La nota riprende - rielaborandoli - gli altri lavori sull'argomento, e termina con una parte nuova: “Le forze frenanti”.
Prologo
Agli inizi degli anni Novanta sembrava che la "Storia fosse finita". Con la vittoria dell'Ordine liberale sia all'interno degli stati – più Mercato e meno Stato - sia nei rapporti fra stati – la caduta del Muro di Berlino e le riforme cinesi che facevano venir meno "la sfida comunista" - poco sembrava che potesse ormai cambiare, e dunque che la Storia - letta come mutamenti imprevedibili - fosse ormai finita. Anni dopo, fra le sfide esterne – il ritorno dei giganti ex-comunisti e delle altre autocrazie - ed interne – il Populismo - la Storia sembra essersi risvegliata, ma non entro l'Ordine liberale. Intanto che ritorna la storia, la globalizzazione frena. Questo accade per l'agire di due forze, una legata alla meccanica economica, l'altra alla reazione dei settori colpiti. Queste forze spingono gli scambi e gli investimenti a concentrarsi nelle aree economiche, piuttosto che fra le aree economiche.
Le autocrazie oggi
Chávez, Putin, ed Erdogan hanno smantellato la democrazia con un passo lento. Sono arrivati al governo con le elezioni. Poi hanno usato lo scontento diffuso per ridurre i vincoli al proprio potere. Lo schema è stato quello di imporre i propri uomini nel sistema giudiziario, nella sicurezza, intanto che si neutralizzava il sistema mediatico. Così non si è avuto un attacco visibile alla democrazia, ma un attacco occulto che ha portato all'autocrazia. Va notato che all'autocrazia sono arrivati con un lavorio entro le istituzioni. Va anche notato che al potere non è andato un partito – come nel modello comunista - o un corpo militare – come con il golpismo classico - ma una personalità - a un “uomo forte”.
Le caratteristiche di questi sistemi autoritari ruotanti intorno ad un "uomo forte" sono: 1) un "cerchio magico" di fedeli. 2) la creazione di un partito personale. 3) con la narrazione che li giustifica che si articola così: grazie ai poteri straordinari di cui dispone l'autocrate si possono risolvere i problemi del Paese; il quale ultimo è finito dove è finito per l'incompetenza e la corruzione delle élite che si va a sostituire. 4) gli esperti non vanno creduti, mentre va creduto il rapporto pneumatico fra il duce (che sa che cosa) si deve fare e il suo popolo (che gli crede); chi dissente (esistendo una sola verità, che è "rivelata" e non sottoposta a "dimostrazione") è per conseguenza un "nemico del popolo".
A differenza dei regimi dittatoriali degli anni Trenta quelli autocratici di oggi non spingono alla mobilizzazione delle masse, perché le preferiscono "acquiescenti". I sistemi di propaganda degli anni Trenta come la radio aiutavano la diffusione di pochi messaggi che mobilitavano, mentre i media oggi disperdono i messaggi e quindi a creano una sorta di passività (rancorosa).
Le autocrazie in prospettiva storica
I capitalismi autoritari del passato – come la Germania e il Giappone - sono stati un'alternativa all'Ordine liberale fino al 1945, ma da allora per il loro annichilimento militare non lo sono più. Si noti che questi due Paesi non erano indietro nella produzione manifatturiera e nello sviluppo tecnologico rispetto a quelli liberali. Il loro limite era la media dimensione, da intendere come spazio e popolazione.
La democrazia – meglio, la democrazia incapsulata nell'Ordine liberale, che ruota intorno all'Impero "benevolo" degli Stati Uniti - è fiorita nel Secondo dopoguerra in un numero sempre maggiore di Paesi. Che cosa accadrebbe se la dinamica corrente – i Paesi autocratici si affermano in campo politico e crescono in quello economico - si rivelasse duratura, o abbastanza duratura? I Paesi illiberali avrebbero un peso sempre maggiore nell'economia mondiale, e quelli liberali – ricchi in termini assoluti, ma meno ricchi di prima in rapporto ai Paesi emergenti - tornerebbero dove erano, ossia intorno alle due rive del Nord Atlantico, in Giappone, e nell'emisfero australe, insomma dove erano fino alla fine degli anni Ottanta. In altre parole, avremmo un ciclo, partito con la vittoria nelle due guerre mondiali ("calde"), allargatosi con la vittoria nella terza ("fredda"), che è tornato al punto geografico e politico di prima, proprio per l'emergere degli sconfitti (i giganti ex comunisti) e dei loro imitatori (le autocrazie) della terza guerra. I vincitori e i vinti delle guerre "calde", invece, continuano a stare dalla stessa parte.
