Una osservazione della realtà cinese che vada oltre gli stereotipi della propaganda di partito non avrà difficoltà a scorgere, fra i tanti segnali discordi, un paese in tensione tra un modello astratto di socialismo e il socialismo del “non importa se il gatto è bianco o nero, se acchiappa i topi è un bravo gatto”.

 

La Cina è oggi un paese il cui sistema economico comprende elementi industriali e post-industriali, in cui convivono pragmatismo e tradizione, economia di mercato e sistema hukou. Un regno, quello di Mezzo, che aspira ad una società xiaokang o se non middle class almeno moderatamente prospera: il suo cuore pulsante sono quei ceti medi a cui non è consentita una reale mobilità sociale, capace di generare una domanda interna adeguata a sostenere una crescita dell’economia.  

 

Sullo sfondo di tali contraddizioni il tema dei diritti di proprietà assume rilievo al contempo simbolico e pratico. Se si guarda al diritto di proprietà quale elemento fondante della struttura di un mercato si deduce come il grado di complessità della normativa cinese rifletta le forti contraddizioni di un paese in transizione.

Il principio dell’inviolabilità della proprietà privata è stato accolto e introdotto nella Costituzione della Repubblica Popolare cinese nel 2004. L’art. 11, emendato nel 2004, stabilisce che "il settore non-pubblico dell’economia ovvero il settore privato dell’economia, operante entro i limiti prescritti dalla legge, costituisce una componente importante dell’economia di mercato socialista". Corollario dell’art. 11 è l’art. 13, anch’esso contestualmente emendato, il quale sancisce che "la proprietà privata, legalmente acquisita, è inviolabile. Lo Stato, secondo quando stabilito dalla legge, protegge il diritto dei cittadini alla proprietà privata e all’eredità sulla stessa".

L’introduzione di tali norme ha risposto alle inquietudini degli investitori privati e dei cittadini dei ceti medi emergenti che chiedevano certezza del diritto riguardo gli istituti della proprietà privata al fine di limitare il potere discrezionale dello Stato sui beni legalmente acquisiti. 

Ciò detto, il diritto di proprietà in Cina non comporta la proprietà diretta di un terreno. Non esiste diritto di proprietà privata della terra, bensì esclusivamente il “diritto all’usufrutto della stessa”. In altre parole, l’utilizzatore ha il diritto di sfruttare la terra, e di raccoglierne i frutti, ma non ha il diritto di disporre senza restrizioni della stessa o di venderla, non essendone proprietario. È  bene ribadire che nonostante il principio di inviolabilità della proprietà privata sia stato introdotto, solo i beni pubblici sono rimasti sacri e inviolabili (art. 12) e che la legge prevede che «lo Stato può, nel comune interesse e nel rispetto della legge, espropriare e requisire la proprietà privata a suo uso dando compensazione per la proprietà privata espropriata o requisita».

Il diritto all’usufrutto della terra non implica, dunque, la proprietà della stessa. La più evidente tra le differenze è che il diritto di proprietà comunemente inteso comporta l’esercizio di tale diritto sulla terra, sotto la terra e – entro alcuni limiti – sopra la terra (Mo Zhang, 2008). Al contrario, il diritto di usufrutto non comporta né implica nessuno dei diritti sopra menzionati. Alla luce di quanto detto, si comprende come il proprietario di una casa in Cina figuri come il detentore del diritto di utilizzo della terra su cui è stata eretta l’abitazione, di cui, secondo l’art. 13 della Costituzione, è proprietario.

Punto di partenza di qualsivoglia riflessione sulla natura giuridica della terra, è l’articolo 10 della Costituzione cinese come emendata nel 2004:

I terreni delle città sono di proprietà statale.

I terreni delle campagne e dell'area suburbana delle città sono di proprietà collettiva, tranne quelli che per norma di legge sono di proprietà statale; sono di proprietà collettiva anche i terreni di costruzione delle case, ed i terreni concessi e le alture concesse.

Lo stato, in conformità alle esigenze dell'interesse comune, può requisire i terreni.

Qualsiasi organizzazione o qualsiasi individuo non deve occupare, comprare-vendere, o affittare i terreni, oppure trasferire illegalmente i terreni in altra forma.

Tutte le organizzazioni e tutti gli individui devono fare un uso razionale dei terreni.

Due sono dunque le tipologie di proprietà previste dalla Costituzione della Repubblica Popolare cinese: la proprietà statale su terreni urbani e quella collettiva su terreni rurali. Tuttavia la linea di demarcazione tra ciò che è urbano e ciò non lo è rimane elusiva e aperta alle interpretazioni.

La distinzione del detentore dell’esercizio del diritto di proprietà in base alla natura del terreno, insieme a differenti privilegi attribuiti dalla legge in base alla tipologia di proprietà, dà origine a una situazione di potenziale conflitto tra i diversi governi locali e di ambiguità giuridica per gli utilizzatori ultimi del diritto di usufrutto sulla terra, siano essi contadini oppure proprietari di un immobile.  

