1. La crisi dei debiti sovrani porta alla ribalta un concetto, la sovranità, che molti teorici del pensiero politico contemporaneo davano per estinto o in via d'estinzione. Secondo una linea teorica che trae origine in buona parte dal pensiero giuridico di Carl Schmitt, con l'avvento della globalizzazione (o mondializzazione o concetti affini) gli stati nazionali hanno perso coerenza interna iniziando a fluttuare nel vuoto.
Partendo dal rapporto fra Walter Benjamin e Carl Schmitt, Giorgio Agamben ha tratteggiato la mappa di un nuovo territorio globale in cui negli spazi interstiziali fra gli stati-nazione si sono aperte zone di esclusione del tutto simili ai campi di sterminio nazisti. È partendo dall’analisi paradigmatica di queste zone che Agamben è arrivato alla diagnosi secondo cui la modernità non si compirebbe all’interno di spazi sovrani, ma si rivelerebbe per intero solo nelle procedure di esclusione che governano queste zone. Noi crediamo di vivere in stati di diritto, ma in effetti viviamo sul bordo dello stato d’eccezione.
Meno apocalittico, ma non meno sospettoso del concetto di sovranità, è il pensiero neo-autonomista di Antonio Negri e Michael Hardt. Secondo questi due teorici del pensiero antagonista contemporaneo, al declino degli stati-nazione preconizzato da Schmitt si accompagna l’ascesa di spazi intermedi di autogestione, piccole autonomie capaci di ridare senso alla vita collettiva, a partire da una ritrovata intimità fra il popolo e il territorio.
Fra l’apocalisse di Agamben e la neo-utopia frattale di Negri-Hardt si pone il pensiero politologico di Carlo Galli. Secondo Galli, studioso di chiarissima impronta schmittiana, i confini nazionali non delineerebbero più identità specifiche, perturbati come sono dal transito istantaneo e incessante delle informazioni e dai flussi finanziari.
Secondo questi ed altri teorici, la nostra epoca non è più quella delle sovranità nazionali, senza per questo pervenire a un passaggio di stato tale da determinarne una nuova. Viviamo quindi in un astratto periodo post-moderno (un indefinito permanere che seguirebbe la fine della modernità), in cui ogni cosa implode generando paradossi e aree di indeterminatezza, positive o negative che siano.
2. A prima vista, la crisi in corso pare la riprova di come in un mondo globalizzato le sovranità nazionali abbiano perso la loro ragione d’esistere e siano cadute in balia degli elementi. Non basta avere costruito un sistema relativamente virtuoso in Renania quando l’esposizione delle banche tedesche ai derivati costruiti da esperti americani in Grecia può improvvisamente esplodere come un ordigno ad orologeria. Che senso ha parlare ancora di nazioni quando un default della Sicilia può portare ad un crollo della moneta unica? Dunque se nessuno può tecnicamente uscire dall’euro, significa che con il naufragio di una nazione coleranno a picco tutte le altre?
3. Allo stesso momento, però, si noterà anche come l’attuale crisi misuri ancora tutta la forza residua del concetto di stati-nazione. L’idea di sovranità sarà teoricamente spoglia e politicamente esausta, ma la sua scomparsa è ben lungi dall’essere avvenuta. Anzi, a ben vedere, a causare oggi i maggiori problemi all’Europa transnazionale è una entità chiamata Germania che si rifiuta di accollarsi i debiti di entità chiamate Grecia, Portogallo, Spagna e Italia.
4. La crisi dei debiti sovrani pare quindi marcare allo stesso tempo il trapasso e il ritorno del concetto di stato-nazione. Dipende da che posizione l’osservatore assume. Se segue il pensiero classico di Schmitt, sarà più incline a volerne vedere la dipartita. Se, al contrario, assume un atteggiamento più tradizionale, non farà alcuno sforzo nel notare come il concetto di sovranità resiste come il fondamento più autentico della politica internazionale.
Schmitt pervenne alla sua prognosi sul mondo contemporaneo partendo da una profonda e sostanziale ostilità nei confronti degli istituti democratici dello stato liberale. Chi usa il suo pensiero come traccia fondante incorre nei problemi generati da questa particolare posizione politica. Al contrario, chi non si pone il problema della globalizzazione tende a rimanere intrappolato in un mondo che molto probabilmente non esiste più.
Gli eventi dei prossimi mesi diranno chi ha ragione, se coloro che hanno annunciato lo sfiorire della sovranità o coloro che non l’hanno mai messa in discussione. Fra questi esiste, comunque, una posizione intermedia non-schmittiana che spinge verso un esito autenticamente transnazionale dell’attuale crisi. La sovranità non starebbe né scomparendo per esaurimento categoriale, né resistendo come una rocca sotto assedio. Piuttosto sarebbe pronta a modificarsi sotto l’influsso di un popolo sovrano europeo in via di formazione.
Speriamo non crolli tutto prima che la gestazione di questo soggetto sia terminata. Sarebbe non solo un enorme peccato, ma la fine del sogno nato con il progetto di portare a compimento l’unione dei popoli europei in qualcosa che li trascenda.
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