Con questa intervista ad Angelo Mambriani, giudice del tribunale di Milano, continua la serie di interventi dedicati alla situazione della giustizia in Italia.
La giustizia civile è nell’occhio del ciclone per via dei tempi di definizione dei giudizi e per il numero delle cause pendenti:
a) quanto c’è di vero in questo?
b) quanto tempo occorre per la definizione di una causa civile nei diversi gradi di giudizio?
È vero che i tempi di definizione dei giudizi civili e penali sono eccessivamente lunghi. Si tratta probabilmente del maggiore problema che affligge la funzione giudiziaria italiana e che contribuisce a relegarla in fondo alle statistiche sull’efficienza dei sistemi giudiziari redatte dalle organizzazioni internazionali.
La durata media complessiva di un processo civile in Italia è superiore a 1.210 giorni; la media della durata dei processi civili di primo grado nei paesi aderenti al Consiglio d’Europa è di 287 giorni contro i 590 giorni in Italia. Questi dati parlano da soli.
Occorre analizzare le cause di questa situazione, per adottare idonee soluzioni.
Esistono cause che riguardano in generale la struttura della funzione giudiziaria, cause che riguardano la disciplina del diritto sostanziale, cause che riguardano la disciplina del diritto processuale.
Con riferimento alla prima causa essa concerne:
1) la domanda giudiziaria civile in Italia;
2) una precondizione amministrativa assoluta: la conoscenza dettagliata dei flussi;
3) la distribuzione delle risorse della giurisdizione sul territorio (circoscrizione giudiziarie);
4) la situazione del personale amministrativo;
5) il numero dei magistrati;
6) le risorse a disposizione dei magistrati;
7) la laboriosità dei magistrati;
8) il numero degli avvocati*;
1) L’Italia è il secondo paese più litigioso d’Europa.
Dopo la Russia (3° Ucraina, 4° Spagna, 5° Francia, 6° Germania) l’Italia è il paese più litigioso d’Europa. In Italia vengono iscritte a ruolo ogni anno 3.958 cause (procedimenti contenziosi) per 100.000 abitanti, il doppio della Germania e il 43% in più della Francia. Èevidente che occorre assolutamente diminuire la domanda di giustizia che perviene ai Tribunali, disincentivando la proposizione di cause pretestuose e risolvendo in forme alternative tutte le controversie esitabili con tale modalità, con l’attenzione ad assicurare l’assoluta imparzialità del decidente e ad evitare forme di svilimento/rottamazione dei diritti.
2) Una precondizione amministrativa assoluta:la conoscenza dettagliata dei flussi.
È banale considerare che nessun atto amministrativo/gestionale può sperare di essere efficace se è concepito senza conoscere la realtà sulla quale va ad incidere. Non è possibile amministrare la giustizia – intesa come funzione complessiva – senza sapere in modo preciso quanto contenzioso genera un determinato territorio e di quale tipologia e senza sapere in modo preciso quanto di quel contenzioso viene definito ed in quali tempi, in modo da programmare la miglior possibile destinazione delle risorse, nelle condizioni date.
Ebbene, quasi sino ai nostri giorni, l’amministrazione della Giustizia si è avvalsa di strumenti di misurazione statistica estremamente rudimentali, molto imprecisi, lentissimi nel rilevare il mutamento delle situazioni. Solo in tempi relativamente recenti sono stati informatizzati i registri di cancelleria, con significativi benefici in punto di misurazioni statistiche dei flussi quantitativi/tipologici del contenzioso. Si sono dunque poste basi effettive per avere una conoscenza finalmente sufficientemente precisa e completa circa numero e tipologia di sopravvenienze e numero, tipologia e modalità di definizione dei processi.
Di recente (novembre 2014) il Ministero della Giustizia ha prodotto il primo “Censimento speciale sulle pendenze degli uffici giudiziari”, finalmente esaustivo e dettagliato, che offre una fotografia attendibile dell’effettivo stato della giustizia civile.