Seguendo la logica, il perimetro urbano si estenderà quando i confini spaziali si spingeranno oltre allo spazio urbano giuridicamente riconosciuto, generando così un incremento del tasso di urbanizzazione.

A normare il tutto, la peculiare disposizione cinese circa la definizione di città e cittadino urbano, dove il cittadino urbano è colui che risiede in una città (*) per almeno sei mesi (nonostante i diritti derivanti dallo status di urbano dipendano dal proprio hukou) e i confini della città sono tracciati fin dove si spingono i servizi pubblici erogati, erogazione che segna una connessione e un collegamento tra le aree limitrofe e il centro urbano propriamente detto. La definizione di terreno urbano è dunque riflesso di tale esercizio.

Sembra si possa affermare come un incremento del tasso di urbanizzazione ed estensione del perimetro urbano passi obbligatoriamente attraverso un trasferimento di proprietà, da collettiva a statale, e del diritto di esercizio della proprietà da rurale a urbana. Tuttavia, com’è intuibile, tale trasferimento porta con sè delle conseguenze non ascrivibili esclusivamente al dominio giuridico, ma anche a quello economico, politico e amministrativo.

Oltre ai rimandi alla normativa cinese, tre ulteriori elementi s’aggiungono alla riflessione: la Land Administration Law, l’operato del Ministry of Land and Resources e il Land-lease Market.

La prima stabilisce che lo Stato, dunque chi lo rappresenta (o sostiene di rappresentarlo, come i governi urbani sopra indicati), può requisire qualsiasi tipo di terra nel pubblico interesse. Come spesso succede, l’assenza di una definizione giuridica puntuale di pubblico interesse non ha  costituito un limite, bensì un pretesto per i governi locali per esercitare continue espropriazioni.  

Il secondo, introdotto nel 1986 con il nome State Land Management Bureau (poi assorbito nel 1998 insieme ad altri enti ministeriali, nel Ministry of Land and Resources), si articola sul territorio in uffici locali, riconosciuti quali esclusivi rappresentanti dello Stato cinese  per quanto riguarda la gestione della terra. Il Ministero stabilisce annualmente le quote per la conversione dei terreni rurali in urbani per ciascuna provincia, delegandone l’attuazione agli uffici ministeriali locali. Nella piramide amministrativa cinese in cui il potere contrattuale dipende dal livello di classificazione amministrativo (dalla municipalità a scendere), ciascun governo urbano negozia direttamente con i propri interlocutori governativi al fine di ottenere maggiori quote di conversione dei terreni agricoli.  

Il terzo elemento, che chiarirà la rilevanza delle negoziazioni tra gli enti, è il mercato della locazione dei terreni, introdotto nel 1988.  Mantenuta la distinzione tra il diritto di proprietà e d’usufrutto, dove il secondo comporta un prezzo e un periodo di affitto, la locazione riguarda esclusivamente i terreni urbani, di proprietà statale. Inoltre, i redditi accumulati dall’affitto sono trattenuti per circa il 90% dai governi locali, rappresentando un’importante fonte di entrate.

Le collettività non sono autorizzate a concedere in locazione i terreni rurali a investitori esterni alla comunità (dal 2008 gli agricoltori possono concedere in uso il proprio appezzamento di terra ad altri agricoltori o aziende agricole) e per fini commerciali. La terra rurale può essere affittata solo dopo che la proprietà della stessa diviene statale e la sua natura da rurale diviene urbana. Tuttavia, la conversione della terra richiede tempi lunghi e complicate procedure di approvazione.

 

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Grafico N° 1: Il mercato della terra. Su Fubing, Land Market in Chinas Modernization: Regulations, Challenges and Responses in «EAI Background Brief No. 418», December 2008.

S’intuisce - argomenta You-tien Hsing in The Great Urban Transformation-Politics of Land and Property in China (2010) - una predominanza urbana nella governance territoriale e nel controllo sulla terra. You-tien Hsing rileva come in un’epoca in cui il desiderio di modernità urbana, piuttosto che industriale, cattura l’immaginario politico dei leader, i governi locali lottano per il controllo e l’occupazione di un luogo. Basti pensare che i prezzi delle proprietà sono considerati misure dello sviluppo urbano; i progetti urbani di alto profilo e valore sono simboli della modernità e riflettono il prestigio e l’achievement politico dei governi locali.

In considerazione di ciò, non deve stupire se i governi esproprino terreni nel pubblico interesse per consolidare e legittimare la propria autorità territoriale. In tali circostanze, l’urbanizzazione si materializza quale forza spaziale, che agisce e modifica lo spazio, al centro dell’esercizio di sovranità dei governi locali.

(*) Le tipologie amministrative di città in Cina sono quattro: le municipalità (Beijing, Tianjin, Shanghai e Chongqing), che rispondono direttamente al governo e corrispondono al più alto livello della scala gerarchica urbana; le PLC o Prefecture-level City; le CLC o County Level e le administrative town.

 

Immagine: Yang Yongliang