La prudenza dice che occorrerà leggere la sentenza della Corte Costituzionale sull’abrogazione della legge elettorale (il cosiddetto Porcellum) per capire che cosa la Consulta abbia effettivamente deciso, con quali regole – il Cortellum? – si voterebbe se si dovesse votare prima che il Parlamento approvi una nuova legge e – forse soprattutto – quali margini di discrezionalità la sentenza lasci alle Camere nella scrittura di una norma nuova. La prudenza dice questo, ed è sempre bene ascoltare i suoi consigli. Riflettere però non è vietato.
1. Sul punto, la prima riflessione, di metodo, è che la Corte ha deciso perché ha voluto decidere. C’erano altre strade, prima fra tutte quella di indicare un limite temporale entro il quale, se il Parlamento non avesse agito, la pronuncia sarebbe divenuta operativa. È accaduto altre volte, poteva accadere anche questa.
Seconda riflessione, sempre di metodo. La Corte ha deciso entrando nel merito della questione, cioè in pratica scrivendo una legge elettorale nuova, che è poi una proporzionale con una piccola soglia di sbarramento (come sia risolta la questione delle preferenze, questo davvero bisognerà leggere la sentenza per capirlo). Può essere, e qui torniamo alle tecnicalità, che il modo in cui era formulato il quesito e il fatto che per definizione una legge elettorale deve esistere – non ci si può limitare ad abrogare quella in vigore, neanche la Corte poteva farlo – non consentisse, ritenendo l’attuale legge inaccettabile, altra soluzione che un “ritaglio” da cui ricavare una legge nuova (sul modello del primo referendum abrogativo in materia elettorale che aveva introdotto la preferenza unica, quello promosso da Mario Segni). La Corte però ha più volte respinto l’ammissibilità di referendum in materia elettorale quando l’abrogazione delle norme poteva avere come risultato l’incertezza sul contenuto della legge in vigore. Di fronte alla sentenza di oggi, si dovrebbe però concludere che ciò che non è consentito al corpo elettorale per via referendaria è consentito invece alla Consulta per via giurisdizionale: se per ipotesi teorica il Presidente della Repubblica dovesse sciogliere le Camere prima della pubblicazione della sentenza, lo farebbe senza sapere quale sia la legge elettorale applicabile. E se la Consulta a questo punto ritenesse di “dar tempo” al Parlamento ritardando la pubblicazione della sentenza, staremmo in questa bella situazione per un tempo anche più lungo delle qualche settimane inevitabili.
2. Terza riflessione, nel merito. Tocca alla Corte costituzionale scrivere le leggi elettorali? È vero che il Porcellum è una legge orrenda, è vero che la Corte aveva fatto capire di vederci problemi di costituzionalità, è vero che il Parlamento ha avuto tutto il tempo per modificarla e non lo ha fatto. Ma tocca alla Corte decidere come cambiare la legge? Decidere le regole secondo cui si vota? E farlo con un bel rewind ai tempi della Prima Repubblica, come ha giustamente osservato Matteo Renzi? Di nuovo, non sarebbe stato meglio dare al Parlamento tre mesi di tempo per provvedere?
Quarta riflessione, ancora nel merito. Pare che la Corte abbia cassato la norma che prevedeva il premio di maggioranza alla Camera per la parte in cui viene attribuito a chi ha preso anche solo un voto in più (abbia cassato, per così dire, la “sproporzionalià” del premio di maggioranza). E abbia cassato la norma che non prevede l’espressione di preferenze perché non consente all’elettore di scegliere l’eletto. Il problema però nel caso del Porcellum è provocato non tanto dalla lista bloccata quanto dal fatto che sono ammesse candidature in una molteplicità di collegi, accompagnate al fatto che i collegi sono grandi, e dunque le liste lunghe. Una lista bloccata di due o tre persone candidate in un collegio piccolo – e solo lì – non è molto diversa dal collegio uninominale. In altri termini, è il gioco successivo delle opzioni dei pluri-eletti a far sì che alla fine siano le segreterie di partito a decidere chi entra in Parlamento. Le preferenze a suo tempo furono abolite proprio perché rafforzavano non il rapporto diretto elettore/eletto bensì semplicemente le macchine clientelari potenti e organizzate. Tant’è che in Italia le preferenze si davano molto più al Sud che al Nord. E tant’è che le preferenze non esistono praticamente da nessuna parte del mondo e ci sono molti paesi – come la Germania per esempio – in cui si vota con liste bloccate e si riesce a eleggere una classe politica decente e decentemente rappresentativa.
3. Quinta riflessione. Negli ultimi anni la Corte ha dichiarato incostituzionale l’abolizione delle Province, il taglio agli “stipendi d’oro” dei dirigenti pubblici e quello alle “pensioni d’oro”. Avrà avuto i suoi buoni motivi. E d’altra parte è noto che la qualità della legislazione italiana è scadente, e va peggiorando. E tuttavia siamo sicuri che i motivi della decisione siano solo “tenico-giuridici”? O non c’è anche di mezzo una idea radicata, da un lato, della impermeabilità della legge a qualunque considerazione di bilancio, dall’altro della intangibilità dei così detti “diritti acquisiti” (che spesso sono semplicemente privilegi strappati da corporazioni forti)?
Riflessione finale. L’Italia ha bisogno di cambiare. Di cambiare le leggi, certamente, ma anche il modo con cui si arriva a scriverle, lo spirito con cui si scrivono. Che non può essere quello della lotta selvaggia ad accaparrarsi quote di risorse pubbliche sempre più ridotte (risorse, si tende a dimenticarlo, prodotte in realtà dal lavoro privato). L’Italia ha anche bisogno di comportamenti diversi. Di tutti, anche dei giudici della Consulta. Che potrebbero, per esempio, decidere di scegliere il loro presidente con un criterio diverso da quello dall’essere il giudice più vicino alla pensione, così da massimizzare la possibilità di tutti di finire la carriera come presidenti (anche questa è una cosa che succede solo nella Corte costituzionale italiana). E potrebbero – anzi, dovrebbero – arrivati a questo punto - pubblicare la sentenza sulla legge elettorale il prima possibile, anche se significasse lavorare nei giorni di Natale. E potrebbero infine, quando nella loro sovranità sono chiamati a decidere, farlo cercando di essere parte della soluzione del problema italiano. E non invece parte – a questo punto, non piccola – del problema stesso.
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