La borsa statunitense forse non è cara, ma è al limite del suo apprezzamento. Per chiarire il concetto di «limite» mostriamo la serie storica dei prezzi in rapporto alla media mobile degli utili degli ultimi dieci anni (1) e la serie storica della borsa con la demografia (2).

Dunque abbiamo una borsa azionaria sia cresciuta sia sospesa nel vuoto. I prezzi in rapporto agli utili, infatti, non sono bassi. Una loro ulteriore forte crescita richiederebbe una ripresa robusta, di cui non si vedono i segni. Ultimamente, i nuovi dati statunitensi sono peggiori delle aspettative. L’indice che misura il divario fra i numeri effettivi e attesi sta flettendo, come nel 2007 e nel 2008 (3). La ripresa statunitense pare bloccata, perché il debito delle famiglie resta alto e le imprese piccole e quelle nuove non assumono (4). Le obbligazioni, nonostante la crescita dei debiti pubblici, confermano che prevale l’idea di un forte rallentamento (5).

La borsa europea è meno cara di quella statunitense, perché è tornata ai livelli di P/E degli anni Settanta e Ottanta – i decenni che hanno preceduto il grande boom delle azioni. Nonostante questo, è difficile che possa salire in maniera indipendente. Potrà forse, in caso di crisi, flettere meno. I mercati azionari sono, infatti, guidati da quello statunitense, che è il più liquido. A sua volta, il mercato statunitense è guidato dal suo segmento interno più liquido, ossia quello dei future. Laddove si hanno i grandi operatori che hanno una posizione (netta, o in media) scoperta, e i piccoli operatori che, invece, l’hanno (sempre al netto, o in media) lunga.

Sul fronte dei debiti pubblici va ricordato che il sistema finanziario europeo è esposto verso quello greco in misura significativa, mentre il sistema finanziario statunitense è esposto con i credit default swaps accesi per assicurare contro l’insolvenza. Dunque in caso di crisi si avrebbe l’«effetto contagio» anche oltre l’Atlantico (6). Il debito pubblico italiano non è messo male – come sembra ai più – in caso di crisi grave. Il debito è «tanto» e la crescita è «poca». La scadenza del debito però è «lunga» – circa sette anni – e il saldo del bilancio pubblico prima delle imposte, il saldo primario, è – a differenza degli altri paesi esclusa la Germania – intorno allo zero. Ossia, in Italia e in Germania non si accende del debito prima di pagare gli interessi sul debito in essere. Esagerando, una manovra di 50 miliardi di euro – pari al 3,5% del Pil – è in grado di stabilizzare il debito italiano (7).

Le azioni in generale non sono attraenti, e le obbligazioni a lungo termine nemmeno. Queste ultime possono registrare una flessione dei rendimenti quando il rallentamento economico sarà manifesto, ma la crescita dei debiti pubblici, alla fine, riporterà in alto i rendimenti. In conclusione, conviene avere un’esposizione minima in azioni. Nel campo delle obbligazioni dei tesori a lungo termine, conviene evitarle, perché una crescita del loro prezzo, a causa dei debiti crescenti, sarebbe temporanea. Il dollaro potrebbe salire per la chiusura delle posizioni di carry trade, ma alla lunga dovrebbe continuare a indebolirsi. Le azioni e soprattutto le obbligazioni emesse dal Tesoro sono, infatti, poco attraenti. Il flusso di capitali verso gli Stati Uniti non dovrebbe perciò bilanciare il deficit di parte corrente, che resta cospicuo.

Link e note:

(1) http://www.centroeinaudi.it/images/lettera_economica/peshiller.gif

(2) http://www.centroeinaudi.it/images/lettera_economica/demografiaborsa.gif

(3) http://www.bloomberg.com/apps/quote?ticker=CESIG10:IND

(4) http://www.centroeinaudi.it/ricerche/carneade-a-new-york.html

(5) http://www.centroeinaudi.it/ricerche/che-cosa-pensano-le-obbligazioni.html

(6) http://www.centroeinaudi.it/notizie/parenti-serpenti.html

(7) L’equazione che mostra le condizioni per avere un debito pubblico che non cresce in rapporto al Pil è:  s = ((r–g)/(1+g))*d. Se il costo nominale del debito è pari al 6% (espresso con r) e la crescita nominale del Pil è pari al 3% (espressa con g) e il debito pubblico è pari al 120% del Pil (espressa con d), il saldo primario (espresso con s) deve essere positivo (ossia le spese sono inferiori alle entrate) e pari al 3,5% del Pil.




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