La de-ideologizzazione della politica indica una strada nuova a chi vuole occuparsi della cosa pubblica. La progettazione dell'agenda politica del futuro passa per il nodo della riforma elettorale e per la nascita di partiti moderni. Il Partito Democratico se vuole essere tale deve aiutare la società civile italiana a ritrovare una storia nazionale comune di cui andare fiera e quindi dedicarsi ad una politica delle soluzioni concrete, meno intrisa da forti tensioni ideali, ma non per questo meno importante.

 

 

Riforma della legge elettorale e nascita di nuovi soggetti politici
La politica italiana degli ultimi quindici anni ha offerto un panorama di bipolarismo rissoso ed esasperato, in cui l'alternanza si risolve il più delle volte in una tela di Penelope: le riforme degli uni vengono smantellate dagli altri. L'Italia si presenta immobile, le classi dirigenti più longeve del vecchio continente non riescono a rilanciare un'economia stagnante. Nascono così due esigenze: quella di individuare in modo definitivo i soggetti politici che si confronteranno sulle proposte di soluzioni politiche per il rilancio economico e sociale, nonché quella di darsi delle regole per decidere, la democrazia che non decide diventa assemblearismo e l'assemblearismo nella storia ha sempre anticipato svolte autoritarie.
Le due esigenze debbono essere affrontate una dopo l'altra; mentre pare che vi sia forte tentazione nella classe politica di costruire i nuovi partiti in funzione delle regole elettorali per massimizzare il beneficio. In un mondo perfetto, prima si dovrebbe decidere quali sono i nuovi partiti e le nuove alleanze, poi si dovrebbe stabilire la nuova legge elettorale. L'ineluttabile sequenza non sembra essere chiara a molti dei politici - Silvio Berlusconi in primis - che sembrano ondivaghi rispetto alle soluzioni del problema (in questo status quo è positivo che in lontananza vi sia lo spettro del referendum).

Per una politica dei contenuti e delle soluzioni
Prima di dare qualche risposta possibile alle esigenze evidenziate, vorrei fare alcune premesse imprescindibili sui contenuti della politica nell'età della società liquida, per usare la notissima espressione di Zygmunt Bauman.
Se da un lato non sembra ancora conclusa la transizione dalla prima alla seconda repubblica, dall'altro si è innegabilmente chiuso il tempo delle ideologie, dei partiti pesanti e dei cursus honorum predefiniti.
Il richiamo ad una memoria storica non condivisa e condita di falsificazioni preconcette non riesce più - se non per qualche frangia sparuta di militanti - a scaldare i cuori delle folle. Nell'età della rete, dei blog, dell'effimero televisivo, la vita dei partiti non si può più scandire nelle giornate spese in sezione o nel volantinaggio ai mercati rionali. La selezione dei futuri politici - ed è già storia vissuta - avviene solo in parte attraverso i canali di partecipazione collettiva offerti dai partiti politici; il sindacato, l'università, l'industria, la magistratura, il foro, il giornalismo offrono altrettanti canali di creazione di classe dirigente. Nessuno di questi canali, peraltro, ha offerto alla nostra classe politica nuova linfa, confermando che il problema del paese non sta nella classe politica, ma è un malessere più profondo che attanaglia tutte le aree della società civile: difficilmente cittadini irreprensibili si trovano rappresentati da politici irresponsabili e viceversa.

Un pragmatismo non opportunista
La fine delle ideologie non significa fine della politica; la de-ideologizzazione della politica indica una strada nuova a chi vuole occuparsi della cosa pubblica.
Intanto inevitabilmente rende necessaria una prosaica agenda di contenuti pratici; ci si deve scontrare e a volte anche incontrare con le proprie controparti sulle scelte concrete: fare ricorso o meno all'energia nucleare, costruire o meno una rete ferroviaria ad alta capacità e velocità, ridurre o no il numero degli enti locali.
Per pragmatismo non si intende vendersi al miglior offerente, ma accettare sempre la possibilità che i nostri avversari abbiano programmi e risposte concrete migliori. Mentre nell'età delle ideologie bastava alzare un vessillo o un braccio per poter immediatamente saltare dalle premesse alle soluzioni e quindi negoziare con gli avversari soluzioni concrete, nell'età de-ideologizzata e dei confronti sui programmi si assiste spesso all'esasperazione delle tenui differenze ideologiche tra le parti o alla creazione di immaginari punti irrinunciabili di programma (in questo senso credo debba leggersi tutta la vicenda della TAV). I politici, invece, dovrebbero avere la pazienza di illustrare in modo completo il perché delle scelte proposte ed essere disponibile ad accettare soluzioni migliori delle loro.
Il passaggio ad una vera politica dei programmi non può essere fatto - almeno nel nostro Paese - senza aver prima individuato un percorso di riconciliazione della storia nazionale, dobbiamo impegnarci in un'opera di ricostruzione onesta della memoria della nostra Patria. Ci ha provato il presidente Ciampi, sta continuando su quella strada il presidente Napolitano, ma pochi politici e pochi intellettuali si stanno dedicando con perseveranza al tema. Vanno in quel senso l'appassionato libro di Mario Calabresi sulle vittime del terrorismo e l'intervento in commemorazione di Garibaldi tenuto da Valerio Zanone in Senato per il bicentenario dalla nascita.

