Negli ultimi giorni la possibilità di un nuovo atto di clemenza per “svuotare” le carceri ha infiammato il dibattito politico. Purtroppo, come spesso accade in Italia, il merito della questione è stato messo da parte per concentrarsi sullo scontro tra fazioni. Ma qual è realmente la situazione delle carceri italiane e quali conclusioni possiamo trarre da questa vicenda circa lo stato del nostro discorso pubblico?
1. Da quando il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha indirizzato un messaggio alle Camere su di un possibile atto di clemenza per alleggerire l’affollamento nelle prigioni, è sorto un aspro e spesso sconclusionato dibattito sulla situazione in cui versano le carceri italiane. Il tema è stato subito usato per l’ennesimo scontro sul destino politico di Silvio Berlusconi. Da parte del Pdl, si è subito presa la palla al balzo per cercare di far rientrare il loro leader nel provvedimento di clemenza. Gaetano Quagliarello ha sostenuto che come la legge deve essere uguale per tutti, così l’indulto deve riguardare tutti i condannati, compreso Silvio Berlusconi. Per quanto riguarda il Pd, il partito si è fatto prima trascinare dalle reazioni sopra le righe di Grillo che ha accusato Napolitano di tramare a favore di Berlusconi , per poi arenarsi sulla posizione presa da Renzi, che si è dichiarato contrario al provvedimento richiesto da Napolitano alle Camere. In queste circostanze, è servito a poco che Anna Maria Cancellieri ricordasse come i reati finanziari non rientrino per norma nel raggio di azione dei provvedimenti straordinari, o che Napolitano abbia risposto alle accuse del M5S con un secco rifiuto a lasciarsi coinvolgere in bagarre poco sensate sul suo ruolo istituzionale.
2. Ma c’è davvero bisogno in Italia di un provvedimento per ridurre la popolazione carceraria?
Se ci si attiene ai fatti e si guarda la faccenda in modo il quanto più possibile oggettivo, sembra difficile sostenere il contrario. Le carceri italiane potrebbero ospitare al massimo 47.615 persone, ma il numero di individui attualmente detenuti è 64.758. Non si tratta certo di una novità di oggi. Nel 2012, per esempio, una inchiesta del Corriere della Sera ha svelato la realtà del carcere di Canton Mombello a Brescia, il più sovrappopolato d’Italia, con un sovraffollamento del 260%: invece di 200 persone ve ne sono detenute quasi 600.
È chiaro che in una simile situazione, purtroppo per nulla eccezionale in Italia, porta inevitabilmente a condizioni di vita inaccettabili. E, infatti, la Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo in recenti sentenze ha condannato all’unanimità il nostro Paese a pagare quasi centomila euro complessivi di risarcimento per danni morali nei confronti di alcuni soggetti che hanno denunciato le condizioni in cui si sono trovati a essere detenuti in Italia. Del resto, sembra naturale pensare che quelle di gran parte delle carceri italiane siano condizioni di vera e propria tortura. Riprendendo il caso di Canton Mombello, è stato documentato come 14 detenuti per cella, con 50 centimetri di spazio ciascuno per muoversi (contro la regola della Corte di giustizia europea che sostiene ci vogliano almeno 7 metri per ogni detenuto), debbano fare a turno per sedersi e condividano un solo bagno.
Tutto questo è reso ancora più insopportabile se si considera che la maggior parte delle persone che sono in carcere non sono condannate in via definitiva, bensì detenute in attesa di giudizio, cioè tecnicamente innocenti fino a prova contraria. Sempre a Canton Mombello, su circa 600 detenuti solo 188 sono stati giudicati in via definitiva. E non può essere certo considerato un caso che il numero di suicidi in carcere in Italia sia di gran lunga superiore a quello degli altri paesi europei.
Al riguardo è anche importante ricordare come l’articolo 27 della Costituzione dica esplicitamente che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Se si sale sui tetti e si indicono manifestazioni a difesa della Costituzione e di una sua possibile riforma, forse bisognerebbe anche conoscerne i principi in materia di responsabilità e diritto penale.
I fatti, quindi, mostrano chiaramente che l’emergenza delle carceri italiane è una realtà concreta ed è doveroso, da un punto di vista non solo morale, ma anche legale, trovare una soluzione. Questo significa che l’amnistia o l’indulto sono la soluzione?
Non è possibile ovviamente pensare che il problema delle condizioni gravissime in cui vivono le persone detenute nelle carceri italiane si risolva solo con provvedimenti straordinari di clemenza. Indulto e amnistia sono solo cure tampone che possono, nella contingenza del momento presente, dare un po’ di ossigeno e giustizia ai carcerati. Ma solo una riforma strutturale del sistema giudiziario potrà sortire risultati concreti. Del resto, nel suo messaggio, il presidente Napolitano ha proprio indicato questa via al Parlamento (e non al Governo), invocando alcune possibili riforme: l’introduzione di meccanismi di probation (come la libertà su cauzione); l’introduzione di pene limitative delle libertà personale, ma non carcerarie; la riduzione dell’uso sistematico della custodia cautelare; l’impegno a cercare accordi con gli altri Stati per far sì che i detenuti stranieri possano espiare la pena inflitta in Italia nei loro Paesi di origine; la decisa depenalizzazione di alcuni reati e la costruzione di nuovi istituti penitenziari per aumentare la capienza complessiva delle carceri.
In questo senso, amnistia e indulto sarebbero solo mezzi per alleggerire la situazione corrente e permettere di far partire provvedimenti seri per dare risposte stabili e durature al problema. Risposte che potrebbero prendere spunto da esperienze diverse, come quella delle carceri danesi, dove l’idea di “civiltà della pena” è sacra e difesa strenuamente. Non serve del resto Voltaire per capire che il grado di civiltà di un Paese si misura dallo stato delle carceri.
3. Gli scontri politici a cui abbiamo assistito dopo il messaggio di Napolitano alle Camere mostrano, ancora una volta, l’inconsistenza e la pochezza del dibattito politico in Italia. Invece, di entrare nel merito dei problemi e di valutare con serietà quali proposte siano effettivamente praticabili e in quali tempi, si preferisce discutere di questioni futili e poco rilevanti per il Paese. Il problema non è solo di una classe politica autoreferenziale che filtra ogni problema attraverso la lente dei guai di Berlusconi da un lato e quella della convenienza politica dall’altro. Il problema riguarda anche l’impossibilità di avere un dibattito pubblico sull’argomento che non sia funzionale ai limiti severi del dibattito politico. A leggere i giornali, pare che se qualcuno si dichiara a favore della clemenza è un venduto alla causa berlusconiana, e se si dichiara contrario è un pericoloso maniaco autoritario.
Finché la qualità del nostro dibattito pubblico non migliorerà, si faticherà a trovare soluzioni ai problemi del Paese e saremo condannati a vivere dei provvedimenti tampone che ci cucina la politica, provvedimenti che da soli, come la storia dell’indulto in Italia testimonia, non risolvono granché e condannano all’immobilismo.
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