Questo commento settimanale prova a rendere l’idea, anche con la scrittura, del convulso dibattito economico e politico statunitense degli ultimi tempi. Per chi fosse interessato, vi sono i link per gli approfondimenti.
"Il piano di Barack Obama per tirare fuori l'America dalla crisi non funziona" è il mantra che vanno ripetendo con tono catartico esperti e politici di tutto il mondo. Opportunità sprecate, consigli superficiali, eredità ingestibili, inesperienza: le cause del fallimento possono essere diverse, ma i mercati non hanno bisogno di spiegazioni. Segnano un meno costante. L'aria di cambiamento importata alla Casa Bianca con la nuova Amministrazione è stata dissolta dal ministro del Tesoro Tim Geithner - che non ha fornito prova né di determinazione né di discontinuità con il passato - e dalla fine dello spirito bipartisan che, nel sogno lincolniano, avrebbe accompagnato ogni azione presidenziale. Il piano da quasi 800 miliardi di dollari approvato al Congresso non ha riscosso successo tra i repubblicani; il piano da più di un trilione annunciato da Geithner non ha riscosso successo tra nessuno (1). Così, nel vuoto strategico, ognuno c'infila quel che vuole.
Alan "Maestro" Greenspan, ex governatore della Federal Reserve, ha detto (2) che la "nazionalizzazione temporanea delle banche" è pressoché inevitabile. E' l'ultimo - ma molto significativo - sostenitore di un progetto che, miliardi di dollari dopo il primo salvataggio ideato dall'ex ministro del Tesoro Hank Paulson, pare il più gettonato. Persino i repubblicani (3), che finora hanno fatto quelli scandalizzati dal ritorno del socialismo di governo, cominciano a rispolverare senza imbarazzi "il modello svedese", che negli anni Novanta prevedeva un mix di nazionalizzazione e "bad bank".
La realtà vince sull'ideologia? Chissà. Di certo c'è qualcuno che a questa domanda deve rispondere presto (e bene): sono i governatori repubblicani che, avendo responsabilità esecutive, non possono permettersi gli svolazzi ideali dei deputati e dei senatori del loro stesso partito. Il caso californiano è emblematico (4): il governatore repubblicano, Arnold Shwarzenegger, ha 41 miliardi di buco da riempire e vuole alzare le tasse. I compagni di partito inorridiscono, ma poi qualcuno trova la squadra, e la richiesta del governatore passa. In Kansas stesso copione. Ora alcuni governatori dicono che no, bisogna tenere il punto, altrimenti la Washington democratica diventerà a capo di tutto, banche, aziende e stati, ma al momento è stato più facile derogare al principio che alle ristrettezze reali.
Ma se il termine nazionalizzazione non fa più così paura, i termini d'attuazione di un progetto simile non sono affatto chiari (5). Se la nazionalizzazione è un modo per prendere il controllo del ridimensionamento degli istituti bancari in mondo che azionisti e creditori non se ne approfittino a spese dei contribuenti, allora questa è - paradossalmente - la soluzione più liberista al momento disponibile. Se invece la nazionalizzazione si riduce ad un modo per evitare di individuare e smaltire le perdite - come un'enorme grazia per le banche fallimentari - allora il sistema non riuscirebbe a risanarsi, e le logiche clientelari avrebbero il sopravvento (6). Probabilmente è necessario studiare una via intermedia - suddividere gli istituti di credito in base alla loro solvibilità - ma il risultato potrebbe essere troppo complesso: l'esempio britannico insegna che le soluzione arzigogolate (7) come quelle ideate dal premier Gordon Brown non producono effetti in breve tempo. I governi al momento hanno a disposizione sì tanti soldi, ma non certo tanto tempo. Ma neppure i sostenitori dell'Armaggeddon americano che recitano il mantra del fallimento dell'Amministrazione di Washington sanno fornire alternative concrete: quando la crisi è grave non basta sperare in un cambio di leadership.
Alan "Maestro" Greenspan, ex governatore della Federal Reserve, ha detto (2) che la "nazionalizzazione temporanea delle banche" è pressoché inevitabile. E' l'ultimo - ma molto significativo - sostenitore di un progetto che, miliardi di dollari dopo il primo salvataggio ideato dall'ex ministro del Tesoro Hank Paulson, pare il più gettonato. Persino i repubblicani (3), che finora hanno fatto quelli scandalizzati dal ritorno del socialismo di governo, cominciano a rispolverare senza imbarazzi "il modello svedese", che negli anni Novanta prevedeva un mix di nazionalizzazione e "bad bank".
La realtà vince sull'ideologia? Chissà. Di certo c'è qualcuno che a questa domanda deve rispondere presto (e bene): sono i governatori repubblicani che, avendo responsabilità esecutive, non possono permettersi gli svolazzi ideali dei deputati e dei senatori del loro stesso partito. Il caso californiano è emblematico (4): il governatore repubblicano, Arnold Shwarzenegger, ha 41 miliardi di buco da riempire e vuole alzare le tasse. I compagni di partito inorridiscono, ma poi qualcuno trova la squadra, e la richiesta del governatore passa. In Kansas stesso copione. Ora alcuni governatori dicono che no, bisogna tenere il punto, altrimenti la Washington democratica diventerà a capo di tutto, banche, aziende e stati, ma al momento è stato più facile derogare al principio che alle ristrettezze reali.
Ma se il termine nazionalizzazione non fa più così paura, i termini d'attuazione di un progetto simile non sono affatto chiari (5). Se la nazionalizzazione è un modo per prendere il controllo del ridimensionamento degli istituti bancari in mondo che azionisti e creditori non se ne approfittino a spese dei contribuenti, allora questa è - paradossalmente - la soluzione più liberista al momento disponibile. Se invece la nazionalizzazione si riduce ad un modo per evitare di individuare e smaltire le perdite - come un'enorme grazia per le banche fallimentari - allora il sistema non riuscirebbe a risanarsi, e le logiche clientelari avrebbero il sopravvento (6). Probabilmente è necessario studiare una via intermedia - suddividere gli istituti di credito in base alla loro solvibilità - ma il risultato potrebbe essere troppo complesso: l'esempio britannico insegna che le soluzione arzigogolate (7) come quelle ideate dal premier Gordon Brown non producono effetti in breve tempo. I governi al momento hanno a disposizione sì tanti soldi, ma non certo tanto tempo. Ma neppure i sostenitori dell'Armaggeddon americano che recitano il mantra del fallimento dell'Amministrazione di Washington sanno fornire alternative concrete: quando la crisi è grave non basta sperare in un cambio di leadership.
(1)http://www.centroeinaudi.it/notizie/il-piano-geithner-e-le-reazioni-della-borsa.html
(2)http://www.ft.com/cms/s/0/e310cbf6-fd4e-11dd-a103-000077b07658.html
(3)http://www.ft.com/cms/s/0/2ad3b750-fd27-11dd-a103-000077b07658.html
(4)http://www.ft.com/cms/s/0/c8b15014-fd26-11dd-a103-000077b07658.html
(5)http://www.econbrowser.com/archives/2009/02/prospects_for_t.html
(6)http://gregmankiw.blogspot.com/2009/02/nationalization-or-pre-privatization.html
(7)http://www.ft.com/cms/s/0/e24cb66c-e435-11dd-8274-0000779fd2ac.html
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