Con un ritardo che si benevolmente fissare in almeno 10 anni, il Ministero della Giustizia è inoltre riuscito a introdurre il processo civile telematico su tutto il territorio nazionale (in via ancora facoltativa sino al 31.12.2014; in via obbligatoria dal 1.1.2015). La telematizzazione del processo civile consente un enorme risparmio di risorse in termini di minori accessi alle cancellerie, velocità di deposito degli atti e dei provvedimenti, ordine nella tenuta degli atti, risparmio di personale di cancelleria con bassa qualificazione professionale, precisione delle rilevazioni statistiche. Richiede però una forte riqualificazione del personale di cancelleria. Sia consentita inoltre una richiesta a tutela dell’unità produttiva fondamentale – spesso stranamente dimenticata o negletta – cioè il singolo giudice, che è poi quello che gestisce il core business dell’amministrazione della giustizia, cioè la giustizia. Occorre che gli atti degli avvocati vengano messi a disposizione del Giudice in supporto cartaceo (c.d. “copie di cortesia”): non è possibile pretendere che il singolo Giudice legga al computer centinaia e centinaia di memorie; non è possibile pretendere che le stampi lui (uno scarico sull’amministrazione della giustizia di tempi e costi che devono rimanere in capo agli avvocati, trattandosi degli atti da loro depositati).
Il processo penale telematico non è stato ancora introdotto, con tutte le relative conseguenze in punto minore efficienza della macchina giudiziaria.
3) La distribuzione delle risorse della giurisdizione sul territorio (circoscrizioni giudiziarie).
È intervenuta solo nell’anno 2012 la revisione delle circoscrizioni giudiziarie (D.Lgs. n. 155 del 7.9.2012, efficace però dal 13.9.2013), attesa e sollecitata da almeno 20 anni. La suddivisione delle circoscrizioni giudiziarie, risaliva infatti al periodo pre-unitario (ante 1860). Solo così si poteva spiegare la presenza di 17 Tribunali in Piemonte e di ben quattro Corti di Appello in Sicilia. Con la riforma sono state soppresse parecchie sedi giudiziarie (31 tribunali, 31 procure, 220 sedi distaccate di tribunale, 667 sedi di giudice di pace), accorpate ad altre. Così i Tribunali si sono ridotti da 165 a 134. L’impatto e la bontà delle scelte del legislatore nel disegnare le nuove circoscrizioni giudiziarie potrà essere apprezzata solo nei prossimi anni. Sempre che il Ministero della Giustizia si curi di rilevare dati statistici relativi ai flussi di processi dai quali possa trarsi se il nuovo disegno territoriale è positivo in termini di allocazione di risorse, se comporta un risparmio di spesa ed una maggiore produttività della macchina giudiziaria od invece, magari solo con riferimento a determinati circondari, gli effetti sono nulli o addirittura negativi e, soprattutto, in che modo e misura eventuali nuovi provvedimenti sul disegno delle circoscrizioni siano eventualmente necessari per ulteriormente migliorare la resa in termini di produttività.
4) La situazione del personale amministrativo.
Risulta che le scoperture degli organici del personale amministrativo sono circa il 18%, ma con punte del 24% in Lombardia e del 41% a Bolzano. L’Italia, in Europa, si posiziona al 16° posto per personale di cancelleria e amministrativo, con 42,6 addetti per 100 mila abitanti. Si tratta di carenze che incidono grandemente sulla funzionalità della macchina giudiziaria. È inoltre grave che il Ministero non promuova una forte riqualificazione professionale del personale esistente, individuando e diffondendo le migliori prassi di gestione degli uffici di cancelleria.
5) Il numero dei magistrati.
Risulta che in Italia sono in ruolo 6.654 magistrati (dato 2010), pari ad 11 per 100.000 abitanti, numero che la pone sostanzialmente al livello della Francia (10,7) ed u po’ sopra la Spagna (10,2), ma, con esse, molto sotto la Germania (24,3). Si tratta, tuttavia, del numero dei magistrati in servizio, sensibilmente inferiore al numero di quelli previsti in pianta organica. Ciò comporta una disfunzione in termini di possibilità di fronteggiare adeguatamente le sopravvenienze. Non si tratta, dunque, di aumentare il numero dei giudici, che è adeguato, ma di riempire gli organici.