Una storia patria condivisa
L'Italia politica affonda le sue origini nella tradizione comunale: da tante singole storie locali si è poi passati ad una unica storia nazionale. Bisognerebbe aggiungere all'epopea Risorgimentale una rilettura approfondita dell'età di Giolitti, dove, grazie ad un lavoro pratico e tenace, si posero le basi per la nascita di uno Stato moderno provvedendo alla formazione del regio esercito e della scuola pubblica. Allo stesso modo sarebbe importante rileggere la nascita del movimento sindacale italiano e separare la lotta sindacale da quella ideologica per riscoprire il ruolo degli operai metalmeccanici nella nascita della sesta economia mondiale per prodotto interno lordo.
Tutti gli italiani debbono considerare patrimonio comune il governo di unità nazionale del dopo occupazione, la ricostruzione delle città distrutte dalla guerra e la Costituente repubblicana e il boom economico. L'intraprendenza dei nostri industriali e politici dell'epoca, unitamente alle condizioni internazionali favorevoli, hanno permesso al nostro Paese di sedersi - almeno per ora - al tavolo dei grandi della terra come avrebbe voluto chi trenta anni prima aveva perseguito quel disegno con una politica coloniale ed aggressiva ormai obsoleta.
È storia contemporanea l'introduzione dello Statuto dei lavoratori, la vittoria delle istituzioni contro il terrorismo brigatista, la comunitarizzazione del nostro diritto dell'economia e l'entrata nell'euro, così come le vittime delle mafie, tangentopoli e la crisi istituzionale a cui non si sono ancora date delle risposte definitive.
È necessario individuare delle basi comuni per guardare ad una politica dei contenuti, che, dalla tensione ideale sui princìpi, passi alle riforme pratiche necessarie per rilanciare il nostro paese e vincere le battaglie su cui non si segnano ancora svolte decisive.

Conclusioni
La svolta pragmatista non è una svolta qualunquista, ma è una svolta modernista. Passare dalla politica degli ideali a quella delle soluzioni non significa non avere ideali, non significa non avere un progetto di lungo periodo, ma significa inseguire le istanze della modernità che preferisce la stagione della pratica dei princìpi a quella delle declamazioni.
Un'estenuante indagine su quale sia il migliore dei sistemi elettorali è assolutamente vacua, gli italiani si sono due volte espressi a favore del bipolarismo, o ogni perdita di tempo alla ricerca del miglior tecnicismo viene scambiata per voglia di non cambiare, strategia per accaparrarsi qualche collegio in più, difesa dei propri interessi di bottega.
Si dovrà, invece, rapidamente spiegare ai cittadini come è composta la mappa dei soggetti politici che intende rappresentarli; in questo pare che il Partito Democratico sia più avanti rispetto agli altri schieramenti e possa guadagnare terreno di fronte al tergiversare delle cose Rosse, Bianche e Azzurre che come in un caleidoscopio appaiono e scompaiono sulle pagine dei quotidiani.
Il Partito Democratico deve aiutare la società civile italiana a ritrovare una storia nazionale comune di cui andare fiera e quindi dedicarsi ad una politica delle soluzioni pratiche e non per questo meno importanti; l'agenda politica di un partito moderno deve avere dimensione europea, optando, pragmaticamente, per un sistema comunitario a doppia velocità per far sì che riparta il progetto di integrazione europea; deve prestare attenzione alla politica della difesa riattivando l'Alleanza atlantica in una rinnovata collaborazione tra il nucleo storico dell'Unione europea e gli Stati Uniti; deve curare con dedizione la politica dell'energia che tanto peso ha non solo sulle bollette dei cittadini, ma anche sulla capacità di confrontarsi con i paesi produttori, spesso prigionieri di leader e caste politiche antidemocratiche; deve concentrare risorse sullo sviluppo delle infrastrutture che penalizzano il nostro sviluppo economico ed allontanano dalla politica di governo molto consenso nel nord del Paese; deve trovare un più proporzionato bilanciamento fra spesa pubblica e pressione fiscale per non perdere credibilità etica e politica. Vanno rimossi gli intralci che ritardano la liberalizzazione dei mercati chiusi e l'apertura agli investimenti internazionali, tutelando in prima battuta il cittadino/consumatore/risparmiatore garante ultimo della concorrenza leale tra le imprese.