Non sembrano aver ricevuto l’attenzione che meritano le conclusioni dell’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia dell’UE Nils Wahl, nell’ambito di una controversia carica di implicazioni per il nostro sistema degli ordini professionali. Si tratta della vicenda che vede opposti due italiani i quali, dopo essersi abilitati come abogados in Spagna, hanno chiesto l’iscrizione all’ordine degli avvocati di Macerata in qualità di avvocati di un altro paese UE stabiliti in Italia.

1. Il consiglio dell’ordine di Macerata, investito della questione, ha omesso di prendere una decisione nei termini previsti, così i due si sono rivolti al Consiglio Nazionale Forense, che ha sospeso il procedimento e chiesto in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea di valutare se questa scorciatoia, la cosiddetta “via spagnola” alla professione, seguita dai due ricorrenti, sia da considerarsi legittima, oppure se costituisca un caso di abuso del diritto da sanzionare, negando loro l’iscrizione.

La Corte di Giustizia deve ancora pronunciarsi, ma il 10 aprile scorso sono state pubblicate le conclusioni dell’Avvocato Generale su questo caso (C-58 e 59/13). Si tratta di un parere altamente qualificato che il più delle volte viene seguito dalla Corte: è dunque opportuno valutare sin d’ora la portata di una pronuncia che interpreti il diritto europeo in senso favorevole ai due abogados, qual è quella che si avrà se la Corte deciderà di seguire l’opinione dell’Avvocato Generale.

2. Da diversi anni ormai è fiorito in Italia il mercato delle abilitazioni professionali all’estero, in particolare in Spagna e in Romania. Nuove realtà imprenditoriali e colossi della formazione universitaria hanno iniziato a offrire a quanti non riescono a superare l’esame da avvocato nel nostro paese una serie di servizi per ottenere l’abilitazione in un altro paese: si va da un’assistenza di base con il disbrigo delle pratiche burocratiche, al pacchetto completo di corso di preparazione, e magari anche biglietto aereo per i trasferimenti nella località prescelta per sostenere le prove o espletare le altre pratiche.

In parallelo, anche i costi variano da poche centinaia di euro ad alcune decine di migliaia: con il forte sospetto in questi ultimi casi, nei quali la prova viene svolta via internet presso la sede dell’ente di formazione, che di fatto ci si possa comprare il titolo a suon di euro, pagando una cifra significativa ma poi svolgendo l’esame nella propria città, alla presenza amichevole – tutto lascia intendere – dei formatori italiani.

Questo meccanismo messo in piedi da vari consulenti sfrutta in maniera astuta il diritto europeo, e in particolare la libertà di stabilimento che i Trattati garantiscono a chiunque eserciti un’attività economica all’interno dell’Unione Europea, e che è stata poi attuata da diversi atti legislativi europei: in particolare, per quanto riguarda gli avvocati, la direttiva 98/5/CE ha imposto agli Stati membri di riconoscere i titoli abilitativi alla professione rilasciati da altri Stati membri, consentendo così agli avvocati di altri paesi UE di esercitare la professione sui loro territori, in qualità di avvocati stabiliti.

La ratio di queste disposizioni era evidentemente quella di cercare di realizzare il mercato unico, stella polare degli obiettivi delle istituzioni UE, anche per ciò che concerne i servizi professionali e specificamente legali, nella convinzione, ribadita da una giurisprudenza costante della Corte di Giustizia europea, che i professionisti siano imprenditori come tutti gli altri, da sottoporre alle medesime regole, e che non vi siano pertanto ragioni per sottrarre i servizi legali e professionali in genere alla concorrenza e ai suoi benefici effetti per il consumatore.

Tuttavia, a un certo punto ci si è accorti che queste disposizioni potevano offrire copertura alla via spagnola (o rumena) alla professione forense, dando la possibilità di esercitare in Italia non solo agli avvocati effettivamente stranieri che vengano a stabilirsi nel nostro paese, ma a laureati in giurisprudenza italianissimi, che vadano soltanto a prendere il titolo in un paese dove sia più facile, perché l’esame è molto meno ostico o non è nemmeno previsto, essendo sufficiente per diventare avvocati – come accadeva in Spagna fino a un po’ di tempo fa – l’aver conseguito la laurea in giurisprudenza, requisito che a propria volta gli italiani scavalcavano facendosi riconoscere la laurea italiana in base alla direttiva sul riconoscimento dei titoli e diplomi.

Lo schema prevede che poi gli interessati tornino in Italia (o in certi casi non se allontanino neppure formalmente), e chiedano di potervisi stabilire professionalmente, il che consente poi dopo tre anni di diventare a tutti gli effetti avvocato italiano, ma senza aver mai superato l’esame previsto in via ordinaria (di fatto, non è che un’evoluzione dello schema che, fino a qualche anno fa, vedeva tanti dottori in giurisprudenza del Nord Italia prendere fittiziamente la residenza a Reggio Calabria, perché lì superare l’esame era molto più facile).

