La proposta avanzata da un gruppo di cittadini veronesi sulla regolarizzazione della prostituzione, presto al vaglio del consiglio comunale, pone nuovamente la domanda circa il mestiere più antico del mondo: la prostituzione è moralmente ripugnante e quindi dovrebbe essere resa illegale? Su questo problema controverso e spinoso ha senso chiedersi quali soluzioni possano essere avanzate da una prospettiva liberale.

1. E’ di questi giorni la notizia che un gruppo di cittadini di una quartiere nella periferia di Verona ha proposto di istituire delle cooperative con licenza di sesso a pagamento, lontane però dai centri abitati. Si tratta di una proposta che nasce in un contesto degradato, in circostanze in cui gli abitanti, esasperati dalla presenza continua di prostitute per le strade, hanno deciso di proporre una soluzione del problema. L’idea è stata lanciata dal capogruppo della Lega nel consiglio della quarta circoscrizione del Comune di Verona, ma è appoggiata anche da Pd e Pdl e verrà discussa a fine luglio in Comune. Si tratta quindi di una intesa comune per agire sull’industria della prostituzione in modo tale da intervenire sulla legislazione vigente a livello nazionale. La proposta, infatti, prevede la criminalizzazione della prostituzione per strada in modo tale da obbligare chi lavora in questo settore a inserirsi in una cooperativa. L’idea è semplice e non particolarmente originale: partendo dal presupposto che l'obiettivo di estinguere la prostituzione non è raggiungibile, si cercano modalità di regolamentazione e controllo della pratica. Nel contesto veronese, data anche la crisi attuale, l’interesse sembra essere soprattutto di natura economica. Chiedere alle prostitute di costituirsi in cooperative non significa solo poter monitorare il loro stato di salute attraverso controlli medici, ma anche mettere mano agli aspetti fiscali. Insomma, si vorrebbe regolarizzare la prostituzione per ragioni non solo di salute, ma anche di entrate nelle casse del Comune.

Quello di Verona non è un caso isolato. In Germania, per esempio, nel 2001 è stata approvata una legge che per la prima volta attribuisce alle prostitute diritti e garanzie, riconoscendo la prostituzione come un’attività lavorativa come tante altre. Questa legge prevede non solo la legalizzazione dei bordelli, ma soprattutto il riconoscimento del rapporto tra cliente e prostituta come non immorale. In questo senso, la legge rappresenta un tentativo di rompere lo stigma sociale che viene solitamente attribuito alle prostitute o ai gigolò. Inoltre, la legge riconosce la prostituzione come un’attività lavorativa vera e propria, con la possibilità di stipulare contratti e il diritto ad assicurazione sanitaria, sussidio di disoccupazione e pensione, ovviamente pagando regolarmente le tasse. Allo stesso modo, i bordelli possono registrarsi come attività commerciali in piena regola. Infine, anche la figura del protettore è cambiata: il reato di “promozione della prostituzione” è stato sostituito con quello di “sfruttamento della prostituzione” e, di conseguenza, fare il protettore è considerato illegale solo a determinate condizioni, quando per esempio questi incassa più della metà di quello che la prostituta guadagna con le sue prestazioni sessuali.

La cosa interessante del caso tedesco, in particolare rispetto al dibattito italiano, non è tanto la legge in sé, ma le sue conseguenze. Un lungo articolo apparso sullo Spiegel lo scorso maggio ha messo in luce vari problemi emersi con la nuova legge e ha sostenuto che essa non ha migliorato la vita delle prostitute, ma al contrario l’ha peggiorata. In particolare, i giornalisti dello Spiegel mostrano come siano pochissime le prostitute che hanno regolarizzato il loro status professionale firmando dei contratti, mentre la maggior parte continua a lavorare in una situazione di degradata precarietà. In sostanza sembra che la legge tedesca non abbia migliorato il controllo sociale delle prostitute, né le loro condizioni di lavoro o la loro possibilità di abbandonare la professione. Anzi, la messa in regola dei bordelli ha reso ancora più complesse le operazioni di polizia. Senza contare che uno studio realizzato dal Parlamento Europeo dimostra come la legalizzazione della prostituzione abbia aumentato il numero di prostitute nel paese e, conseguentemente, anche il numero delle vittime del traffico di esseri umani. I due fenomeni sembrano infatti essere legati: più è elevato il numero di prostitute, più è elevato il traffico di esseri umani.

Questa panoramica è particolarmente interessante se si incrocia l’esperienza tedesca con quella svedese. In Svezia, nel 1999, è stata introdotta una legge di segno opposto rispetto a quella tedesca, in cui è stipulato che comprare qualsiasi tipo di servizio sessuale è illegale. Uno studio, basato su diversi dati forniti dal Ministero dell’Industria Svedese, mostra come il numero di prostitute in Svezia sia sensibilmente diminuito dopo l’entrata in vigore della legge.