6) Le risorse a disposizione dei magistrati.
Si deve prendere le mosse dall’idea che il singolo giudice costituisce l’unità produttiva fondamentale, sicché è evidente che lo si deve dotare di tutti gli strumenti utili (e necessari) perché renda una buona giustizia in tempi ragionevoli e, ancor meglio, rapidi.
A tale fine è necessario:
- che ogni giudice abbia a disposizione una stanza dove lavorare, il che non accade per tutti i giudici ed in tutte le sedi giudiziarie italiane (molti sono i giudici senza ufficio o con scrivania e telefono in condivisione con un collega);
- l’istituzione di un vero e proprio ufficio del giudice. Sulla conformazione di questo ufficio ancora si discute. Personalmente sono contrario all’assunzione di funzionari in forma stabile con funzioni di assistenza al giudice. Si tratterebbe infatti di una funzione alla lunga demotivante (un giudice di serie B?) e molto costosa per le casse dello Stato. Utile invece costituirlo con i giovani (1 o 2 per giudice), con buoni voti di laurea ed eventualmente un minimo di esperienza professionale (es.: 6 mesi di pratica legale), che svolgano la loro attività in stage lungo (un anno – un anno e 6 mesi). Lo stage deve avere funzione abilitante al concorso in magistratura ed all’esame di avvocato. Lo stagista deve avere una retribuzione (contenuta: € 600/mese) in regime di borsa di studio. Questo sistema è stato sperimentato al Tribunale di Milano negli anni 2011/2012 ed ha portato ad un aumento di produttività del giudice nell’ordine del 20%, percentuale di assoluto rilievo a fronte della pochezza del costo sostenuto. Tale possibilità di stage è stata introdotta per legge solo nell’anno 2014. Non è stata tuttavia prevista l’erogazione obbligatoria della borsa di studio, il che inciderà fatalmente sugli effetti dell’istituto;
- deducibilità fiscale dei codici e libri giuridici acquistati dal giudice, entro un ragionevole tetto massimo annuo;
- ulteriore miglioramento della Scuola Superiore della Magistratura, che cura la formazione professionale. I particolare riduzione dell’utilizzo della Scuola da parte dei Magistrati di prima nomina – il cui tirocinio deve essere svolto in misura molto maggiore presso gli uffici giudiziari – ed incremento quali/quantitativo dell’offerta formativa per i giudici con funzioni.
7) La laboriosità dei magistrati.
Premesso che la laboriosità dei magistrati è componente forte della produttività del Giudice – ma non la esaurisce, perché incidono in misura rilevante tutti i fattori sopra indicati – deve confortare il fatto che i magistrati italiani sono, per riconoscimento ufficiale a livello europeo, tra i più produttivi d’Europa.
In particolare i giudici italiani definiscono annualmente circa 2.000.000 di processi contenziosi (2.047.289 nel 2012) e sono i secondi più produttivi in termini assoluti.
Complessivamente sono definite annualmente circa 4,5 milioni di cause, dunque una misura superiore alle sopravvenienze, il che ha consentito di diminuire costantemente l’arretrato negli ultimi tre anni, seppure in misura certamente migliorabile (v. postea).
Potrà inoltre confortare il fatto che:
- sono previsti programmi di gestione che i presidenti di sezione devono presentare annualmente, nel cui ambito sono previsti “carichi esigibili” per ogni giudice dell’ufficio;
- è previsto un vaglio quadriennale della professionalità del magistrato – con effettiva incidenza sulla sua carriera - , nel cui ambito costituisce voce rilevante la puntualità nel deposito dei provvedimenti;
- che gli organi di autogoverno – Consigli Giudiziari e CSM – ormai da anni vigilano in modo molto rigoroso su tutta la tematica dell’efficienza e della produttività dei magistrati.
