contrasto alle sperequazioni, l'andare oltre chi ha e chi no, superare i drammi delle stagioni con flussi azzerati dalla crisi climatica che in montagna è arrivata prima. La Politica, Ministeri, Parlamento, Regioni, Comuni, devono fare scelte. Non sono come le altre. Sono scelte per dire come siamo e come esistiamo. Di mezzo ci sono le Città, le grandi aree urbane, le valli che sono l'Italia dei campanili. Lavorano insieme perché altrimenti non si salvano e non affrontano le crisi, come quella del turismo invernale. Duecento milioni non bastano.

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