Non si ha evidenza di una tendenza al ribasso dei prezzi delle obbligazioni, ossia di un rialzo dei rendimenti, nonostante il loro livello sia anormalmente (secondo le medie storiche) basso. Nella prima metà del 2018 si è avuta nei mercati delle azioni una combinazione al rialzo dei prezzi per gli utili in ripresa scontati con dei rendimenti bassi. La combinazione al ribasso si è avuta nella seconda metà dello scorso anno con gli utili in frenata scontati con l'attesa di rendimenti in ascesa. Nel 2019 e fino ad un mese fa abbiamo registrato un rialzo dei mercati delle azioni trainato dall'attesa di rendimenti che resteranno bassi a lungo con utili più o meno invariati. Poi, invece, i mercati delle azioni sono flessi, così come è sceso il rendimento delle obbligazioni. Nell'ultimo mese i mercati delle azioni delle due sponde dell'Atlantico sono flessi ciascuno del 5 per cento. Quando i mercati delle azioni flettono in presenza di rendimenti in partenza bassi delle obbligazioni e pure in ulteriore discesa si ha un forte segnale di “avversione al rischio”.
Da qui in poi quale combinazione prevarrà? Ad oggi manca una chiara tendenza dell'economia finanziaria (§!) cui si aggiungono i nodi ancora da sciogliere di quella reale (§2). A questa mancanza di chiarezza in campo economico vanno aggiunti i nodi in campo politico. Dei nodi sia interni ai Paesi – come il Populismo (§3) in generale e,in particoare, nel Bel Paese, (§3-bis) – sia internazionali – come la riemersione delle Autocrazie (§4) e degli attriti importanti nel mondo della corsa alla globaizzazione (§5). Da tutto ciò segue l'invito di questa Asset Allocation, peraltro eguale a quello del mese scorso: non andare veloci nella decisione intorno alla formazione dei portafogli.
1 – L'economia finanziaria
Perché i tassi (a breve) e i rendimenti (a lungo termine) sono così bassi? Si hanno due scuole di pensiero. La prima sostiene che i tassi e i rendimenti non torneranno al livello storico per effetto della così detta “stagnazione secolare” - i.e. una combinazione di crescita modesta e di demografia dove prevalgono gli anziani. La seconda sostiene che le banche centrali hanno alzato poco i tassi quando c'era ripresa e li hanno abbassati molto quando non c'era. Questa asimmetria altera i comportamenti dei mercati. Una volta che si sia accumulato molto debito – sia privato sia pubblico - con dei tassi e dei rendimenti compressi, diventa difficile per le banche centrali alzare i tassi, perché metterebbero in crisi il sistema. Gli operatori, come conseguenza, scommettono che questi rialzi, se ci saranno, saranno contenuti.
Se il mercato del reddito fisso ha ragione – i.e. la sua previsione di un futuro di modesta crescita se non di stagnazione, è corretta - quale sarà mai la combinazione di politica economica – i.e. la combinazione di politiche monetarie e fiscali? Con i tassi a questi livelli è difficile che un loro ulteriore ribasso possa riesumare la crescita in caso di crisi. Segue che non resta per governare gli andamenti dei mercati che la politica fiscale, che, frenata negli Stati Uniti dopo che l'economia si era ripresa e congelata in Europa per tutto il periodo di crisi, potrebbe riapparire come “la” soluzione, se non ottimale quanto meno come l'unica praticabile. Con tutti i problemi che questo “ritorno” solleverebbe.
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2 – L'economia reale
Il passaggio dall'economia detta “fordista” – i.e. le grandi concentrazioni nelle fabbriche frutto della seconda rivoluzione industriale con una distribuzione abbastanza egualitaria del reddito, a quella detta della “conoscenza” – i.e. non si hanno le grandi concentrazione nelle fabbriche ma negli agglomerati urbani con una distribuzione poco egualitaria del reddito, sembra essere il nodo per comprendere quel che sta accadendo. Nel caso dell'economia della “conoscenza” si ha uno scivolamento verso il basso – i.e. minori opportunità di ascesa sociale, e un tenore di vita inferiore della classe media con minori competenze.