8) Il numero degli avvocati.
Risulta che, al 2010, il numero degli avvocati italiani era di circa 212.000, ben maggiore di quello dei tedeschi, pur numerosi (155.000), e spagnoli (125.000), abissalmente lontano da quello dei francesi (51.700), russi (65.000) e turchi (70.000). È evidente lo squilibrio tra numero di avvocati, da un lato, numero di abitanti e numero di giudici, dall’altro. È altrettanto evidente che l’eccessivo numero di avvocati costituisce uno dei fattori che influiscono sull’abnorme domanda giudiziale che grava sui Tribunali. Si tratta tuttavia di un fattore che potrà rientrare in dimensioni fisiologiche solo molto lentamente, previa introduzione di più stringenti sistemi di selezione delle nuove leve della professione forense.
Quali sono i numeri dell’arretrato?
I numeri sono questi:
- nell’anno giudiziario 2010/2011 sono stati iscritti 4.475.419 procedimenti civili ed esauriti 4.527.475 con pendenza finale 5.738.673; nell’anno 2011/2012: iscritti 4.329.362 processi civili, esauriti 4.532.930, pendenti 5.488.102; nell’anno 2012/2013: iscritti 4.398.902, definiti 4.554.038, pendenti 5.257.693. Cioè, a fronte di iscrizioni in lieve flessione, le definizioni sono state sempre maggiori delle sopravvenienze e sempre in costante aumento. Ciò ha consentito di erodere l’arretrato, anche se in misura certamente migliorabile (da 5,7 mln. A 5,2 mln. In tre anni). La diminuzione delle pendenze finali è in costante calo dall’anno 2009.
Il tasso di smaltimento (“clearance rate”), secondo il Rapporto Cepej 2014, è del 110% e ci pone al secondo posto in Europa per capacità di riduzione delle pendenze.
Ciò posto, è molto importante intendersi su cosa significa “arretrato”.
Poiché è chiaro che, siccome una causa “pendente” dal momento della sua iscrizione a ruolo, è anche chiaro che essa non è certo qualificabile come “arretrato” dal giorno successivo a quello dell’iscrizione.
Ciò significa che, dei 5,2 milioni di cause pendenti al 30.6.2013, solo una frazione è “arretrato”.
Si può convenzionalmente ritenere “arretrato” ciò che non è smaltito in tempi fisiologici.
Siccome i tempi patologici sono: oltre tre anni in primo grado, oltre due anni in secondo grado, oltre un anno in Cassazione (art. 2 comma 2-bis l. n. 89 del 2001), allora saranno “arretrato” quei processi non definiti in quei tempi.
Così definito, arretrato è misurabile in circa un milione di cause.
In conclusione: i giudici italiani sono laboriosi e, con uno sforzo certamente notevole, riescono a smaltire i circa 4 milioni di cause che sopravvengono ogni anno, fanno anche diminuire l’arretrato, ma non riescono ad aggredire davvero efficacemente un “debito pubblico” di cause quantificato come sopra.
È dunque assolutamente necessario che lo sforzo organizzativo di tutte le istituzioni giudiziarie - a partire dai singoli giudici per arrivare al Ministero della Giustizia ed al CSM - si concentri su queste cause più vetuste per smaltirle con criterio di assoluta priorità rispetto alle più recenti sopravvenienze. Soprattutto perché è da questo serbatoio che scaturiscono le richieste di risarcimenti ex lege Pinto, che hanno sinora comportato esborsi per lo Stato per circa 400 milioni di euro.
Quale componente del c.d. tribunale dell’impresa, può dirci se l’introduzione di sezioni c.d. specializzate costituisce una risposta efficace ed efficiente per chi si rivolge alla giustizia civile?
In linea generale si deve dire che la specializzazione costituisce imprescindibile componente di una buona giustizia resa in tempi ragionevoli. Perciò essa deve essere diffusa ed applicata in tutti i Tribunali italiani, compresi – nei limiti del possibile – quelli di minori dimensioni. Ignoro se ciò effettivamente accada ovunque. Certamente il CSM dovrebbe assicurare che la trattazione specializzata degli affari civili sia uniformemente applicata in tutti gli uffici giudiziari, con i necessari adattamenti.