2. I dati e le esperienze legislative di altri paesi sono sicuramente elementi importanti nel processo di policy-making, ma la valutazione delle politiche deve reggersi anche su solidi criteri normativi. Da questo punto di vista, quindi, ha senso chiedersi se la prostituzione sia in sé un male morale e quali leggi debbano regolare una tale pratica. Solitamente il dibattito filosofico circa la prostituzione si esaurisce, per dirla in modo semplice, in una disputa tra una prospettiva liberale e una femminista. Nel primo caso, è rifiutata l’idea che ci siano della ragioni morali per interferire con la vita delle persone e con le attività commerciali volontarie di persone adulte e consapevoli. Nel secondo, invece, la prostituzione è vista come un esempio paradigmatico dell’oppressione delle donne nella società, oppressione che ovviamente danneggia le donne nel conferire loro uno status politico e sociale inferiore. L’idea è che, poiché le donne sono anche il loro corpo, venderlo significa vendere anche il proprio essere donna, la propria identità.

Sebbene l’argomento liberale sia convincente nella sua strenua determinazione a salvaguardare l’autonomia e la libertà degli individui, la posizione femminista ha sicuramente il merito di catturare la difficoltà concreta e reale di chi si ritrova a vivere in un contesto come quello dei bordelli o della strada. Il problema del liberale sta nel fatto che è ambivalente nei confronti della prostituzione. Se, infatti, da un lato concepisce quella della prostituzione come una vita assolutamente poco edificante e non ideale, che facilmente può sconfinare nell’abuso e nella sofferenza degli individui, dall’altro, il liberale non può rinunciare all’idea che il potere politico non debba, attraverso l’implementazione di leggi particolari, indicare stili di vita ai cittadini. Semplicemente, dal punto di vista liberale, il governo non deve dire ai cittadini come devono comportarsi, o imporre loro credenze particolari.

E’ possibile dunque coniugare istanze di autonomia per adulti consenzienti e barriere protettive per la loro salvaguardia?

Utilizzando una griglia concettuale messa a punto da Peter De Marneffe, è possibile distinguere quattro diversi tipi di legislazione per governare la prostituzione: (1) proibire e criminalizzare sia chi vende, sia chi compra servizi sessuali; (2) abolire e quindi criminalizzare solo chi compra servizi sessuali; (3) legalizzare e regolarizzare imponendo delle restrizioni circa la compravendita di servizi sessuali, considerata come differente da altre attività commerciali; (4) depenalizzare il reato applicando al mercato della prostituzione le stesse leggi in vigore per la compravendita di altri beni e servizi. Il principio che il liberale può far valere nella scelta tra queste quattro opzioni è quello del danno di Mill. Il punto è che sebbene sia vero che la dottrina liberale è necessariamente imperniata sul principio di libertà, questo non significa che assicurare la maggiore libertà possibile ai cittadini sia il solo e unico obiettivo da raggiungere. Il liberalismo non è solo basato sul principio di libertà, ma anche su altri principi necessari come quelli dell’uguaglianza delle opportunità, della sicurezza personale, dell’eguaglianza di tutti davanti alla legge. Il liberalismo dunque non è incompatibile con l’idea che i governi possano adottare delle politiche atte a proteggere i cittadini dal subire danni, anche quelli auto-inflitti a partire da scelte personali. In questo senso, essere liberali non è incompatibile con il sostenere leggi che mirano a considerare la prostituzione un danno per le donne. Il punto è riuscire a trovare un difficile equilibrio tra la protezione delle prostitute e la libertà sessuale di ciascuno, cercando una soluzione che stia a metà tra (2) e (3).

3. Da tutta questa discussione si evince che la legge tedesca e quella svedese possono essere posizionate ai due estremi della griglia concettuale: in Germania infatti il tentativo è stato quello di depenalizzare il reato (basti pensare alla questione dei protettori) perseguendo una politica liberista; in Svezia, al contrario si è deciso per un approccio fortemente femminista, potremmo dire. Sicuramente le conseguenze che queste due opposte strategie legislative hanno prodotto sono estremamente rilevanti nell’affrontare la spinosa questione della prostituzione. Da questo punto di vista, una legge sulla prostituzione, anche a livello comunale nel veronese, non può ignorare i dati empirici che ne raccontano il fenomeno. Allo stesso tempo, però, una buona legge deve necessariamente poggiare su un solido fondamento normativo al fine di riuscire a salvaguardare veramente i diversi valori in gioco.