Caso Speciale: una questione di Stato Mercoledì 6 giugno 2007 il Senato ha dato ragione a Visco e torto a Speciale. Il merito è stato di Padoa-Schioppa, che con una strenua difesa dell'operato del suo viceministro è riuscito a convincere l'aula di Palazzo Madama a schierarsi dalla parte del Governo. La crisi politica per la rimozione del generale Speciale dal comando della Guardia di Finanza pareva così superata. Ma qualcosa è andato storto. La mossa dell'Esecutivo di spostare Roberto Speciale alla Corte dei conti non è riuscita, perché il Generale ha rifiutato. Non avendo accettato il «risarcimento» della carica di consigliere contabile per l'allontanamento dalle Fiamme gialle, Speciale si è tenuto le mani libere e adesso fa sapere di volere querelare Padoa-Schioppa e ricorrere al Tar. Una vicenda intricata e dalle molte sfaccettature che, sul piano istituzionale, ha ricadute di grande importanza. La designazione di Speciale alla Corte dei conti mette infatti a nudo aspetti problematici della vita politica e istituzionale italiana su cui merita riflettere. La politica dai due volti: non fa quel che dice Visto il curriculum di Speciale, la sua nomina a consigliere contabile non può definirsi alla stregua di promoveatur ut amoveatur. Ma il punto è un altro. Dai giornali si è appreso che in Senato Padoa-Schioppa ne ha dette di tutti i colori sul Generale. «Gestione personalistica e anomala» della Gdf; condotta «inqualificabile» nei confronti di Visco, perché «segnata da una mancanza di riservatezza molto grave»; uso della magistratura e della stampa «per alterare il corretto rapporto con il Governo, per screditare l'Esecutivo, comunque per intralciarne il normale operare»; esercizio della funzione di comando «degenerata nella separatezza», con «comportamenti a dir poco opachi». Un vibrante «j'accuse» che nulla ha a che vedere con la contestuale decisione di designare Speciale alla Corte dei conti. Due le alternative possibili: - il Ministro pensa realmente quelle cose: allora emerge con tutta la sua gravità come la politica tenga in scarsa considerazione le istituzioni del Paese;
- il Ministro non le pensa, ma le ha solo utilizzate per ricompattare la maggioranza e respingere l'attacco dell'opposizione al Governo: ne scaturisce una politica lontana dall'idea fondamentale di dovere giustificare le sue decisioni e che strumentalizza l'amministrazione pubblica a suo piacimento.
Ad ogni buon conto, posto che la nomina governativa a giudice contabile deve essere motivata e deve ottenere il parere favorevole del Consiglio di presidenza della Corte dei conti (decreto del Presidente della Repubblica n. 385/1977 e deliberazioni n. 92/CP/2002 e n. 417/CP/2005), non c'è dubbio che nel provvedimento di nomina (peraltro non conosciuto) non abbiano trovato posto gli apprezzamenti di Padoa-Schioppa su Speciale. Il profilo di un futuro membro della Corte dei conti non si concilia in nessun modo con le pesanti parole che sono risuonate in Senato. Ne scaturisce un quadro che evidenzia una politica «fuori controllo», capace di tutto e del contrario di tutto, pur di sopravvivere e di tenere ben saldo il comando. Una politica, inoltre, che non si occupa di interessi pubblici da individuare e poi realizzare in decisioni amministrative. Ed è un brutto segno quando tra l'azione politica e quella amministrativa non c'è continuità. Alla luce delle riforme avviate agli inizi degli anni 90, ciò che dice la politica deve trovare conferma nell'operato dell'amministrazione, che deve seguirne gli indirizzi. Tra spiegazioni parlamentari e decisioni ministeriali deve esserci perfetta coerenza: le seconde devono apparire ragionevoli rispetto alle prime. In caso contrario vuol dire che c'è qualcosa sotto e che le declamazioni della politica servono a fare fumo, ad alzare una cortina impenetrabile che viola i doveri di trasparenza che i poteri pubblici hanno nei confronti dei cittadini. Ecco la politica dai due volti: quella che non fa quel che dice. I rapporti tra il Governo e la giustizia amministrativa Il caso Speciale pone il problema delle nomine governative alla Corte dei conti e al Consiglio di Stato. La legge prevede che l'Esecutivo possa nominare non solo i consiglieri della Corte dei conti, ma anche quelli del Consiglio