Questa decadenza della classe media “debole” può essere frenata mantenendo intatte le caratteristiche dinamiche - la famigerata “distruzione creatrice” - del capitalismo? E come? Gli elettori “decisivi” votano per i partiti e per le politiche che promuovono i settori avanzati, i quali, a loro volta, possono finanziare – attraverso il sistema fiscale - chi, appartenendo ai settori arretrati, si trova in condizioni di disagio. Dal che si arguisce che l'essenza della democrazia dei Paesi economicamente avanzati non è la redistribuzione o l'uguaglianza, ma il progresso della classe media forte, che redistribuisce per ridurre la diseguaglianza.
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3 - Il Populismo in generale
Le polemiche in corso nascondono una contrapposizione profonda, quella fra il popolo dei cittadini e il popolo dei creditori – Staatvolk e Marktvolk, in linguaggio sofisticato. Il popolo dei cittadini è nazionale, quello dei creditori è internazionale; i creditori “votano” ogni giorno attraverso i mercati definendo il rischio del debito pubblico, i cittadini votano ogni cinque anni definendo le forze al governo. I primi sono interessati ai servizi dello Stato Sociale e non danno peso al meccanismo del loro finanziamento, i secondi sono interessati alla credibilità degli impegni finanziari dello stato e non danno peso alla legittimità politica necessaria per perseguire i propri intendimenti.
I due mondi sono reciprocamente sordi. Per il primo il secondo è composto da cosmopoliti amici dei migranti, per il secondo il primo è affetto da tribalismo. Questa contrapposizione spiega molte delle polemiche in corso. Chi afferma “rispondo agli italiani e non ai mercati”, oppure “la Banca d'Italia si presenti alle elezioni” pensa allo Staatvolk, chi teme che il rialzo del costo del debito possa avere un impatto negativo sulla tenuta dei conti pubblici, e quindi sulla propria ricchezza, pensa allo Marktvolk.
Tempo fa non esisteva un astio profondo come quello di oggi verso le classi dirigenti, che, secondo alcuni, si giustifica per l'uso fatto a loro esclusivo interesse della politica economica. Secondo questo punto di vista, la politica monetaria ha spinto al rialzo le attività finanziarie che, in massima parte, sono detenute dai benestanti, mentre le politiche fiscali austere hanno congelato i servizi offerti alla popolazione meno abbiente. Non solo la politica economica ha contribuito all'astio, ma anche la sempre maggior importanza delle “rendite”. Queste ultime sono da intendere come quei redditi che non traggono origine dal successo imprenditoriale - in questo caso sarebbero, infatti, “profitti” - ma dalla protezione politica, come la rendita fondiaria.
Insomma, la politica economica – volta a dotare di un paracadute i benestanti, ossia volta a non far cadere il prezzo delle azioni e delle obbligazioni - e la struttura dell'economia - divenuta in misura crescente redditiera - hanno contribuito a redistribuire a sfavore dei meno abbienti il reddito, la ricchezza, ed anche le opportunità. Insomma, si ha quel che raccontano i populisti, e quel che sembra all'origine – il senso di “ingiustizia” insieme al “ressentiment” - del loro successo.
Per approfondire e per il link:
https://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4865-la-ribellione-delle-masse-virtuali.html
3 – bis - Il Populismo nel Bel Paese
Da tempo evochiamo la possibilità di un “risucchio bipolare”. Non si può, infatti, escludere che dopo le elezioni europee si possa andare – prima della manovra finanziaria? - verso le elezioni politiche anticipate. Elezioni che sarebbero chieste dalla Lega come suggello della propria ascesa. Né si può escludere che l'esito elettorale possa alimentare una spinta verso una doppia aggregazione – verso un nuovo “bipolarismo”: un Centro-destra a trazione Lega ed un Centro-sinistra a tradizione M5S. Ossia un neo-bipolarismo che vede i protagonisti del bi-polarismo della Seconda Repubblica – il PD e FI - “risucchiati” dalle forze populiste ormai emerse ai loro lati. Laddove, nel caso del nuovo Centro-destra, potremmo avere in campo economico una maggiore attenzione alle necessità produttive a scapito di quelle distributive, entro una cornice in qualche misura “sovranista”. Laddove, nel caso del nuovo Centro-sinistra, il PD andrebbe alla ricerca della “costola di sinistra” presente in un M5S, ormai indebolito, per trovare un accordo che lo rimetta in gioco. Difficile che in questo caso possa emergere in campo economico una maggior attenzione alle necessità produttive a scapito di quelle distributive.
