I problemi veri dell’Italia ce li ha impietosamente ricordati il 6 marzo la Commissione europea, quando ha collocato il paese della grande bellezza fra i sorvegliati speciali del vecchio continente, a causa della grande bruttezza della sua crescita (inesistente) e dunque dei suoi conti pubblici (preoccupanti, per usare un eufemismo). Il dibattito pubblico di questi giorni si svolge tuttavia largamente intorno a problemi finti, o sollevati in maniera strumentale. Proviamo a fare ordine.
1. L’opinione pubblica
Quello che si vede. Cito dai commenti a sondaggi recenti: il Pd cala, M5S e Forza Italia crescono, Centrosinistra avanti di 5 punti, Centrodestra avanti, Centrosinistra in testa. E via così. A ogni rilevazione si proclama un certissimo vincitore e degli altrettanto sicuri perdenti.
Quello che c’è. I sondaggi dicono che le tre forze maggiori – Partito Democratico, Forza Italia e Movimento 5 Stelle – restano saldamente tali, con una tendenza semmai a “drenare” il consenso dei partiti minori, sia all’interno delle possibili coalizioni di centrodestra e centrosinistra, sia rispetto ai partitini di centro e ai non coalizzati. In sintesi il Pd è intorno al 30 per cento, FI e M5S sono sul 22-23 per cento, le coalizioni di centrodestra e centrosinistra sono entrambe sul 35 per cento, vicinissime ma con una lieve e persistente prevalenza del centrodestra. Attenzione però: astenuti e indecisi viaggiano a seconda delle rilevazioni fra il 40 e il 50 per cento, il che significa che ad oggi sulla base dei sondaggi l’esito di eventuali elezioni politiche è del tutto imprevedibile.
2. Le elezioni
Quello che si vede. Nei commenti sui sondaggi (vedi sopra) sembrerebbe che si voti per le elezioni politiche dopodomani. In verità la data delle elezioni è ignota (Matteo Renzi nel discorso della fiducia al Senato ha parlato addirittura di governo di legislatura) come ignota è la legge (vedi sotto) con cui si voterà.
Quello che c’è. Ci sono le elezioni europee, che si terranno il 25 maggio. Queste vedono tradizionalmente un’affluenza molto inferiore rispetto alle politiche, e vengono altrettanto tradizionalmente “declassate” a un mega sondaggio in cui per lo più gli elettori sfogano i propri malumori verso il governo in carica. Quest’anno però le cose potrebbero andare diversamente, in Europa e in Italia. In Europa, la crescita dei partiti euro-scettici è previsione diffusa e pertanto scontata, nel senso tecnico-finanziario del termine: l’impatto futuro è già largamente attualizzato, ossia incorporato nelle scelte dei policy-makers. C’è però una questione di misura. Un risultato che facesse davvero scricchiolare l’asse socialisti-popolari su cui si regge politicamente l’Unione Europea avrebbe senza dubbio ripercussioni anche sul piano dei rapporti intergovernativi, quello dove si prendono le decisioni vere; ossia si ripercuoterebbe sui meccanismi stessi di funzionamento dell’Unione, con conseguenze difficili da prevedere. In Italia il ragionamento non è molto diverso: dato per scontato che rispetto alle ipotetiche elezioni politiche di cui sopra il Pd e magari anche Forza Italia prenderebbero qualche punto in meno e il M5S qualche punto in più, resta da vedere quanti realmente. Come diceva Totò, è la somma che fa il totale. E il totale potrebbe essere una sorpresa, non semplice – o forse impossibile – da digerire come se fosse l’ennesimo sondaggio sfavorevole.
3. La legge elettorale
Quello che si vede. A seconda delle occasioni, uno può venire a sapere che attualmente in Italia la legge elettorale non c’è. O che ce n’è una iper-maggioritaria, peggio del Porcellum. O che c’è la legge per la Camera ma non quella per il Senato. Apprende anche che in questo momento risulterebbe “impossibile votare”.
Quello che c’è. Una legge elettorale esiste, ed è quella uscita dalla sentenza della Consulta. Un sistema proporzionale con una preferenza, e soglia di sbarramento nazionale del 4 per cento alla Camera e regionale dell’8 per cento al Senato. Per essere interamente applicabile avrebbe forse bisogno di una leggina o magari basterebbe un regolamento, ma indubitalmente c’è e consente di sciogliere le Camere e andare alle elezioni. Che cosa capiterebbe dopo è da vedersi. Dopo il voto sarebbero quasi certe larghe intese o comunque una coalizione, ma quasi certa sarebbe anche la sopravvenuta irrilevanza dei micro partiti, con i quali i grandi non avrebbero più interesse alcuno a coalizzarsi prima del voto. È una soluzione che può non dispiacere particolarmente né a Renzi né a Berlusconi. Dunque con o senza legge nuova le elezioni anticipate sono possibili; diverrebbero addirittura probabili se la legge nuova (vedi sotto) si impantanasse nell’andirivieni fra Camera e Senato.