La globalizzazione è in ritirata
Si ha evidenza che le autocrazie avanzino. Si ha un legame fra il maggior peso delle autocrazie e il passo lento della globalizzazione? Sia con la globalizzazione da intendere – solo “economicamente” - come la crescita vorticosa degli scambi di merci e servizi? Sia con la globalizzazione da intendere – anche “politicamente” - come diffusione delle economie di mercato entro i sistemi di democrazia rappresentativa? Un legame con la globalizzazione e la sua crescita meno marcata degli ultimi tempi sembra esserci, ma molto limitata. Secondo alcuni si ha evidenza che delle forme leggere di autocrazia si stiano affermando anche nei Paesi democratici. Questo importante nodo lo affronteremo diffusamente.
Le forze frenanti
La globalizzazione sta frenando per l'agire di due forze, una legata alla meccanica economica, l'altra alla reazione dei settori colpiti. Queste due forze possono – e sembra che accada (1) - spingere nella direzione di una crescita degli scambi e degli investimenti entro le aree economiche – quindi fra Paesi europei, fra Paesi asiatici, piuttosto che fra le aree economiche – quindi fra Paesi europei ed asiatici. Perciò la globalizzazione sta frenando a causa della crescita del peso delle autocrazie in misura molto limitata.
La globalizzazione ha una “barriera assorbente” che sorge dalla meccanica stessa degli scambi. Man mano che gli scambi di servizi diventano più numerosi, la crescita della globalizzazione rallenta. Posso, infatti, comprare un elettrodomestico prodotto in Asia, ma non prendo l'aereo per andare in Asia a mangiare la pizza e a tagliarmi i capelli. Una seconda “barriera assorbente” sorge dalla meccanica stessa degli scambi da intendere come rivolta di chi perde o teme di perdere il proprio lavoro. La seconda “barriera assorbente” richiede una lunga premessa sul movente egoistico e sui vantaggi comparati (2).
L'idea di Adam Smith è che ognuno, facendo il proprio interesse, agisce in-intenzionalmente nella direzione dell’interesse di tutti, ossia il celeberrimo “vizi privati come pubbliche virtù”, è comunemente accolta. Il macellaio venderà la carne con la miglior combinazione di qualità e prezzo per attirare clientela, ma, così facendo, obbligherà gli altri macellai, che non vogliono perdere la propria clientela, a vendere la carne con la migliore combinazione di qualità e prezzo. I comportamenti dei macellai singolarmente presi sono egoistici, ma l’insieme di questi comportamenti alza il benessere dei consumatori. Sviluppando il concetto dell’interesse individuale, si può mostrare come – con prezzi e salari flessibili e conoscenza simmetrica – si abbia l’equilibrio economico generale, un luogo – logico - dove tutti sono soddisfatti.
L'idea di David Ricardo che i Paesi, specializzandosi nell'attività che sanno meglio svolgere, possono solo guadagnare dal commerciare fra loro, non è comunemente accolta, al contrario dell'idea di Adam Smith del movente egoistico. In questo secondo caso chi perde il lavoro è il macellaio che vende la carne con la peggiore combinazione qualità/prezzo. La sua punizione è quindi “giusta”, perché dipende dal suo “libero agire”. Nel primo caso, invece, chi perde il lavoro non è imputabile – almeno direttamente – di un comportamento economico che dipende da suo “libero agire”. La sua punizione è quindi “ingiusta”. Perché mai?
Il primo vantaggio del libero commercio è la specializzazione, Il secondo vantaggio del libero commercio sono i mercati allargati e di conseguenza le economie che crescono di dimensione. Se gli occupati delle imprese e dei settori eliminati dalla concorrenza non trovano una nuova occupazione in un tempo ragionevole, possono trovarsi in grave difficoltà. E' il caso degli occupati poco specializzati dei settori a bassa tecnologia, quando arrivano le merci da un Paese che ha un vantaggio competitivo sul versante del costo del lavoro. Nei modelli economici dagli anni Quaranta fino agli anni Ottanta si assumeva che i dismessi dei settori meno competitivi sarebbero passati ai settori più competitivi in poco tempo e senza particolari frizioni. Quest'assunzione aveva funzionato fra i Paesi sviluppati aperti al libero commercio per i primi decenni del Secondo dopoguerra. Poi è arrivata l'Asia. I vantaggi che i consumatori ottengono grazie ai beni che costano meno, e i vantaggi che le imprese dinamiche ottengono dalla messa in mobilità dei lavoratori delle imprese meno dinamiche, non compensano gli svantaggi che sorgono per le imprese e per gli occupati che subiscono la concorrenza asiatica. Una delle ragioni è la diffusione delle imprese. Questa non è omogenea su tutto il territorio, ma è concentrata in alcune aree geografiche. Se un'area è molto specializzata e va in crisi, ecco che nella stessa area è difficile trovare lavoro presso le imprese che svolgono un lavoro diverso, perché non ve ne sono e/o ve ne sono ma non a sufficienza. Accade poi che il voto “di protesta contro le élite” si concentri in queste aree (3).
Link:
1 - https://www.economist.com/briefing/2019/01/24/globalisation-has-faltered
2 - https://www.foreignaffairs.com/articles/2018-12-11/free-trade-paradox
3 - https://www.ft.com/content/cbf2a01e-1f41-11e9-b126-46fc3ad87c65
Per approfondire:
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