Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) lancia l'allarme perché vede il rischio di una bassa crescita (una variazione del PIL mondiale rivista ancora al ribasso) ed un debito elevato (sia pubblico sia privato).
Un debito crescente a fronte di un reddito che cresce meno è, infatti, una combinazione pericolosa (diventa sempre più difficile onorare il debito se il reddito cresce poco). Questa combinazione è poi particolarmente accentuata nei Paesi emergenti. Allo stesso tempo il FMI invita – per rilanciare l'economia - a varare una politica fiscale più lasca. Insomma, si avrebbe la spesa pubblica in deficit - nel caso europeo per la spesa in infrastrutture – che potrebbe – agendo sul lato della “domanda”, spingere le economie a risalire – e quindi salvare la partita del debito crescente a fronte di una crescita asfittica. Allo stesso tempo, il FMI invita i Paesi ad andare avanti con le riforme dette dell'”offerta” - la liberalizzazione dei mercati dei prodotti e del lavoro, nonché a incentivare la ricerca (1).
Un tempo l'invito del FMI era quello di portare la spesa pubblica sotto controllo non troppo in fretta e di liberalizzare i mercati, mentre per lubrificare gli ingranaggi c'era la politica monetaria. Una politica non troppo dissimile da quella detta del “punto di vista di Berlino” (controllo della spesa pubblica, politica monetaria non troppo espansiva, e riforme sul lato dell'”offerta”). Ora (nella nuova visione del FMI di sapore keynesiano) avremmo sia il pedale dell'acceleratore (la spesa pubblica in deficit), sia il lubrificante (tassi e rendimenti ai minimi), nonché la liberalizzazione (quest'ultimo punto non è propriamente keynesiano, perché questo si concentra nel breve termine, assumendo le tecnologie invariate). La novità è perciò il ritorno nelle proposte del FMI della spesa pubblica in deficit non più come invito ad una maggiore flessibilità, ma come una scelta più decisa (2).
Il passaggi che portano alla nuova ricetta: a) se gli imprenditori sono scettici sugli andamenti futuri, non investono e non assumono; b) se le famiglie sono indebitate non consumano abbastanza mentre rimborsano il debito; c) il costo del denaro (tassi e rendimenti) – ormai troppo basso (ossia che non può diventare ancora più basso) - non genera più una spinta propulsiva (quella che poteva generare, alla fine, l'ha generata); d) ergo, intervenga la spesa pubblica, che ha orizzonti lunghissimi; e) la spesa pubblica in deficit è finanziata emettendo debito (e non moneta, come ovvio), ma quest'ultimo ha un costo molto contenuto (riecco il punto c).
Si ha una simulazione del FMI (3). Che cosa accadrebbe lasciando le cose come stanno, un inattivismo che possiamo etichettare come “secular stagnation” (4)? Pochi investimenti, molto risparmio, disoccupazione elevata, eccetera. Il PIL sarebbe dopo qualche anno inferiore e il debito pubblico maggiore. Con un'espansione fiscale maggiore del 2% del PIL rispetto a quella che comunque si avrebbe, con una politica monetaria accomodante, ed, infine, con il varo delle politiche dell'offerta, si avrebbe un andamento decisamente migliore, ed un debito pubblico minore rispetto allo scenario della “stagnazione secolare”. Questa simulazione del FMI è un modo indiretto per affermare che, “se non ci si muove”, si rischia di finire nella spirale della stagnazione secolare. Fin qui l'economia detta “reale”. Passando a quella finanziaria emerge negli ultimi tempi l'impatto sistemico crescente dei paesi in via di sviluppo (5).
Insomma, il mondo di oggi è complesso, incerto, e variabile. A lasciarlo andare senza agire si corre un rischio elevato, da qui le nuove proposte del FMI. Naturalmente, il FMI non è “la” fonte della verità, perché la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) non la pensa allo stesso modo - non sul fronte dei rischi, ma su quello delle politiche per uscirne (2),(6): la politica monetaria e fiscale non va perseguita lasca, e la partita si gioca sul lato dell'offerta. Forse la BRI ha cambiato idea, ma lo sapremo a fine giugno, quando uscirà il Rapporto Annuale.
Tornando all'Asset Allocation, e nell'attesa di immaginare l'effetto di una politica economica nel solco della proposta del FMI, non abbiamo delle grandi novità, per cui sintetizzimo le cose dette molte volte.
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Nel campo delle obbligazioni emesse dai Tesori abbiamo dei rendimenti nominali che sono negativi o nulli nella parte breve della curva e quasi nulli o modestissimi nella parte lunga. Non ha quindi senso allungare la durata i portafogli, perché a fronte di un guadagno davvero modesto si corre un rischio, che potrebbe emergere anche per piccoli movimenti al rialzo dei rendimenti. Questo andamento delle obbligazioni dei Tesori ha una elevata probabilità di continuare nell'Euro-zona.
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Le azioni sono attraenti principalmente perché le obbligazioni rendono poco o niente. Se molti escono dalle obbligazioni e comperano azioni, ecco che i prezzi delle seconde salgono. Inoltre, il rendimento (dividendo su prezzo) delle azioni è molto più alto del rendimento delle obbligazioni (cedola su prezzo) in Europa, mentre non è molto diverso negli Stati Uniti. Il rendimento relativo (dividendo su prezzo) delle azioni dovrebbe agire perciò da “paracadute” per le azioni, anche se l'economia rallentasse ed i profitti flettessero - i dividendi sono, infatti, una quota dei profitti e potrebbero restare eguali.
1 - http://www.imf.org/external/pp/longres.aspx?id=5031
3 – http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2016/01/pdf/text.pdf, pagina 31
4 – http://www.imf.org/External/Pubs/FT/GFSR/2016/01/pdf/text.pdf, pagina 57
5- http://www.centroeinaudi.it/cerca.html?gsquery=stagnazione+secolare
6 - http://www.bis.org/publ/arpdf/ar2015e.htm?m=5%7C24
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