4. Le riforme istituzionali
Quello che si vede. Di tutto e di più, uno sfracello. Legge elettorale, abolizione delle province con legge ordinaria via trasformazione in enti di secondo livello e creazione delle città metropolitane, abolizione del Senato sostituito da una Camera rappresentativa delle autonomie locali e che non dà la fiducia al governo, revisione del Titolo V della Costituzione, ossia del riparto delle competenze fra Stato e Regioni; infine, riforma della burocrazia (e della giustizia civile). Uno sfracello appunto, sicché si sprecano le esternazioni in pro del mantenimento delle province, contro il depotenziamento delle Regioni, a sostegno della indispensabilità della seconda lettura delle norme di legge (queste fra le più affascinanti, considerato che invocano come argomento forte la capacità migliorativa che il Senato avrebbe rispetto ai testi di legge prodotti dalla Camera: e infatti la legislazione italiana soprattutto recente è una meraviglia di chiarezza e coerenza, pensate se non la migliorassero più...).
Quello che c’è. È presto detto: la legge elettorale è sulla via di impantanarsi alla Camera; il cosiddetto ddl Delrio su province e aree metropolitane è bello che impantanato – pardon, in via di miglioramento – al Senato (a proposito, se il Parlamento non si dà una mossa il 25 di maggio torneremo felicemente a votare per le Province). Quanto al Senato e al Titolo V, per ora non esistono neppure testi di massima (trattandosi di leggi costituzionali, queste poi richiederebbero addirittura la doppia lettura di entrambe le Camere a distanza di tre mesi e forse anche il referendum confermativo). La Costituzione più bella del mondo, per ora, può dormire sonni pacifici. E così i burocrati, che infatti stanno zitti e tranquillini.
5. Le riforme economiche
Quello che si vede. Qui di cose se ne vedono due, e che siano in contraddizione fra loro poco importa. Si vedono infatti le “ricette liberiste” che Renzi si preparerebbe ad applicare in materia di mercato del lavoro e privatizzazioni, suscitando lo sdegno di chi considera che i problemi italiani attuali siano dovuti agli eccessi liberisti del passato; nonché la sventatezza di Renzi medesimo che preso da furore keynesiano sarebbe pronto a “battere i pugni sul tavolo” a Bruxelles sforando il patto di stabilità, attirandosi così il monito a “non buttare a mare i sacrifici degli italiani”.
Quello che c’è. Per ora solo il pasticcio della Tasi, che non è né liberista né keynesiana, solo un mostriciattolo perverso. Poi una serie di buone intenzioni dichiarate, a cui dovrebbero seguire nel Consiglio dei ministri del 12 marzo prossimo i primi abbozzi di fatti, soggetti tuttavia per diventare tali ai miglioramenti di cui al punto precedente.
6. Teniamo?
Quello che si vede. Il presidente del Consiglio più giovane della storia repubblicana; viceversa, il classico intrigo di palazzo democristiano. Il governo della svolta, quella vera; viceversa, il tipico governo italiano che dura meno di un anno ed è sostituito da un altro governo con la stessa maggioranza ma guidato da un leader diverso (ai tempi della Dc più modestamente si chiamavano capi) appartenente allo stesso partito. Il rottamatore; viceversa, il restauratore (in primo luogo, si usa dire, della “agibilità politica” di Berlusconi).
Quello che c’è. Un presidente del Consiglio giovane, dotato di abilità politica, di determinazione e secondo ogni apparenza anche di buonissimi propositi, in carica da poco più di due settimane e su cui si concentrano aspettative straordinarie. Solo però, troppo solo. In primo luogo perché non è accompagnato da un’investitura popolare; poi, perché ha contro i nove decimi della classe politica, a cominciare dal suo stesso partito; ancora, perché alle riforme si oppongono le corporazioni italiane tutte, pubbliche e private; solo infine, nel significato letterale del termine, perché secondo ogni apparenza non ha intorno a sé una squadra che lavori con lui e per lui – e non ce l’ha, fra le altre cose, perché non la vuole. Di fatto, ha in mano due carte soltanto: la minaccia di elezioni anticipate, che resta attuale finché la nuova legge elettorale per la Camera non viene approvata; e la capacità di mobilitare un consenso vero intorno alle riforme, capace di tradursi in un successo alle elezioni europee. Auguriamoci che basti.
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