Per quanto riguarda il Tribunale di Milano, che conosco meglio, posso dire che la specializzazione delle sezioni civili è stata introdotta da tempo immemorabile e quella delle sezioni penali da circa 15 anni.
Per quanto concerne l’istituzione delle Sezioni Specializzate in materia di impresa, avvenuta nel 2012, va detto che, con riferimento al Tribunale di Milano, l’impatto non è stato eclatante, visto che la specializzazione era preesistente. Tuttavia non si può non giudicare positivamente, in linea generale, questa attenzione a determinate materie. Va però evitata la tendenza, che già si delinea in sede di riforma, ad ampliare la competenza delle Sezioni specializzate ad altre materie disomogenee, con conseguente fatale perdita di specializzazione.
Occorre altresì evitare di cadere in un equivoco: le Sezioni specializzate in materia di impresa si occupano soltanto di controversie in materia societaria, in materia di proprietà industriale ed intellettuale, in materia di concorrenza, in materia di appalti di rilevanti dimensioni. Cioè di materie che richiedono sì una notevole specializzazione e sono spesso importanti per i destini delle imprese, ma che poco o nulla hanno a che fare con il recupero dei crediti delle imprese stesse (salvo in materia di appalti). E ciò di cui più si lamentano le imprese sono appunto le lungaggini ed inefficienze nel recupero dei crediti, ambito sul quale le Sezioni specializzate non hanno competenza.
In quell’ambito incide però la specializzazione più largamente intesa, che è stata sopra richiamata, e per la cui attuazione non occorrono leggi, ma circolari e vigilanza del CSM.
I tempi della giustizia civile sono compatibili con quelli del mondo degli affari?
Siccome nemmeno il “mondo degli affari” può esistere senza giustizia, la risposta è necessariamente positiva.
Vero peraltro che, essendo la velocità una cifra importante nel doing business attuale, la giustizia, per essere efficace, deve essere adeguata.
Per esserlo, oltre alla necessaria specializzazione, abbisogna di strutture e procedure adatte.
Dei primi due aspetti si è già detto. Quanto al terzo, si dirà in generale rispondendo alla domanda successiva.
Per quanto però più strettamente riguarda le Sezioni specializzate in materia di impresa, va considerato che la loro istituzione ha portato con sé, sul piano processuale, che la decisione di tutte le cause deve avvenire da parte di un collegio di tre giudici. In precedenza si era sperimentata positivamente la trattazione e decisione da parte del giudice monocratico almeno delle cause in materia di cessione di partecipazioni. Vi è comunque da dire che molta parte del contenzioso si risolve nell’ambito di procedimenti cautelari che si esauriscono in via definitiva nell’arco di pochi mesi.
De jure condendo si deve osservare che la provvidenziale abrogazione del “rito societario” (D.Lgs. n. 5 del 2003), avvenuta nel 2009, ha però trascinato con sé un istituto utile a velocizzare i procedimenti in materia di impugnazione di delibere assembleari: il giudizio “abbreviato” con passaggio diretto dalla fase cautelare a quella del giudizio di merito (art. 24 commi 4 e ss.). Sarebbe utile ripristinarlo, con opportuni adeguamenti.
È noto che un motivo di ostacolo agli investimenti in Italia sia rappresentato dalla lentezza della giustizia civile: nella sua esperienza, ha avuto conferma di questo dato? e se sì, quale può essere una risposta? Un uso estensivo del sistema informatico? Ridurre i riti assimilandoli a un unico tipo? Per esempio quello vigente per il processo del lavoro?
Secondo la Banca d’Italia il malfunzionamento della giustizia civile incide negativamente sul PIL nella misura dell’1%, rallenta la crescita del sistema imprenditoriale e ostacola l’attrazione di investimenti stranieri, poiché genera sfiducia nel sistema Paese. Il Centro Studi di Confindustria stima che lo smaltimento dell’arretrato civile frutterebbe alla nostra economia il 4,9% del PIL ma basterebbe abbattere anche del 10% i tempi di risoluzione delle cause per guadagnare lo 0,8% del PIL l’anno.
