Come noto, l’ordinamento tributario nazionale prevede che il contribuente, prima di porre in essere un comportamento fiscalmente rilevante, possa rivolgersi all’Amministrazione finanziaria (i.e. l’Agenzia delle Entrate) al fine di ottenere chiarimenti in merito a un caso concreto e personale.

 

Tale facoltà è stata cristallizzata nel cosiddetto “Statuto dei diritti del contribuente” (Legge 212/2000) all’art. 11.

Con il recente Decreto legislativo n. 156/2015 (cosiddetto “Decreto interpelli e contenzioso tributario”), attuativo della cosiddetta Delega fiscale (Legge n. 23/2014), il legislatore ha, tra l’altro, ridisegnato la disciplina dell’interpello, prevedendone quattro tipologie: ordinario, probatorio, anti-abuso e disapplicativo.

È stata, inoltre, introdotta in via generalizzata la regola del silenzio-assenso in caso di mancata risposta in terminis da parte dell’Amministrazione finanziaria ed accelerata la procedura per ottenere i relativi pareri. Nell’ambito della riforma della disciplina degli interpelli è stata, altresì, sancita la non impugnabilità autonoma delle risposte, ad eccezione di quelle relative agli interpelli disapplicativi per le quali è stato ideato un sistema di tutela c.d. differita, in forza del quale i contenuti del parere (negativo) possono essere oggetto di doglianza in sede di impugnazione del successivo atto impositivo.

Con il Decreto oggetto della presente analisi, il legislatore delegato ha tentato di semplificare il rapporto tra Fisco e contribuente tramite il passaggio “da un sistema incentrato sulla necessità di una compiuta verifica amministrativa ex ante di determinate fattispecie a uno basato sulla responsabilizzazione del contribuente, al quale è riconosciuta la possibilità di verificare in autonomia la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’accesso a specifici regimi fiscali, ovvero per la disapplicazione di determinate disposizioni antielusive” (così recita la Relazione illustrativa del Decreto).

L’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente è stato dunque riscritto ed individua ora le suddette quattro tipologie di interpello tributario. In ottemperanza alle linee guida dettate dalla Legge delega, è stata eliminata l’obbligatorietà dell’interpello, fatta eccezione per quello disapplicativo di norme antielusive.

INTERPELLO ORDINARIO

Il Decreto in esame estende l’ambito applicativo dell’interpello ordinario, che potrà essere proposto dal contribuente, non solo, come sinora avvenuto, quando le condizioni di obiettiva incertezza incidano sulla corretta interpretazione della norma tributaria (interpello ordinario “interpretativo”), ma anche quando lo “status” di incertezza riguardi la corretta qualificazione delle fattispecie (interpello ordinario “qualificatorio”).

Il comma 4 dell’art. 11 dello Statuto precisa, inoltre, che non ricorrono le obiettive condizioni di incertezza qualora l’Amministrazione finanziaria abbia compiutamente fornito la soluzione interpretativa per fattispecie corrispondenti a quelle prospettate dal contribuente mediante circolare, risoluzione, istruzione o note, resi pubblici ai sensi dell’art. 5 del medesimo provvedimento. Resta fermo che non possono formare oggetto di interpello ordinario (né nella veste “interpretativa”, né in quella “qualificatoria”) accertamenti di tipo tecnico (come, ad esempio, operazioni di classamento o di calcolo della consistenza o l’estimo catastale) esperibili esclusivamente nelle sedi proprie, né potranno costituire oggetto dell’istanza fattispecie ricorrenti non connotate da elementi di peculiarità o, comunque, prive di aspetti di particolare complessità.

INTERPELLO PROBATORIO

L’interpello probatorio è attivabile dal contribuente ogniqualvolta lo stesso voglia ottenere un parere circa la sussistenza delle condizioni e la valutazione dell’idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge ai fini dell’adozione di uno specifico regime fiscale, derogatorio rispetto a quello normalmente applicabile. Stante l’ampiezza della formula utilizzata dal legislatore, il riferimento all’accesso ad un determinato regime fiscale va interpretato in senso lato, come comprensivo dei casi in cui si tratti della non operatività di determinate limitazioni o regole speciali.

