Dalla relazione si deduce che i prezzi delle azioni possono salire con quattro combinazioni: 1. salgono gli utili, a parità di rendimenti. 2. parità degli utili, ma discesa dei rendimenti. 3. discesa degli utili, ma con maggior discesa dei rendimenti. 4. ascesa degli utili maggiore dell’ascesa dei rendimenti. Quale di queste combinazioni caratterizza il mercato oggi? Vediamo gli Stati Uniti.
1. Gli utili sono ai massimi storici in rapporto al reddito nazionale. In passato, certe soglie non sono mai state superate. Inoltre, essi sono cresciuti per effetto della svalutazione del dollaro. Le imprese statunitensi nei bilanci consolidano in dollari gli utili fatti, poniamo, in euro. Chiaro che essi aumentano. Possiamo allora dire che è difficile che gli utili possano salire sistematicamente nel prossimo futuro, se non per effetto del cambio. (Potrebbero salire nel caso di una rivalutazione delle monete asiatiche. Ma gli effetti di questa rivalutazione si sentirebbero sui rendimenti, che dovrebbero salire, perché verrebbero comprate meno obbligazioni statunitensi da parte delle banche centrali asiatiche per tenere il cambio).
2. Mettiamo allora che gli utili stiano fermi e che scendano i rendimenti. I rendimenti possono scendere se sono elevati nella loro componente reale, ossia se la differenza fra il rendimento nominale e l’inflazione è molto alta. Oggi il primo è intorno al 4% e la seconda intorno al 2%, ossia il rendimento reale è intorno al 2%, un valore in linea col tasso di crescita atteso dell’economia per il 2008. Difficile quindi che possano scendere. Potrebbe allora scendere l’inflazione. Difficile di nuovo, perché oggi essa è a dei livelli presso che incomprimibili.
3. Potrebbero ridursi gli utili, troppo alti in rapporto al reddito nazionale, come mostra il punto 1, ed è una assunzione ragionevole. Non è però ragionevole pensare anche alla riduzione dei rendimenti, come mostra il punto 2. Potremmo provare ad immaginare una crisi. Anche in questo caso è difficile che le cose si combinino nella maniera desiderata, perché, nelle condizioni di oggi, una crisi indebolirebbe il dollaro e quindi spingerebbe i rendimenti all’insù.
4. Gli utili potrebbero crescere molto ed anche i rendimenti. Questo avviene di norma nelle fasi terminali di una ascesa ciclica. Oggi, invece, si pensa al rallentamento economico ed alle politiche monetarie espansive.
Le borse possono o salire, o scendere, o restare dove sono. Quartum non datur. La borsa americana non avendo una combinazione che possa spingerla in su in modo stabile, può, in linea logica, stare dove è, oppure flettere.
Ecco i grafici (della Federal Reserve Bank di New York) di supporto. I profitti sono pari al 11.9% del reddito nazionale. Essi sono pari e a quelli prodotti in campo domestico (9.6%), fermi dal 2005, e a quelli ottenuti in campo internazionale (3,5%), in crescita. La somma è pari al 13,1% del reddito nazionale. Essi vanno ridotti per la parte che spetta alle imprese estere operanti negli Stati Uniti (1.2%).
L’inflazione complessiva è pari al 3,5%. Escludiamo i beni volatili, come quelli alimentari e le materie prime, che sono pari al 23% dell’indice. Il 77% dell’indice è pari al 2,1%. Questo valore è trainato dall’inflazione dei servizi, 3,2%, mentre quella dei beni industriali è nulla.
I rendimenti delle obbligazioni decennali sono appena sopra il 4%.
Quando ci si trova in un contesto di cui è molto difficile dire quale possa essere la via di uscita, che cosa conviene fare? Prendiamo un caso difficile, quello del 1999. Gli utili erano intorno ad un picco, con i rendimenti che potevano scendere. La combinazione logica numero 3. Restare investiti, si ricordi che i corsi salirono del 20% prima di flettere, aspettando che la discesa dei rendimenti sostenesse le azioni, sembrava allora una scelta ragionevole. Invece, col senno di poi, si vede bene che era più ragionevole disinvestire e comprare titoli del tesoro a breve termine.
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