Ce n’è abbastanza per concludere che investire nel sistema giustizia – soprattutto evitando inutili strumentalizzazioni e proponendo riforme adeguate alla realtà della situazione – conviene.
Tanto premesso si può parlare del processo civile. Del telematico si è già detto che entrerà a pieno regime l’1.1.2015.
È stata inoltre varata la l. n. 132 del 2014 che prevede: - istituto della mediazione; - transito facoltativo dal giudizio ordinario al giudizio semplificato (simile al processo del lavoro); - previsione di alto tasso di interesse da applicare al credito in corso di causa; - necessaria condanna alle spese della parte soccombente; - transito della causa in arbitrato.
L’istituto della mediazione assistita - nella nuova versione – è certamente utile e la sua previsione necessaria. Tuttavia non si possono riporre speranze eccessive sulla sua effettiva incidenza: se le parti intendono transigere, sono già in grado di farlo con l’ausilio dei loro difensori; quello che li fa transigere è semmai l l’invito del giudice, cui le parti sono necessariamente sensibili (art. 185 bis c.p.c., peraltro introdotto solo nel 2013). Occorrerà verificare gli effetti della riforma in termini di costi/benefici, per calibrarne meglio l’ambito di applicazione ed alcuni particolari della disciplina.
Il transito dal giudizio ordinario al giudizio semplificato iussu iudicis è prevedibile verrà utilizzato con il contagocce, sia perché riguarderà poche cause molto semplici, sia perché i ruoli sono intasati e l’anticipazione di una causa rispetto alle altre è discriminatoria e disfunzionale, allontanando il termine di definizione delle altre.
Sono poi previste due norme volte alla deflazione della domanda giudiziale.
L’inasprimento della disciplina sulla condanna alle spese della parte soccombente è stato giustamente introdotto a fronte di una (incomprensibile) tendenza dei giudici a largheggiare nella compensazione della spese. Il legislatore è forse andato oltre il segno nell’irrigidire la disciplina, ma si tratta appunto di una naturale reazione ad un meno giustificabile indulgenzialismo giudiziale.
Quanto al tasso di interesse ingente, si tratta di una norma sacrosanta (il tempo utilizzato da chi ha ragione per avere ragione deve essere adeguatamente remunerato), introdotta anche troppo tardi. Essa tuttavia non scoraggerà chi non solo non vuole o non può pagare, non tanto gli interessi, quanto il capitale.
Se i giudici faranno opportuno governo anche della disciplina sulla condanna del soccombente per lite temeraria potranno comunque ottenersi utili effetti deflattivi.
Suscita invece scetticismo la norma che consente di far transitare il processo in arbitrato. Se si tratta di primo grado, difficilmente chi dubita di avere torto consentirà a rischiare una pronuncia sfavorevole in meno tempo e con più spese. In appello chi ha avuto ragione in primo grado difficilmente abbandonerà quel provvedimento che ha consacrato il suo successo, parziale ma significativo.
Quanto alla generale struttura del processo civile di cognizione, non manca chi, non senza fondamento, invoca un “fermo biologico” che consenta di assimilare e implementare le non poche riforme che oggi sono sul tappeto.
Tuttavia, non si può mancare di sottolineare che, ad oggi, il nostro processo civile prevede termini sostanzialmente incomprimibili a difesa delle parti e per l’organizzazione dei ruoli e per la decisione di ben 325 giorni (355 se collegiale, oltre la sospensione feriale).