Si tratta con ogni evidenza di una forzatura delle norme, e chiaramente gli ordini forensi italiani, e su tutti l’organo di vertice, il Consiglio Nazionale Forense, hanno fatto il possibile per ostacolare la via spagnola. In particolare, alcuni di questi hanno negato l’iscrizione agli abogados, e la questione è finita all’attenzione del CNF, che come si diceva ha deciso di rinviarla a propria volta ai giudici europei, nella speranza che essi ravvisassero un abuso del diritto europeo nella via spagnola e rifiutassero di avallarla.

In effetti il CNF, che in questa causa funge da giudice, investito del compito di decidere il destino dei due ricorrenti, è di assai dubbia imparzialità, essendosi già schierato apertamente in molteplici occasioni contro la via spagnola. Tuttavia va riconosciuto che, anziché decidere autonomamente in senso sfavorevole ai ricorrenti, ravvisando l’abuso del diritto, ha preferito correre il rischio di chiedere ai giudici europei se tale abuso ci fosse davvero, probabilmente nella convinzione che i giudici europei avrebbero finalmente dichiarato con la massima autorevolezza possibile l’illegittimità della via spagnola: del resto gli stessi ricorrenti, temendo questo esito, contestavano questa scelta del CNF, ma di fatto essa potrebbe rivelarsi un clamoroso boomerang.

Infatti, l’Avvocato Generale ha per ora deluso le aspettative del CNF, liquidando come abbastanza semplici da risolvere le questioni che esso ha posto alla Corte: in primo luogo, esso ha ritenuto che la prassi italiana di alcuni consigli dell’ordine di negare l’iscrizione ad alcuni avvocati stabiliti sospettati di aver seguito la via spagnola (o rumena) potrebbe essere un rimedio eccessivo a rischio di creare dei “falsi positivi”, cioè di compromettere il riconoscimento di un diritto fondamentale ben al di là dei casi di effettivo abuso.

Anzi, a dirla tutta, “la prassi nazionale in questione equivale in sostanza a trattare come condotta abusiva ciò che, al contrario, costituisce proprio una delle condotte che il legislatore dell’Unione ha voluto consentire”: poter scegliere dove acquisire un titolo professionale, vedendoselo poi riconosciuto in un altro paese, è una caratteristica intrinseca di un mercato unico, e non ha rilevanza la facilità del percorso o la nazionalità di chi lo intraprende o quanto tempo trascorre prima dello stabilimento in un altro paese.

L’appartenenza all’Unione Europea impone infatti di ritenere sufficienti i controlli all’esercizio di una professione effettuati in un altro Stato membro, senza che sia possibile imporne di ulteriori nel momento in cui un avvocato di uno Stato intenda stabilirsi in un altro: l’Avvocato Generale lascia aperto uno spiraglio per possibili dinieghi in caso di abuso del diritto, ma ritiene che questa ipotesi possa verificarsi solo in ipotesi, rare, di contraffazione, corruzione o dichiarazioni false (potrebbe essere il caso degli esami “assistiti” offerti da alcune organizzazioni), ma non nel mero avvalersi di una normativa più favorevole.

3. Resta da vedere se la Corte deciderà di seguire o meno le indicazioni dell’Avvocato Generale. Se lo farà, assesterà un duro colpo alla strenua resistenza esercitata in tutti questi anni all’ingresso della concorrenza e del mercato nel mondo forense da parte del CNF. A tutt’oggi, non mancano le sue prese di posizione che trascurano la giurisprudenza europea, sopra ricordata, che considera i professionisti come degli agenti economici in tutto equiparati agli altri imprenditori.

Analogamente, nella vicenda degli abogados, il CNF ha sostenuto a più riprese la tesi dell’abusività della loro condotta. Ma la Corte, seguendo l’Avvocato Generale Wahl, avrà l’occasione per ribadire ancora una volta che il principio di concorrenza e la libertà di circolazione si applicano anche ai professionisti, e ciò a prescindere da eventuali disposizioni contrarie contenute nelle Costituzioni nazionali: è vero che la Costituzione italiana prescrive l’esame di Stato per l’accesso alle professioni, ma la direttiva sulla libertà di stabilimento degli avvocati non contrasta con questa previsione, e in ogni caso, quand’anche lo facesse, la Costituzione italiana dovrebbe fare un passo indietro. Come osserva giustamente l’Avvocato Generale Wahl, infatti, non sembra potersi ravvisare in ciò nessun attentato all’identità nazionale italiana, unico caso in cui sarebbe consentito all’Italia invocare un cosiddetto “contro-limite” e resistere all’impeto con cui il mercato unico tende ad abbattere barriere e ostacoli alla libertà di circolazione, avvicinando i popoli e imponendo un arretramento ai governi.