Le elezioni europee non alterano la composizione del parlamento italiano, laddove i M5S sono il doppio dei Leghisti, proprio il contrario di quanto emerso domenica. Intanto non si hanno i numeri del risucchio “a sinistra”: il PD e il M5S arrivano al 40% dei voti. Intanto si hanno i numeri del risucchio “a destra”: la Lega, Fratelli d'Italia, e Forza Italia arrivano al 50%. Tenendo conto del “premio di maggioranza” il risucchio a destra potrebbe dar vita ad un governo. Alla Lega potrebbe tornare utile non andare subito alle elezioni per evitare di spendere troppo tempo nella formazione di una alleanza di destra e quindi preferire premere sul governo in carica per ottenere – fra le altre cose - la flat tax e le infrastrutture. In questo caso, il M5S, se si piegasse, pur di tenere in vita il governo, s'affloscerebbe in quanto partito dalle ambizioni “decrescitiste-con-sensibilità-pauperiste”.
Esiste una via di uscita? Assumiamo che 1) si abbiano degli scontri interni al Movimento Cinque Stelle, che decide di “non piegarsi”, e 2) Salvini che vuole sì passare “all’incasso” del risultato elettorale europeo anche nel parlamento italiano, ma teme una crisi finanziaria. Ecco allora che potrebbe nascere un governo “ponte”. Sei mesi per fare una Legge Finanziaria austera che sarebbe “figlia di nessuno”, in quanto partorita da un “governo tecnico”, e che eviterebbe una crisi grave, di cui si possono intravvedere i contorni, per, poi subito dopo, ossia nei primi mesi del 2020, andare a votare con lo slogan di sapore trumpiano volto al riottenimento della sovranità perduta: Italy First.
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4 – Autocrazie e scontro fra Potenze
I capitalismi autoritari del passato – come la Germania e il Giappone - sono stati un'alternativa all'Ordine liberale fino al 1945, ma da allora – causa il loro annichilimento militare - non lo sono più. Si noti che questi due Paesi non erano indietro nella produzione manifatturiera e nello sviluppo tecnologico rispetto a quelli liberali. Il loro limite era la media dimensione, da intendere come spazio e popolazione. La democrazia – meglio, la democrazia incapsulata nell'Ordine liberale, che ruota intorno all'Impero "benevolo" degli Stati Uniti - è fiorita nel Secondo dopoguerra in un numero sempre maggiore di Paesi.
Che cosa accadrebbe se la dinamica corrente – i Paesi autocratici che si affermano in campo politico e crescono in quello economico - si rivelasse duratura, o abbastanza duratura? I Paesi illiberali avrebbero un peso sempre maggiore nell'economia mondiale, e quelli liberali – ricchi in termini assoluti, ma meno ricchi di prima in rapporto ai Paesi emergenti - tornerebbero dove erano, ossia intorno alle due rive del Nord Atlantico, in Giappone, e nell'emisfero australe, insomma dove erano fino alla fine degli anni Ottanta.
In altre parole, avremmo un ciclo, partito con la vittoria nelle due guerre mondiali ("calde"), allargatosi con la vittoria nella terza ("fredda"), che è tornato al punto geografico e politico di prima, proprio per l'emergere degli sconfitti (come giganti comunisti) e dei loro imitatori (le autocrazie) della terza guerra. I vincitori e i vinti delle guerre "calde", invece, continuano a stare dalla stessa parte.