Si tratta di una scansione procedimentale troppo rigida e che determina dilazioni eccessive. In chiave di riforma, dunque, si diffonde sempre più la convinzione della necessità di rimodulare il processo generalizzando lo schema dell’attuale rito semplificato (art. 702 bis c.p.c.) o del rito del lavoro o del giudizio arbitrale. Si tratta, in sostanza, di eliminare i tempi rigidi delle tre memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., fornendo alle parti ed al giudice uno strumento più elastico, da conformare alle effettive esigenze di contraddittorio richiesta dalla singola causa. Questo è anche lo schema di processo civile vigente in Germania. Va inoltre senz’altro estesa al processo collegiale di primo grado la possibilità di rendere sentenza con motivazione contestuale.
Dal mero punto di vista economico, quanto costa la giustizia?
È stato calcolato che la spesa pubblica per il funzionamento di tutti gli organi giudiziari – civili e penali – è di € 3.051.375.987 annui, pari allo 0,20% rispetto alla spesa pubblica complessiva e di poco inferiore alla media europea dello 0,24%. Di contro, l’erario incassa, tramite il contributo unificato, solo il 10,7%n di quella spesa. Il rapporto 2014 Cepej certifica che la spesa per il funzionamento degli organi giudiziari in Italia è di circa 50 euro per abitante – stabile nel biennio 2010-2012 -, sicché risulta inferiore a quella di Francia e Olanda (€60) e si pone nella fascia medio-alta dei paesi europei.
Il sistema giustizia (civile) apporta guadagni allo Stato? E se sì, quanto è il guadagno?
Il sistema della giustizia civile è un sistema re-distributivo: il giudizio e l’esecuzione fanno sì che il soggetto giuridico (persona fisica o giuridica) che avrebbe dovuto dare e ingiustamente non ha dato dia quello che deve dare al soggetto giuridico che l’avrebbe dovuto avere e ingiustamente non l’ha avuto.
In questo giro, in termini monetari, lo Stato non guadagna nulla, non incrementa il suo patrimonio, per il semplice motivo che non si controverte alcunché di suo.
La questione è, però, che la giustizia (effettiva applicazione delle regole che la comunità si dà) è l’essenza stessa dello Stato e, siccome non si è mai riscontrato nella storia umana, uno spontaneo adeguamento di tutti i componenti della comunità alle regole che essa si è date, senza giustizia la comunità non esiste.
Infatti non esiste Stato – quale che ne sia la forma – privo di istituzioni giudiziarie.
Perciò la giustizia è, prima che un servizio essenziale, un potere dello Stato, rispetto al quale la domanda formulata ha lo stesso senso che chiedersi quanto ci guadagna lo Stato a fare le leggi o a organizzare la Polizia o l’esercito.
L’unico “guadagno” che lo Stato ricava dalla giustizia civile è il contributo unificato, imposta pagata dall’attore al momento dell’iscrizione a ruolo della causa (v. supra). Sarebbe tuttavia incostituzionale (lesione del diritto ad ottenere tutela dei propri diritti), far gravare anticipatamente tutto il costo della causa sull’attore.
Questo spiega anche la netta differenza di costi rispetto all’arbitrato, in cui l’intero costo della procedura - compresi gli emolumenti degli arbitri – grava sulle parti e solo su di loro.
Occorrono più investimenti? In termini di mezzi/uomini?
Quanto detto sinora rende evidente che non è pensabile immaginare di dare efficienza alla macchina giudiziaria a costo zero. Vero è, peraltro, che i costi aggiuntivi rispetto agli odierni stanziamenti non sono particolarmente ingenti. Non occorrono più uomini, ma solo quelli che si è previsto essere necessari a far funzionare decentemente la macchina. Ma si richiedono, soprattutto, più mezzi e strutture, più organizzazione e migliore utilizzo delle risorse esistenti.
* Le fonti dei dati menzionati nel testo sono: Censimento speciale sulle pendenze degli uffici giudiziari, Ministero della Giustizia – Dipartimento organizzazione giudiziaria – novembre 2014, in www.giustizia.it; Rapporto Cepej 2008, Rapporto Cepej 2010, Rapporto Cepej 2014; dati tratti dal sito del Ministero della Giustizia; scheda sulle riforme in materia di giustizia tratta dal sito www.fermareildeclino.it.
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