di Stato. Ad esempio, nel gennaio di quest'anno il Governo ha nominato consigliere di Stato il generale Niccolò Pollari, ex direttore del Sismi, indagato per il rapimento di Abu Omar e al centro dello scontro tra Governo e Procura di Milano, combattuto a suon di ricorsi per conflitto di attribuzione, su cui dovrà pronunciarsi la Corte costituzionale. Questo potere di nomina è contenuto presso la Corte dei conti (circa l'8% del totale: oggi 38 su 501), mentre è rilevante la quota di consiglieri di Stato che l'articolo 19 della legge n. 186/82 riserva alla designazione del Consiglio dei Ministri: il 25% del totale. Anche il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana (che in Sicilia esercita le funzioni del Consiglio di Stato) non sfugge alle nomine politiche: dei 19 (oggi 18) consiglieri previsti dal decreto legislativo n. 373/2003, 9 (oggi 8) sono designati dal Presidente della Regione, uno (scelto tra i prefetti) dal Ministro dell'interno. In questo contesto, funzione fondamentale (non esercitata però per il Cga: S. Raimondi, 2000) è quella svolta dai Consigli di presidenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti (i Csm dei giudici amministrativi), chiamati a dare il loro parere positivo sulla nomina governativa. Tuttavia, se questa non è gradita non sempre è rispedita al mittente, perché a volte gli organi di autogoverno dei giudici amministrativi scendono a compromessi per evitare «strappi» con l'Esecutivo. Fatte salve la competenza e le doti attitudinali dei consiglieri di nomina politica, occorre però chiedersi se non sia tempo per introdurre anche per le supreme giurisdizioni amministrative la regola già operante per la magistratura ordinaria dell'accesso esclusivamente mediante concorso. Questione molto sentita soprattutto per il Consiglio di Stato, dove ai vincitori dell'apposito concorso è riservata la stessa quota dei consiglieri governativi (25%), mentre il restante 50% spetta ai consiglieri di Tar, nominati per anzianità di servizio. Una situazione solo in parte «sanata» dal fatto che il conferimento delle nomine (la c.d. «provvista») non corrisponde all'effettiva copertura dei posti per via delle vacanze degli stessi determinate dai pensionamenti, dimissioni, collocamenti fuori ruolo, decessi (degli attuali 105 consiglieri di Stato, 39 provengono dai Tar, 36 dal concorso e 30 dalle nomine governative: Tar Lazio, sezione II-quater, ordinanza n. 12772/2006). Il punto è che i consiglieri più dinamici e giovani sono quelli che provengono dal concorso (età media sui 30-35 anni), mentre gli altri sono più vecchi (l'età media di quelli nominati per anzianità dai Tar supera i 50 anni) e meno motivati, in quanto prossimi alla pensione. E non è finita. Per quanto la Corte costituzionale abbia dichiarato la legittimità delle designazioni governative (pronunce n. 1/1967, 177/1973,316/2004, 179/2005) sul duplice presupposto che queste dipendono dall'accertata idoneità professionale e attitudinale dei candidati e che, dopo la nomina, questi ultimi non sono in nessun modo legati al Governo, essendo chiamati unicamente «all'obbedienza della legge» (sentenza 1/1967), più voci si sono levate negli anni a denunciare che l'ordinamento non assicura l'assoluta indipendenza dei consiglieri di Stato, del Cga e della Corte dei conti. Ciò soprattutto in quanto il sistema delle nomine si coniuga con quello dei condizionamenti governativi della carriera (ad esempio, la legge n. 202/2000prevede che il presidente della Corte dei conti sia nominato su proposta del Presidente del Consiglio) e con quello degli incarichi extraistituzionali (per incarichi politici e amministrativi nei gabinetti dei ministeri e in istituzioni di vertice). Che potrebbero anche avere una logica se la funzione richiesta al giudice fosse tecnica e di studio, ossia «neutrale» rispetto alla compagine al potere. Peccato che quando cambia il Governo, si assiste anche all'avvicendamento dei «giudici-consulenti», secondo la logica dello spoil system. Una fitta trama di rapporti tra giudici e organi governativi, dunque, definita (M. Renna, 2006) «poco compatibile con l'esigenza di assicurare la piena indipendenza e imparzialità degli organi giurisdizionali» amministrativi. Che rischiano di essere troppo speciali. |