Per chi desiderasse alimentare il proprio scetticismo nei confronti del punto di vista dominante che vede nello scontro fra le grandi Potenze (Usa, Cina, Russia), con l'Unione Europea l'oggetto del contendere, proponiamo questo ragionamento: https://www.foreignaffairs.com/articles/2019-05-29/not-great-power-competition
Da dove sorge l'idea della conclusione bellicosa dello scontro fra grandi Potenze? In passato le competizioni di grande potenza avevano creato una struttura turbolenta e multipolare della politica mondiale in cui le potenze maggiori si affrontavano come un gruppo di potenziali nemici mescolando costantemente le loro alleanze. Il caso classico è l'Europa in diversi periodi fino al secolo scorso: Francia, Gran Bretagna, gli imperi asburgico e poi austro-ungarico, la Prussia (più tardi la Germania), la Spagna, la Russia e altri preoccupati, armati contro e allineati con e contro l'un l'altro. Durante i periodi di grande competizione, gli stati si accordavano per regolare la propria condotta, ma i meccanismi che ne scaturivano restavano al momento della crisi deboli. Nella competizione classica di grande potenza le rivalità si manifestavano in forme militari. Anche le tensioni economiche, sociali e culturali davano forma alla lotta, ma i tradizionali scontri di grande potenza sono stati definiti dalla guerra. Ognuno di questi tre elementi - un sistema multipolare, una debolezza dei vincoli basati sulle regole sul comportamento, e le forme di rivalità politico-militari - è presente durante i periodi di grande competizione. Eppure nessuno di loro descrive la politica mondiale oggi. Gli Stati Uniti sono, infatti, sotto ogni profilo un'“ultra-potenza” e non “una delle potenze” come accadeva in passato fra quelle europee.
5 - Globalizzazione
La globalizzazione sta frenando per l'agire di due forze, una legata alla meccanica economica, l'altra alla reazione dei settori colpiti. La globalizzazione ha una prima “barriera assorbente” che sorge dalla meccanica stessa degli scambi. Man mano che gli scambi di servizi diventano più numerosi la crescita della globalizzazione rallenta. Posso, infatti, comprare un'auto prodotta in Asia, ma non prendo l'aereo per andare sempre in Asia a mangiare la pizza. Una seconda “barriera assorbente” sorge dalla meccanica stessa degli scambi da intendere come rivolta di chi perde o teme di perdere il proprio lavoro.
Il primo vantaggio del libero commercio è la specializzazione, Il secondo vantaggio del libero commercio sono i mercati allargati e di conseguenza le economie che crescono di dimensione. Se gli occupati delle imprese e dei settori eliminati dalla concorrenza non trovano una nuova occupazione in un tempo ragionevole, possono trovarsi in grave difficoltà. E' il caso degli occupati poco specializzati dei settori a bassa tecnologia, quando arrivano le merci da un Paese che ha un vantaggio competitivo sul versante del costo del lavoro. Nei modelli economici dagli anni Quaranta fino agli anni Ottanta si assumeva che i dismessi dei settori meno competitivi sarebbero passati ai settori più competitivi in poco tempo e senza particolari frizioni. Quest'assunzione aveva funzionato fra i Paesi sviluppati aperti al libero commercio per i primi decenni del Secondo dopoguerra. Poi è arrivata l'Asia. I vantaggi che i consumatori ottengono grazie ai beni che costano meno, e i vantaggi che le imprese dinamiche ottengono dalla messa in mobilità dei lavoratori delle imprese meno dinamiche, non compensano gli svantaggi che sorgono per le imprese e per gli occupati che subiscono la concorrenza asiatica.
Una delle ragioni è la diffusione delle imprese. Questa non è omogenea su tutto il territorio, ma è concentrata in alcune aree geografiche. Se un'area è molto specializzata e va in crisi, ecco che nella stessa area è difficile trovare lavoro presso le imprese che svolgono un lavoro diverso, perché non ve ne sono e/o ve ne sono ma non a sufficienza. Accade poi che il voto “di protesta contro le élite” si concentri in queste aree.
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