L'interpello probatorio, di fatto, costituisce una categoria molto ampia che genera una fisiologica anticipazione della valutazione che ordinariamente l'Amministrazione svolge in sede di accertamento.

INTERPELLO ANTI-ABUSO

Tale tipologia trae origine dalla nuova disciplina sull’abuso del diritto introdotta dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, recante “Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente”, che ha introdotto l’art. 10-bis nello Statuto dei diritti del contribuente e, contestualmente, ha abrogato l’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

Il contribuente, per il tramite di questa tipologia di interpello, può chiedere all’Amministrazione finanziaria se le operazioni che intende porre in essere costituiscano fattispecie di abuso del diritto.

INTERPELLO DISAPPLICATIVO

Tale tipologia di interpello, analogamente a quanto sinora avvenuto, può essere presentata dal contribuente che voglia ottenere un parere circa la sussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione di norme tributarie (altrimenti applicabili) che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del contribuente. A tal fine, questi dovrà dar prova che nella situazione concreta in cui si trova ad operare non possono realizzarsi gli effetti elusivi che la norma di volta in volta rilevante intende evitare.

L’interpello disapplicativo è l’unico a rivestire carattere di adempimento obbligatorio nell’ambito della riforma in commento (seppur la relativa omissione non preclude la possibilità di far valere la sussistenza delle apposite circostanze esimenti in occasione di un eventuale accertamento amministrativo o, addirittura, in sede di contenzioso).

SOGGETTI OBBLIGATI

Possono presentare istanza di interpello i contribuenti, anche non residenti, e i soggetti che, in base alla legge, sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti o sono tenuti, insieme con questi o in loro luogo, all'adempimento di obbligazioni tributarie.

Legittimati a presentare l'istanza sono, quindi, tra gli altri, i sostituti di imposta e i consulenti incaricati degli adempimenti fiscali.

Restano esclusi solo coloro che non sono interessati ad interpellare a vario titolo l'Amministrazione finanziaria.

ITER DELL’ISTANZA E RISPOSTA DELL’AMMINISTRAZIONE

All'istanza di interpello deve essere allegata copia della documentazione rilevante ai fini della risposta. Nei casi in cui la risposta presupponga accertamenti di natura tecnica, non di competenza dell'Amministrazione finanziaria, alle istanze devono essere allegati altresì i pareri resi dall'ufficio competente. Quando non è possibile fornire risposta sulla base dei documenti allegati, l'Amministrazione chiede, una sola volta, al contribuente di integrare la documentazione presentata. In tal caso, il parere viene reso entro sessanta giorni dalla ricezione della documentazione integrativa.

La mancata presentazione della documentazione richiesta entro il termine di un anno comporta rinuncia all'istanza di interpello.

L'Amministrazione ha l'obbligo di rispondere alle istanze di interpello ordinario nel termine di novanta giorni, alle istanze di interpello probatorio, anti abuso e disapplicativo nel termine di centoventi giorni.

La risposta, scritta e motivata, vincola ogni organo dell'Amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell'istanza e limitatamente al richiedente. Se la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, si forma, per tutte le tipologie di interpello, il silenzio assenso. Nel caso in cui l'Amministrazione, per motivi diversi, dovesse ritenere la fattispecie rappresentata in istanza di interesse generale, dovrebbe provvedere alla pubblicazione della risposta sotto forma di circolare o risoluzione.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

In definitiva, il Decreto legislativo oggetto della presenta analisi introduce non già una vera e propria riforma, bensì un’apprezzabile opera di restyling del sistema vigente.

L’analisi critica del provvedimento lascia, tuttavia, emergere qualche elemento di perplessità. Ci si riferisce, più nel dettaglio, all’attesa maggiore tempestività della risposta dell’Amministrazione finanziaria: sarebbe stato forse preferibile un termine comune di 90 giorni, magari accompagnato dall’introduzione di una mera sospensione dei tempi perentori di risposta nel caso di richiesta di integrazione informativa o di regolarizzazione dell’istanza da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Inoltre, la “scelta di campo” in materia di non impugnabilità delle istanze di interpello - della quale pure si comprendono le ragioni (deflattive del contenzioso) e se ne apprezza il contributo alla certezza del diritto - potrebbe rischiare di comprimere il diritto alla difesa del contribuente.