1. Dopo i recenti scandali, le Regioni e gli Enti Locali sono nell’occhio del ciclone. Ad ogni nuova rivelazione si moltiplicano le critiche alla decentralizzazione amministrativa. Secondo molti sarebbe stato l’attuale decentramento ‘federalista’ a portare all’attuale stato di crisi e c’è già chi propone un ritorno al centralismo come la soluzione al problema.

L'azione dell'esecutivo, in questo senso, sta procedendo con l'ennesima modifica del titolo V della Costituzione, a fine legislatura, in senso centralista. Le modifiche non sono sostanziali, avocando allo Stato centrale solo competenze mai di fatto implementate a livello decentralizzato e limitandosi a delle dichiarazioni di principio, quali l'indivisibilità della Repubblica. Se, sul piano pratico,  questa modifica ha scarsi effetti è un inequivocabile segnale dell'inversione di tendenza di un percorso in senso federale che durava ininterrottamente ormai da decenni, indicando che anche la politica, e i tecnici, cominciano a vedere il decentramento amministrativo come un problema, specie in tempo di austerità.

Ma è davvero il decentramento ‘federale’ il vero problema? 

Ai critici dell’attuale ‘federalismo all’italiana’ non si può certamente rimproverare la mancanza d’argomenti.  La spesa Regionale Italiana è aumentata del 74,6% nell'ultimo decennio, come evidenzia un recente studio della cgia di Mestre, con aumenti in settori molto dispendiosi come l'assistenza sociale e la sanità rispettivamente del 150% e del 79,6%. A fronte di questi aumenti di grande entità non c'è stato alcun miglioramento  significativo della qualità dei servizi, anzi i cittadini si lamentano spesso di presunti tagli, infatti gran parte della spesa è stata incanalata nella funzione personale, con tutti i dubbi riguardo all'aumento degli sprechi e delle clientele che ne conseguono. Se le critiche al ‘federalismo’ paiono difficilmente confutabili allo stato dei fatti, la soluzione al problema non pare proprio essere il ritorno al centralismo.  Anzi, riportare ogni funzione a Roma potrebbe rivelarsi assai controproducente per la stabilità politica e sociale del nostro paese. Prima di addentrarci nei possibili scenari, però, occorre una dovuta puntualizzazione su cosa sia il federalismo. Pur trattandosi di una delle parole più impiegate nel gergo politico degli ultimi venti anni, pochi paiono averne realmente colto a fondo il significato.

2. Federalismo deriva dal latino Foedus, parola che significa patto, alleanza. Tralasciando la distinzione tra ‘federazione’ e ‘confederazione’, che è successiva ed in parte capziosa, l’idea di Federalismo è legata all’organizzazione dal basso di istituzioni atte ad agevolare la nascita di economie di scala in quei settori che travalicano i singoli ambiti regionali.  Il percorso federalista italiano, al contrario, è sempre stato caratterizzato da dinamiche top-down, con una progressiva creazione di entità istituzionali intermedie che agissero come ‘filiari’ dello Stato centrale, senza, però, creare la necessaria infrastruttura né delegare le competenze necessarie per una gestione decentrata del bilancio. In altre parole, il ‘federalismo all’italiana’ si limita solo a moltiplicare a cascata i centri di spesa. Questa caduta dall’alto di denaro pubblico non rende virtuosi gli amministratori locali, come avverrebbe se i poteri decentrati avessero una autonomia impositiva propria. Deresponsabilizzati verso i propri elettori/contribuenti, le autonomie locali si limitano a cercare di ottenere quanto più possibile dal centro.   

Dalla visione di un paese diviso in molteplici centri di potere in concorrenza tra loro, inizialmente proposta da Gianfranco Miglio, si è passati all'ennesimo aumento di spesa dello Stato, senza alcun miglioramento tangibile per il cittadino. Da un’evoluzione in senso elvetico, come quella prospettata dal professor Miglio, si è passati, invece, un meccanismo de-responsabilizzante in cui l'unico incentivo è l’aumento della spesa pubblica in ambito locale. Esemplificativa è la gestione distributiva in campo sanitario in vigore fino a poco tempo fa. Essa assorbiva mediamente l'80% del bilancio regionale, che per anni è stato basato sulla presunzione del fabbisogno endogeno. In pratica venivano allocate risorse in base al bilancio dell'anno precedente, senza alcun controllo esterno dei livelli di spesa e dei livelli qualitativi dell'output, né alcun benchmark di riferimento. A questa situazione si è provato ad ovviare, tardivamente, con il Dlgs 68/2011, che tra pecche e ambiguità intrinseche si è dimostrato incapace di contenere i costi, che rimangono in costante crescita.

Per contro il vero modello federale non può che partire da un' organizzazione dal basso fondata sulla responsabilizzazione degli enti locali, dotati di ampi gradi di autonomia nel campo economico e legislativo, in grado di creare una giusta tensione e concorrenza tra poteri che porti a dinamiche virtuose volte ad attirare cittadini ed azienda. L'esempio del modello istituzionale Elvetico è, in questo senso, illuminante,  con uno Stato di 7 milioni di abitanti e dalle dimensioni comparabili grossomodo ad una grande regione Italiana è diviso in 26 Cantoni con amplissime competenze sia in campo economico che legislativo, e le cui dinamiche interne sono estremamente indicative di come uno Stato federale dovrebbe funzionare. Ad esempio il flusso di popolazione e aziende da Zurigo al Canton Giura,  motivato dalla differenza di regime fiscale tra le due amministrazioni, ha innescato una concorrenza istituzionale volta ad invogliare la residenza, a tutto vantaggio del cittadino. Allo stesso modo soluzioni funzionali implementate da un cantone vengono spesso copiate dai vicini, grazie proprio all'incentivo creato dalla molteplicità di sistemi giuridici ed economici all'interno di uno stesso territorio e alla limitatezza dello stesso. Ad esempio un certo grado di concorrenza istituzionale è stata creata anche dalla Comunità Economica Europea, ma qui le maggiori distanze e le barriere linguistiche e culturali rendono difficile sfruttare quest'opportunità ai piccoli soggetti.

E' fondamentale, quindi, che  il federalismo proceda in senso qualitativo, con le giuste policies, ma anche in senso quantitativo, con una dimensione territoriale che permetta al cittadino di “votare con i piedi” in modo rapido ed il più possibile indolore.

3. L'esperienza federalista, o presunta tale, rappresenta, in conclusione, un’occasione mancata per dare al Paese un’infrastruttura istituzionale in grado di unire maggiore rappresentanza ad una maggiore responsabilità nella spesa pubblica. Le attuali difficoltà che l’Italia attraversa sono forse da imputare in parte proprio all’incapacità di responsabilizzare gli amministratori pubblici nei confronti dei cittadini che rappresentano. Ogni tentativo di riforma ha purtroppo avuto come unico risultato l’amplificazione dei vizi intrinseci dello Stato senza nessun ulteriore passo avanti verso la responsabilizzazione dei livelli più bassi di organizzazione sociale e dei corpi intermedi nel campo e delle entrate e delle uscite. Sistema, questo, che difficilmente potrà sopravvivere ad un protrarsi dell’attuale stato di cose. Si pensi alla Spagna dove la crisi ha riacceso le pulsioni indipendentiste proprio a seguito dei tagli ai trasferimenti dallo Stato centrale. In questo quadro, in Spagna come in Italia,  un ritorno ad una politica centralista emergenziale può solo contribuire ad un inasprimento del problema a cui il federalismo doveva essere la soluzione.