Il Grande gioco. Il nome stesso evoca le terre lontane dell’Asia centrale, con le sue vallate desertiche sovrastate da cieli infiniti. Terre attraversate dalle carovane che lentamente percorrevano la Via della seta: instancabili trait d’union fra l’Oriente e l’Occidente antichi. Ma anche terre di conflitti e leggende, i cui protagonisti erano avventurieri, eroi e curiosi esploratori.
Uomini al servizio della Corona britannica, oppure degli zar del Cremlino. Chiunque si diletti di geopolitica ha subito il fascino del Grande gioco. Lo scontro senza fine che nell’Ottocento ha visto antagonisti inglesi e russi.
1. A prima vista potrebbe parere che di quella vicenda non restino oggi che le memorie di Conolly o i romanzi di Kipling. L’Europa continua a importare le sete cinesi, non più a dorso di dromedario. E gli archibugi hanno cessato di essere profittevole merce di scambio. Eppure il Grande gioco è una partita vecchia di un secolo e mezzo che resta tuttora aperta.
Ai protagonisti di allora se ne sono aggiunti di nuovi, sia locali quanto venuti da lontano. Lo scacchiere dell’Asia centrale, il cui cuore pulsa in Afghanistan, oggi è smembrato in tante nazioni ed è attraversato da interessi la cui origine è da localizzare oltre gli oceani e al di là delle sue immense catene montuose. Negli Stati Uniti, per esempio. Oppure presso le grandi potenze emergenti di Cina e India, che 150 anni fa non esistevano. Mentre oggi i loro appetiti ci fanno tremare le vene ai polsi. È rimasta la Russia. Ma la sua identità è decisamente cambiata rispetto alla Russia degli zar che voleva far abbeverare i suoi cavalli nel Gange.
Ci sono ancora gli inglesi, anche se la loro potenza oggi è solo un'ombra di quella di ieri. E poi ci sono i tanti Paesi nati dal crollo dell’Urss. Kazakhistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan: la dottrina li chiama “stan countries”, in riferimento al suffisso persiano “stan” (nazione). E allora aggiungiamoci il Pakistan e il già nominato Afghanistan. Ma pure l’Iran, anche se non è “stan” di nome. Ma è un solista di tutto rispetto nel Grade gioco odierno. Ed è lecito chiedersi se sia da classificare tra i buoni oppure tra i cattivi. Anzi, sarebbe meglio rivedere queste posizioni un po’ per tutti gli attori della partita. E magari domandarsi in che ruolo giochi l’Europa.
2. Questa rubrica riprende senza modestia il titolo del libro di Peter Hopkirk, “Il grande gioco” appunto, con l’obiettivo di far luce su un’area dell’Asia che resta un terreno fertile per le crisi diplomatiche e le guerre. Straordinario è come nessuno dei conflitti locali passati sia mai stato risolto davvero. Geopolitica, economia, strategia. In 150-200 anni sono cambiate le armi. Dagli archibugi siamo passati ai droni. Khan ed emiri si sono fatti da parte, facendo largo a presidenti e generali. Ma lo scenario è mutato di poco. In Afghanistan, 150 anni fa, si combatteva una guerra. Oggi è lo stesso. Nel frattempo l’Iran non si sapeva a cosa ambisse. Se a un legittimo Lebensraum, oppure a qualcosa di più preoccupante. Un tempo si incrociavano le spade per il controllo di un fiume. Oggi, oltre acqua, tappeti, pistacchi e zafferano, la partita si gioca sui giacimenti di petrolio, oppure su sterminati campi di papavero da oppio.
Il Grande gioco è cambiato. Ma non è finito. Purtroppo ha perso molto del fascino di un tempo. La sua complessità resta. Anzi, si è fatta ancora più articolata. Perché ai conflitti irrisolti se ne sono aggiunti di nuovi. E si è allargato il campo di battaglia. È innegabile infatti la connessione tra l’Asia centrale e il Medio Oriente, solo per fare un esempio. Si è avuta una stratificazione delle tensioni. In senso geografico, temporale e politico.
3. L’iniziativa non parte da zero. Lettera Economica ha ospitato più volte approfondimenti sullo stesso tema. D’altra parte, non si occuperà esclusivamente di questioni centro-asiatiche. Il mondo islamico, in generale, è coinvolto in questa grande partita. Lo stesso è per l’India, che non è un Paese musulmano, eppure è abitato dalla più grande comunità musulmana al mondo. E che dire degli Stati Uniti e dell’Europa? Nel Grande gioco ci sono dentro con ambo le scarpe.
Concludiamo con il metodo. A noi piace essere sfacciati. I luoghi comuni vanno trattati come si deve. Cioè sventrandone la loro consistenza di carta velina. Spesso i numeri in economica sono molto più di effetto. A osservarne il peso specifico è possibile che si riducano. In geopolitica alcuni soggetti sono bravi ad abbaiare, ma non a mordere. Un po’ come negli scacchi. Il re è sì il pezzo più importante, ma è anche quello le cui mosse sono banali e prive di risultati decisivi per la partita. Di re fintamente sovrani nel Grande gioco ce ne sono tanti. Da queste colonne ci piacerà guardare quadranti e argomenti con le lenti giuste. Chissà, potremmo scoprire che non ci servono nemmeno gli occhiali. Numeri, fatti, scenari, ma soprattutto protagonisti. Cercheremo di essere analitici, ma disinvolti. Proveremo a spiegare le cose, ma senza fare previsioni.
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