La crisi iniziata nel 2007, esplosa a fine 2008 e continuata fino al primo trimestre del 2009 si è scaricata sui bilanci pubblici, per effetto della riduzione delle entrate e per effetto della crescita delle spese. L’attenzione si è così spostata sulla crescita dei debiti pubblici maggiore della crescita delle economie (un rapporto debito/Pil in aumento). Si sono scontrate due scuole di pensiero: quella maggioritaria che vuole una riduzione del debito in rapporto al reddito, e quella che crede che procedere oggi tutti insieme nella direzione del controllo della spesa pubblica netta (uscite meno entrate) aggravi la situazione, perché frena la domanda.

In effetti, la soluzione del problema del debito pubblico sarebbe la crescita dell’economia. Questa, però, ha smesso da qualche mese di palesarsi sia nei dati puntuali (variazioni trimestrali del Pil) sia nelle aspettative (caduta degli ordinativi). Ci si trova oggi di fronte a una politica fiscale restrittiva in assenza di una crescita economica di una qualche consistenza. Il tutto aggravato dall’impotenza della politica monetaria. Con i tassi intorno allo zero i margini di manovra sono, infatti, nulli (1).

Questo primo cocktail (crescita modesta e politica economica paralizzata) è all’origine della flessione dei mercati azionari e all’origine della forza di quelli obbligazionari dei paesi maggiori. Infatti, se si entra in recessione – più o meno marcata – le Borse, alla fine, flettono. Il debito pubblico, per quanto mal messo, è un rifugio in recessione, perché, anche a fronte di rendimenti risibili, almeno il capitale è salvo (2).

Ecco che ci si trova di fronte a una combinazione che può sembrare paradossale: i debiti pubblici peggiorano come qualità, ma sono comprati, perché le azioni, in un contesto di recessione, sono diventate relativamente meno attraenti. La modesta crescita o la recessione potrebbero ridurre i profitti e i dividendi delle imprese. Se cade la domanda, i profitti possono però aumentare se si tagliano i costi. Ma questi sono stati tagliati nel passato recente, e, infatti, gli utili sono ai massimi storici in rapporto al Pil, nonostante le economie non siano tornate ai livelli pre-crisi (3). Il quinto grafico sub 3 mostra il punto.

Sia ai tempi della recessione del 2001 sia ai tempi di quella del 2008 la situazione era diversa. I tassi praticati dalle banche centrali erano intorno al 5% e potevano essere schiacciati, e i bilanci pubblici registravano deficit modesti e potevano essere espansi. Oggi non è così. E dunque, in caso di recessione, si hanno meno strumenti, o alcuno strumento. A questo si aggiungano le difficoltà dei paesi europei deboli (4). Se i mercati chiedono rendimenti molto alti, allora diventa impossibile sostenere – come costo politico ed economico – il risanamento (5). La difficoltà dei paesi europei deboli si ripercuote sul sistema finanziario internazionale, perché i loro titoli del debito sono detenuti in misura significativa dall’estero. Si ha dunque un secondo cocktail: una crescita modesta, una politica economica congelata e i debiti dei paesi mal messi – i paesi europei periferici – che premono. Il debito italiano non è mal messo come si crede (6).

I margini di caduta delle azioni, soprattutto bancarie (7), e delle obbligazioni private sono elevati (8). Il grafico sub 8 mostra l’entità della correzione – del moltiplicatore degli utili (P/E) e dei rendimenti delle obbligazioni private – che si è avuta in passato, quando i mercati hanno scontato la recessione. Anche i debiti pubblici, una volta che i rendimenti siano a zero (in termini reali), sono rischiosi. Il prossimo movimento («prossimo» non implica «immediato»), finito il momento di difficoltà delle azioni, non può essere che al rialzo. Il rialzo dei rendimenti spinge al ribasso i prezzi – la cedola, infatti, è fissa per cui il rendimento può salire solo se il prezzo scende.

Che fare? Avere poche azioni con un moltiplicatore dell’utile basso (P/E contenuto) e avere obbligazioni private solo di qualità (bilanci in grado di sostenere il pagamento delle cedole correnti). Relativamente al debito pubblico, esso andrebbe evitato nella parte lunga, quella decennale e oltre, perché il prossimo movimento dei prezzi delle obbligazioni dei paesi virtuosi è al rialzo. Insomma, per come sono messe le cose, conviene schiacciare il rischio e attendere dei prezzi che scontino appieno lo scenario sopra delineato.

  1. http://www.centroeinaudi.it/il-progetto-1/ricerche-economiacentroeinaudiit-99/1224-la-politica-della-fed-e-restrittiva.html

  1. http://www.bloomberg.com/apps/quote?ticker=USGGT10Y:IND

  1. http://www.zerohedge.com/news/guest-post-about-those-permanently-rising-corporate-profits

  1. http://www.iie.com/publications/pb/pb11-13.pdf

  1. http://www.centroeinaudi.it/il-progetto-1/commenti-economiacentroeinaudiit-98/748-la-legittimit-dellindustria-finanziaria.html

  1. http://www.centroeinaudi.it/il-progetto-1/ricerche-economiacentroeinaudiit-99/1191-il-coccodrillo-della-crisi.html

  2. http://baselinescenario.com/2011/08/12/should-we-expect-another-round-of-bailouts/

  3. http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/user5/imageroot/2011/08/MS%20recessions.jp

Che i mercati «annusino» l’arrivo della recessione lo si evince dai differenziali sulle obbligazioni private:

http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/user5/imageroot/2011/08/BAC%20Mild%20Recession%202.jpg

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Il ragionamento dell’Asset allocation è uscito in forma «ristretta»
su Il Foglio del 18 agosto
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