Due sono le domande: 1) perché tanta apprensione intorno ai debiti pubblici, e 2) perché le azioni salgono e scendono con tanta irruenza. La dinamica dei debiti pubblici può essere messa sotto controllo solo con operazioni economicamente e politicamente costose. Di conseguenza, i mercati cambiano opinione molto frequentemente, a seconda che si veda oppure non si veda il percorso del risanamento. Da qui la volatilità delle obbligazioni. Il risanamento, che, almeno nella fase iniziale, frena l’economia, riduce gli utili. Gli utili in diminuzione possono essere scontati con dei rendimenti maggiori o minori, a seconda del percorso del risanamento che si intravede. Da qui la volatilità delle azioni. Da un punto di vista più formale, il ragionamento appena esposto può essere espresso in questo modo.


Obbligazioni
Il debito pubblico aumenta se il suo costo è maggiore del tasso di crescita dell’economia. Poniamo, infatti, un debito pari a 100 e un reddito nazionale pari a 100. Se il primo costa il 5% l’anno, al secondo anno diventa pari a 105. Se la seconda cresce del 5%, l’anno dopo diventa pari a 105. E siamo al punto di partenza. Il debito non aumenta in rapporto al reddito. Immaginiamo il costo del debito – che chiamiamo «r», una stima forse bassa – pari, per molti anni, al 5%. Una crescita – che chiamiamo «g», piatta per molti anni, ma una stima realistica. Bene, si ha, dopo un anno, 105 di debito contro 100 di reddito e dunque il debito, come percentuale del reddito nazionale, è tosto aumentato. E così via ogni anno. Il debito aumenta in rapporto al reddito. Aumentando continuamente, anche il suo costo aumenta, perché diventa sempre meno probabile che sarà onorato, e dunque si ha il famoso avvitamento del debito. Come può avere lo stesso debito in rapporto al reddito nazionale, dato il costo del debito e la crescita attesa? Solo riducendo il debito. Questo lo si ottiene con un bilancio pubblico in attivo prima del pagamento degli interessi. Proprio come una famiglia, che riduce il proprio debito con la banca, comprimendo i consumi, ossia aumentando i risparmi. Insomma il famoso saldo primario – che chiamiamo «s» – deve essere in surplus per stabilizzare il debito.

Ecco la condizione formale per mantenere costante il rapporto fra debito pubblico – che chiamiamo «d» – e reddito nazionale: s = (( r - g) / (1 + g)) * d

Nel caso greco i numeri verosimili sono: un costo del debito r=5%, un tasso di crescita g=0%, un debito pubblico (arrotondato) di partenza d=100%. Dunque «s», il saldo primario, deve essere pari al 5%. Un numero mostruoso da raggiungere in pochi anni, se si considera che il saldo primario greco oggi è negativo e pari al 5% del reddito nazionale. I greci oggi hanno un bilancio pubblico in disavanzo – ossia debbono emettere debito ancora prima di pagare gli interessi sul debito emesso.  La correzione finale nel caso della Grecia è pari – dal deficit al surplus primario – al 10% del loro reddito. Ossia, essi debbono tagliare le spese e alzare le entrate per il 10% del loro reddito. Un numero mostruoso, l’equivalente italiano sarebbe pari a 160 miliardi di euro, oppure 320 mila miliardi di lire. La famosa manovra dell’Amato I del 1992 – la «madre di tutte le manovre» – era di 90 mila miliardi, e consisteva quasi tutta in tagli ai tendenziali di spesa piuttosto che in tagli alle spese effettive. I numeri della Spagna, della Gran Bretagna degli Stati Uniti e del Giappone non divergono molto da quelli Grecia.


Azioni
Si immagini lo scenario dove tutto va bene, tenendo a mente che il prezzo di un’azione oscilla intorno al valore, che è il flusso di utili (U) scontato per i rendimenti del debito pubblico a lungo termine (i), ossia P = U/i. Gli utili siano pari a 100 euro, dollari, eccetera, e i rendimenti pari al 4%. Il prezzo dell’azione sarà di 2.500 euro, ossia (100x100)/4. Se, a parità di utili, il rendimento passa al 5%, perché si alza il rischio sul debito pubblico, ecco che il prezzo dell’azione sarà di 2000, ossia (100x100)/5. Se poi, a causa delle politiche di risanamento che riducono la domanda, gli utili passano a 80, mentre i rendimenti sono al 5%, per lo scetticismo sul risanamento, il prezzo passa a 1.600, ossia (80x100)/5.

Venerdì 7 maggio eravamo ai 2.000 punti dell’esempio, poi lunedì 10 maggio siamo passati ai 2.500 punti dell’esempio per il solo movimento dei rendimenti sui debiti pubblici – nell'esempio dal 5 al 4%. Venerdì 14 maggio siamo tornati a 2.000, per il solo movimento sui debiti pubblici – nell’esempio dal 4 al 5%. Una caduta ulteriore dei corsi – fino a 1.600 sempre nell’esempio – si avrebbe se si scontassero i minori utili, il frutto indesiderato del risanamento che deprime la domanda, con i maggiori rendimenti, il frutto amaro dello scetticismo sul risanamento medesimo.


Conclusioni
Si vede bene che nel prossimo futuro si avranno prezzi molto volatili – ossia prezzi che fluttuano molto intorno alla tendenza – ossia la direzione. È difficile che la direzione sia al rialzo, perché i debiti non sono ancora sotto controllo, e gli utili difficilmente potranno salire con una crescita economica frenata dai risanamenti. Le obbligazioni hanno ancora prezzi elevati se si considera la dinamica del debito pubblico. Secondo noi, considerando i rendimenti probabili e i rischi che si corrono, è ragionevole l’acquisto di obbligazioni a breve termine, che non rendono quasi nulla. Non rendono quasi nulla, ma, allo stesso tempo, sono un parcheggio in cui bivaccare tranquilli nell’attesa che le cose raggiungano un equilibrio inferiore, ossia che i prezzi delle azioni e delle obbligazioni finiscano su livelli più bassi. Pensiamo, infine, che, nelle condizioni date, lo spazio in discesa delle azioni sia maggiore dello spazio in discesa delle obbligazioni.



Maggio 2010     
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Azioni / Obbligazioni                 --               --  
Obbligazioni / Liquidità                  -                -  


Quando la previsione è di un’attività finanziaria che va molto peggio di un’altra, il giudizio è «---»; 
«--» o «-» sono giudizi meno negativi. 
Lo stesso vale con «+++» e, a scendere, con «++» o «+».
 

 

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